Nacque
a Dovia di Predappio (Forlì) il 29 luglio del 1883. Figlio
di Alessandro, fabbro ferraio, e di Rosa Maltoni, maestra elementare,
ebbe un'infanzia modesta. Studiò nel collegio salesiano
di Faenza (1892-93) e poi nel collegio Carducci di Forlimpopoli,
conseguendo nel 1901 il diploma di maestro elementare. Nello stesso
anno, in dicembre, viene assunto come "supplente" nella
scuola elementare di Pieve di Siliceto. Iscrittosi al Partito
Socialista Italiano sin dal 1900, mostrò un acceso interesse
per la politica attiva seguendo l'esempio del padre, esponente
di un certo rilievo del socialismo anarcoide e anticlericale di
Romagna. Emigrato in Svizzera (1902) per sottrarsi al servizio
militare, strinse rapporti con Serrati, A. Balabanov e altri rivoluzionari,
ponendo contemporaneamente le basi della propria cultura politica,
in cui si fondevano gli influssi di Marx, Proudhon e Blanqui insieme
a quelli di Nietzsche e Pareto. Ripetutamente espulso da un cantone
all'altro per il suo attivismo anticlericale e antimilitarista,
rientrò in Italia nel 1904 approfittando di un'amnistia
che gli permise di sottrarsi alla pena prevista per la renitenza
alla leva e compì il servizio militare nel reggimento bersaglieri
di stanza a Verona. Ottenuta una supplenza a Caneva di Tolmezzo,
il 17 febbraio del 1907 venne posto in congedo dai suoi superiori,
dopo una sua anticlericale e rivoluzionaria commemorazione di
Giordano Bruno. La Polizia lo schedò come "sovversivo"
e "pericoloso anarchico". Dopo aver insegnato francese
qualche tempo in una scuola privata a Oneglia (1908), dove divenne
collaboratore attivo del periodico socialista "La lima",
firmando i suoi articoli con lo pseudonimo di "Vero Eretico",
tornò a Predappio, e si mise a capo dello sciopero dei
braccianti agricoli. Il 18 luglio fu arrestato per aver minacciato
un dirigente delle organizzazioni padronali. Processato per direttissima,
fu condannato a tre mesi di carcere. Dopo 15 giorni è rilasciato
in libertà provvisoria dietro pagamento di una cauzione.
In settembre venne incarcerato per dieci giorni, per aver tenuto
a Meldola un comizio non autorizzato. Ricoprì quindi la
carica di segretario della Camera del Lavoro di Trento (1909)
e diresse il quotidiano "L'avventura del lavoratore".
Presto entrò in urto con gli ambienti moderati e cattolici,
dopo sei mesi di frenetica attività propagandistica, non
priva di successo, fu espulso anche da qui tra le proteste dei
socialisti trentini, suscitando una vasta eco in tutta la sinistra
italiana. Tornato a Forlì, Mussolini si unì, senza
vincoli matrimoniali né civili né religiosi, con
Rachele Guidi, figlia
della nuova compagna del padre e da essa ebbe, nel settembre del
1910, la prima figlia Edda (Vittorio sarebbe nato nel 1916, Bruno
nel 1918, Romano nel 1927, Anna Maria nel 1929, mentre nel 1915
sarebbe stato celebrato il matrimonio civile e nel 1925 quello
religioso). Nello stesso anno la federazione socialista forlivese
gli offriva la direzione del nuovo settimanale "Lotta di
classe" e lo nominava proprio segretario. Nei tre anni in
cui coprì queste cariche, M. dette al socialismo romagnolo
una sua impronta precisa, fondata su spinte rivoluzionarie e volontaristiche,
distanti dalle idee della tradizione razionale e positivista del
marxismo così interpretato dagli uomini più rappresentativi
del P.S.I. Dopo il congresso socialista di Milano tenutosi nell'ottobre
del 1910 ancora dominato dai riformisti, M. pensò di scuotere
la minoranza massimalista, anche a rischio di spaccare il partito,
riuscì a provocare l'uscita dal P.S.I. della federazione
socialista forlivese, gli unici che lo seguirono nell'iniziativa.
Quando sopraggiunse la guerra di Libia i rapporti di forza tra
le correnti del socialismo italiano subirono dei cambiamenti e
M. (che del resto era stato condannato a un anno, poi ridotto
a cinque mesi e mezzo, di reclusione per le manifestazioni organizzate
in nel settembre del 1911 Romagna contro la guerra in Africa,
trasformatesi poi in azioni rivoluzionarie di sabotaggio) apparve
come l'uomo più adatto a impersonare il rinnovamento ideale
e politico del partito. Nel luglio del 1911 fu uno dei protagonisti
del congresso di Reggio nell'Emilia: si pose alla testa degli
intransigenti, deplorando i deputati che si erano congratulati
con il Re per lo scampato pericolo e riuscendo ad ottenere l'espulsione
dei "traditori". Assunse la direzione dell' Avanti!
il 1° dicembre del 1912. Lo scoppio del conflitto mondiale
lo trovò allineato con le posizioni ufficiali del partito,
di radicale neutralismo. Nel giro di qualche mese, in lui si formò
il convincimento - comune ad altri settori dell' "estremismo"
di sinistra - che l'opposizione alla guerra avrebbe finito per
portare il PSI a un ruolo sterile e marginale nella politica italiana,
mentre sarebbe stato opportuno sfruttare l'occasione offerta da
questo sconvolgimento internazionale per far percorrere alle masse
quella via verso il rinnovamento rivoluzionario altrimenti impossibile.
Dimessosi dalla direzione dell'organo socialista il 20 ottobre,
due giorni dopo la pubblicazione di un articolo dal titolo chiaramente
indicatore del suo mutato programma, "Dalla neutralità
assoluta alla neutralità attiva ed operante", pensò
di realizzare un suo quotidiano. Il giorno dopo l'assemblea straordinaria
del PSI milanese approvò la linea proposta da Mussolini.
Ma la direzione nazionale la pensava diversamente, così
il 15 novembre, M. accettando l'aiuto di un gruppo di finanziatori
facenti capo a Filippo Naldi, fondò "Il popolo d'Italia",
quotidiano ultranazionalista, radicalmente schierato su posizioni
interventiste a fianco dell'Intesa e in grado di ottenere immediatamente
un clamoroso successo di vendite. Espulso di conseguenza dal PSI
(24-29 novembre 1914), nell'aprile del 1915 fu arrestato a Roma
mentre si accingeva a presiedere un comizio interventista. Un
mese dopo, il 24 maggio, quando l'Italia entrò in guerra,
affermò che questa giornata era "la più radiosa
della nostra storia". Richiamato
alle armi (agosto 1915), dopo essere stato ferito durante
un'esercitazione (febbraio 1917), poté ritornare alla direzione
del suo giornale, dalle colonne del quale, tra Caporetto e i primi
mesi del 1918, ruppe gli ultimi legami ideologici con l'originaria
matrice socialista, in nome di un superamento dei tradizionali
antagonismi di classe, prospettando l'attuazione di una società
produttivistico-capitalistica in grado di soddisfare le aspirazioni
economiche di tutti i ceti. Con la fine della guerra, avvenne
a Milano, in Piazza San Sepolcro, il 23 marzo 1919, la fondazione
dei fasci di combattimento che benché facessero appello
alle simpatie di elementi quanto mai eterogenei e si basassero
su un ambiguo programma che mescolava in modo spregiudicato idee
radicali di sinistra e fermenti di acceso nazionalismo, non ebbero
inizialmente successo. Tuttavia, man mano che la situazione italiana
si stava deteriorando e il fascismo si caratterizzava come forza
organizzata in funzione antisocialista e antisindacale, M. otteneva
crescenti adesioni e favori da agrari e industriali e dai ceti
medi. Alle elezioni del maggio 1921 alla Camera vennero eletti
36 deputati fascisti. Il 24 ottobre del 1922, in una riunione
all'Hotel Vesuvio di Napoli, M. e i suoi collaboratori decisero
di marciare su Roma. Il 27 ottobre, quando i fascisti erano giunti
alle porte della capitale, il presidente del Consiglio Facta presentò
le sue dimissioni. Il 28 ottobre i fascisti entrarono a Roma.
Il Re rifiutò di firmare il decreto per lo stato di assedio
e il 30 ottobre diede a M. l'incarico di costituire il governo.
Mussolini costituì un gabinetto di larga coalizione al
quale inizialmente parteciparono anche i popolari (ne uscirono
nell'aprile del 1923). Il 17 novembre la Camera approva il governo
con 306 voti favorevoli e 116 contrari. Consolidato ulteriormente
il potere dopo le elezioni del 1924 (il "listone" dei
fascisti e liberali ottiene 356 deputati; i popolari conquistano
40 seggi, i socialisti 47, i comunisti 18, gli altri partiti 45),
M. fu messo per qualche tempo in grave difficoltà dall'assassinio
del deputato socialista G. Matteotti. Il discorso del 3 gennaio
1925 con cui egli rivendicò a sé ogni responsabilità
politica e morale dell'accaduto segnò però la sua
controffensiva e la liquidazione del vecchio Stato liberale. Alla
fine di quello stesso anno M. fu vittima di una serie di attentati.
Il primo fu ideato (novembre 1925) dal socialista e massone T.
Zaniboni, ma le spie dell'O.V.R.A. (Opera di Vigilanza e di Repressione
dell'Antifascismo) lo evitarono. Il 7 aprile 1926 un'anziana signora
irlandese, Violet Gibson, sparò a M. durante una cerimonia
al Campidoglio, ma il proiettile gli sfiorò il volto. Nel
settembre dello stesso anno l'anarchico G. Lucetti lanciò
una bomba contro l'auto del capo del fascismo; l'ordigno scivolò
sul tetto della vettura ed esplose a terra ferendo lievemente
soltanto un passante. Sempre in quell'anno, nell'ottobre, un altro
attentato fu attribuito a un giovane (Anteo Zamboni) che avrebbe
sparato, senza successo, sfiorando appena il bersaglio, e che
fu subito dopo pugnalato a morte dai legionari fascisti. M. si
salvò da altri due attentati progettati e non eseguiti
per ingenuità o per mancanza di determinazione nel 1931
e nel 1932 rispettivamente dagli anarchici Schirru e Sbardellotto,
che furono condannati a morte solo perché avevano avuto
l'intenzione di commettere il reato. Il 21 aprile del 1927 venne
pubblicata la "Carta del Lavoro", che prevedeva 22 corporazioni.
L'11 febbraio del '29 M. firmò i Patti Lateranensi con
il Vaticano che rappresentavano la conciliazione fra lo Stato
italiano e la Santa Sed. Un'incessante propaganda cominciò
a esaltare in maniera spesso grottesca le doti di "genio"
del "duce supremo" (il titolo dux fu attribuito a M.
dopo la marcia su Roma), tramutandone la personalità fino
a farlo diventare una sorta di semidio "insonne" che
aveva "sempre ragione" ed era l'unico in grado di interpretare
i destini della patria. In politica estera, dopo lo sconcertante
episodio di Corfù occupata dalle truppe italiane nel 1923
e la decisa presa di posizione contro la minaccia tedesca di annessione
dell'Austria, cui fece seguito il Convegno di Stresa con Francia
e Gran Bretagna (1935) che sembrava delineasse un comune fronte
antihitleriano, M. dichiarò guerra all'Etiopia: il 3 ottobre
1935 le truppe italiane varcarono il confine con l'Abissinia;
alla minaccia delle "sanzioni" formulate a Ginevra rispose
con l'autarchia. Il 9 maggio 1936 M. annunciò la fine della
guerra e la nascita dell'Impero italiano d'Etiopia. Ma l'impresa,
nonostante segnasse il punto più alto della sua popolarità
in patria, in contrapposizione all'estero lo portò ad entrare
in contrasto con la Gran Bretagna, la Francia e la Società
delle Nazioni, costringendolo a un lento ma fatale avvicinamento
alla Germania. Il 6 novembre del 1937 l'Italia firmò il
"Patto Anticominform" con Germania e Giappone. L'11
dicembre di quello stesso anno uscì dalla Società
delle Nazioni. Nel frattempo l'Italia emanava le leggi razziali
contro gli ebrei, che entrarono in vigore il 17 novembre del '38.
Nel 1939, infine, M. firmò il "patto d'Acciaio"
legandosi definitivamente a Hitler. La sfida all'Inghilterra e
l'uscita dalla Società delle nazioni, la sua apoteosi di
"fondatore dell'Impero" e di primo maresciallo (30 marzo
1938) e, infine, l'assunzione del comando supremo delle truppe
operanti su tutti i fronti (11 giugno 1940) ottenuto il giorno
dopo l'ingresso in guerra al fianco dell'Asse, segnarono l'inizio
della decadenza del regime fascista. M. scelse di entrare in guerra
anche se impreparato e contro le idee dei suoi più vicini
collaboratori (Badoglio, Grandi, Ciano), nell'illusione di ottenere
un veloce e facile trionfo. Egli stesso affermerà in un
discorso di considerare "la pace perpetua come una catastrofe
per la civiltà umana". In realtà ottenne solo
insuccessi che ridiedero vigore a tutte le forze politiche contrarie
al fascismo in precedenza represse. Le conseguenze delle prime
sconfitte subite in guerra, in Grecia (1941) e poi in Egitto (1942);
e il proposito di stendere sul "bagnasciuga" i nemici
che avessero osato porre il piede sul suolo d'Italia (24 giugno
1943); dopo l'invasione anglo-americana della Sicilia e il suo
ultimo colloquio con Hitler (19 luglio 1943), fu costretto a dimettersi
da presidente del Consiglio e segretario del P.N.F. da un voto
del Gran Consiglio (24 luglio) e venne fatto arrestare dal re
Vittorio Emanuele III (25 luglio). Trasferito prima a Ponza, poi
alla Maddalena e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso, il
12 settembre fu liberato dai paracadutisti tedeschi al comando
del Maggiore della Luftwaffe Harald Mors (Otto Skorzeny in realtà
aveva compiuto il lavoro di indagine sui luoghi dove Mussolini
veniva tenuto prigioniero; egli aveva individuato e sorvolato
per primo Campo Imperatore; gli fu perciò permesso di seguire
da osservatore e senza mansioni di comando la missione). Mussolini
liberato fu portato in Germania, da dove il 15 settembre proclamò
la ricostituzione del Partito Fascista Repubblicano nell' Italia
del Nord. Ormai stanco e malato e in completa balia delle decisioni
di Hitler, si insediò quindi a Salò, capitale della
nuova Repubblica Sociale Italiana (fondata il 23 settembre 1943),
cercando senza successo di far rivivere le parole d'ordine del
fascismo della "prima ora". Sempre più isolato
e privo di credibilità, quando le ultime truppe tedesche
in Italia furono fiaccate M., trasferitosi a Milano, propose ai
capi del C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia)
un assurdo passaggio di poteri, che fu respinto. Travestito da
militare tedesco, tentò, insieme alla compagna Claretta
Petacci, la fuga verso la Valtellina. Riconosciuto a Dongo dai
partigiani, fu arrestato e il 28 aprile 1945 giustiziato insieme
alla Petacci, per ordine del C.L.N., presso Giulino di Mezzegra.
Più tardi i loro corpi, assieme a quelli degli altri gerarchi,
vennero appesi per i piedi ed esposti nel Piazzale Loreto ( dove
cinque giorni prima la folla lo aveva acclamato come Duce ed adesso
invece lo oltraggia), a Milano.
|
|
|