Il
30 giugno il generale Grazioli, comandante del corpo interalleato
di occupazione Fiume, spedì un telegramma a Badoglio informandolo
di incidenti avvenuti la sera precedente verso le ore 21 tra soldati
francesi, chiaramente filo-croati, e soldati italiani. Secondo le
informazioni fornite da Grazioli, i militari francesi avevano provocato
con il loro atteggiamento sfacciatamente filo-croato la reazione dei
commilitoni italiani. Nitti, informato dell'accaduto, raccomandò
che venissero evitati incidenti, tenuto conto anche delle gravi difficoltà
nelle quali già si dibattevano le trattative diplomatiche a
Parigi. Il 3 luglio tuttavia, malgrado le raccomandazioni del nostro
Governo, si ebbero nuovi disordini. Secondo la versione, fornita sempre
da Grazioli, un soldato francese aveva strappato una coccarda tricolore
dal petto di una ragazza. Ciò aveva provocato la reazione dei
fiumani italiani, che avevano reagito, dando luogo a nuove risse,
sedate a stento dai carabinieri e da truppe italiane. Bilancio dei
nuovi disordini: una ventina di soldati francesi feriti. lnfine il
giorno 6 luglio si ebbero gli incidenti più gravi, che provocarono
la morte i nove soldati francesi ed il ferimento di undici. Sui luttuosi
fatti disponiamo di numerose e discordanti versioni: del gen. Grazioli,
deI Consiglio Nazionale Fiumana, del capo degli autonomisti fiumani
Zanella, del gen. Savy, della Commissione d'inchiesta... L'ultima
delle versioni, presentando di gran lunga maggiore garanzia di obbiettività,
è anche quella che può essere assunta come la più
degna di fede. Gli incidenti mortali del 6 luglio furono preceduti,
la sera prima, da qualche tafferuglio provocato, davanti alla caserma
dei soldati francesi, da ragazzi e giovani italiani in atteggiamento
di ironica sfida, e riprodottisi poi in maniera più grave,
con lo sparo di alcuni colpi di rivoltella e il lancio di una bomba
a mano che fortunatamente non provocarono vittime, tra cittadini e
militari italiani da una parte e soldati francesi dall'altra, questi
ultimi infine inseguiti, percossi e malmenati. Queste prime avvisaglie
lasciarono gli animi così turbati e eccitati che il mattino
della domenica 6 luglio la scintilla fatale scoccò: tre francesi
si scontrarono con una pattuglia che aprì il fuoco su di essi
uccidendone uno, ferendone un altro, arrestando il terzo. Subito la
città è in subbuglio. La folla italiana si dirige, senza
preciso motivo, senza una vera e propria provocazione, verso i magazzini
francesi di Porto Barros, dove non era mai accaduto alcun incidente.
Due colpi di rivoltella partono dalla folla, tirati da civili sulla
sentinella annamita che risponde, altri colpi partono dalle finestre
delle case dirimpetto, altri ancora attraversano il bacino del porto.
All'incirca nel momento in cui il fuoco cessa, il comando italiano
inizia l'occupazione della città. Tre compagnie di marinai
vengono sbarcate dalle navi da guerra Emanuele Filiberto, Dante e
S. Marco, ancorate nel porto. La prima si reca alla banchin dove sono
i cacciatorpediniere francesi e si dispone a loro protezione; la seconda
si reca al centro della città per garantire la libera circolazione;
la terza, ricevuto dal comandante Acton l'ordine di interporsi tra
la folla dei manifestanti e i magazzini francesi della base senza
far uso delle armi, si avvia verso il luogo. "La compagnia avanza
in colonna per quattro," si legge nella esatta relazione della
Commissione interaIleata d 'inchiesta, di cui aveva fatto parte anche
un generale italiano, e, passato il ponte girevole ode sibilare qualche
proiettile. Prende misure di combattimento: dapprima si spiega e spara
una salva, poi corre all'attacco, si vide in tre colonne, invade i
magazzini, li vista, uccide o ferisce i francesi e gli annamiti che
vi si erano rifugiati e trasporta i superstiti sull'Emanuele Filiberto
dove i feriti vengono fasciati." La Commissione d'inchiesta potè
accertare la responsabilità italiana. Erano stati uccisi due
soldati già arresisi; alcuni soldati furono uccisi a pugnalate;
la folla lanciò due granate, che provocarono una vittima. Il
9 agosto del 1919 la Commissione d'inchiesta potè consegnare
il suo rapporto al Consiglio Supremo della Conferenza della Pace a
Parigi e potè inoltre suggerire i provvedimenti del caso. Essi
erano:
- sostituzione del Consiglio Nazionale italiano di Fiume con un Governo
interalleato della città;
- elezioni generali, sotto il controllo di rappresentanti interalleati
(avrebbero votato in unico collegio i fiumani e gli abitanti di Susak,
del tutto croata);
- riduzione delle forze militari italiane;
- scioglimento della legione fiumana del capitano Host-Venturi;
- creazione di un corpo di polizia inglese o americano;
- deferimento agli organi giudiziari dei responsabili dei luttuosi
incidenti;
- risarcimento da parte italiana dei danni morali e materiali causati
ai francesi. Nitti cercò in tutti i modi di evitare che venisse
data pubblicità alle decisioni della commissione; ma era impossibile
che il pubblico italiano le ignorasse. Ormai tutti i giornali francesi
ne parlavano, e riferivano anche della imminente partenza dalla città
dei granatieri di Sardegna, che sarebbero stati sostituiti dalla brigata
Regina. Nitti, sebbene potesse agire per mezzo della censura di guerra,
ancora scandalosamente non abolita in Italia, dovette rassegnarsi
a che gl'italiani conoscessero ciò che la Commissione interalleata
d'inchiesta aveva appurato.
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I generali Grazioli
e Badoglio
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