DISCORSO
DI TRIESTE.
Prefazione
Il 20 Settembre 1920 - cinquantesimo anniversario del compimento
della prima fase dell'unità d'Italia - il Duce pronunciava
questo discorso in Trieste, al Politeama Rossetti. Coglieva l'occasione
per considerare, in una sintesi critica, l'attivo e il passivo
del Risorgimento italiano e della più recente Storia d'Italia,
per stabilire la genesi, i compiti e i fini del Fascismo. Questo
discorso - critico e programmatico a un tempo - è uno di
quelli che pongono, nei momenti più torbidi e tristi, le
chiare basi della ricostruzione. In esso appare quel supremo ideale
della missione di Roma che è destinato a divenire, dopo
il 1922, uno dei capisaldi spirituali e pragmatici del Regime
Fascista.
Io
non vi considero, o triestini, come degli italiani ai quali non
si può dire ancora la verità o tutta la verità,
perché io vi considero come i migliori fra gli italiani,
ed il vostro entusiasmo di oggi me lo dimostra. L'evento, che
ebbe il 20 Settembre 1870 in Roma il suo compimento, fu un magnifico
quadro dentro ad una mediocre cornice, nè su ciò
mi soffermerò. Dopo cinquant'anni dalla Breccia di Porta
Pia, noi dobbiamo fare il nostro esame di coscienza. Una nazione
come la nostra, che era uscita da una lunga divisione plurisecolare,
che aveva appena raggiunto l'unità, non aveva ossa sufficientemente
robuste per reggere il peso di una politica mondiale. Un uomo
grande nel pensiero italiano, Francesco Crispi, ruppe questa tradizione.
In cinquant'anni di vita, l'Italia ha realizzato progressi meravigliosi.
Prima di tutto c'è un dato di fatto: ed è la vitalità
della nostra stirpe, della nostra razza. Ci sono delle nazioni
che ogni anno devono compulsare con una certa preoccupazione i
registri dello stato civile, perché, o signori, è
appunto in questo disquilibrio che si producono le grandi crisi
dei popoli, e voi sapete a chi alludo. Ma l'Italia non ha di queste
preoccupazioni. L'Italia faceva 27.000.000 di abitanti nel 1870;
ne ha 50.000.000 adesso: 40.000.000 nella penisola, ed è
il blocco più omogeneo che ci sia in Europa. Perché,
a paragone del blocco boemo, ad esempio, dove 5.000.000 di ezechi
governano 7.000.000 di un'altra razza, l'Italia non ha che 180.000
tedeschi nell'Alto Adige immigrati in casa nostra; non ha che
360.000 slavi immigrati in casa nostra, mentre tutto il resto
è un blocco unico e compatto. E accanto a questi 40.000.000
in Italia, ce ne sono 10.000.000 che hanno straripato in tutti
i continenti, oltre tutti gli oceani: 700.000 italiani sono a
Nuova York, 400.000 nello stato di San Paolo, dove la lingua di
stato dovrà divenire la lingua italiana, 900.000 nella
repubblica argentina, 120.000 in Tunisia, quella Tunisia alla
quale rinunciammo in un momento di minchioneria colossale: quella
Tunisia che abbiamo riconquistato attraverso l'opera meravigliosa
dei coloni siciliani che ivi hanno trasportato le loro tende che
oggi lavorano per la reggenza francese, ma che molto probabilmente
lavoreranno domani sotto la reggenza italiana. E' un peccato che
gli stranieri ci conoscano poco, ma è anche più
grave che gli italiani conoscano poco l'Italia, perché
se la conoscessero, si vedrebbe che molti popoli d'oltre confine
sono ancora più indietro di noi, si saprebbe che nel campo
industriale il più potente impianto idroelettrico del mondo
è in Italia. E non mi si parli di forze reazionarie in
Italia. Mi fanno ridere quelli che parlano di governo reazionario,
specialmente se sono elementi immigrati o rinnegati di Trieste;
perché se c'è un paese al mondo dove la libertà
sta per sconfinare nella licenza, dove la libertà è
patrimonio inviolabile di tutti i cittadini, è l'Italia.
Non si è visto ancora in Italia quello che si è
visto in Francia, dove per uno sciopero politico la Repubblica
francese, ha sciolto la Confederazione generale del Lavoro, ha
legato i capi e li tiene ancora n galera; non si è visto
ancora quello che si è visto in Inghilterra, dove elementi
cosiddetti non desiderabili sono spediti oltre la Manica, e non
si è visto ancora in Italia quello che si è visto
compiuto nell'ultra democratica repubblica degli Stati Uniti,
dove in una sola notte 500 cosiddetti sovversivi vengono legati
e spediti in 24 ore oltre l'Atlantico. Se c'è qualche cosa
da dire è questo: è tempo di imporre una ferrea
disciplina ai singoli ed alle folle, perché un conto è
la rinnovazione sociale, alla quale non siamo contrari, ed un
conto è la dissoluzione in casa. Finché si parla
di trasformazione, noi ci siamo tutti, ma quando invece si vuol
fare il salto nel buio, allora noi poniamo il nostro alto là.
Passerete, diciamo, ma passerete sui nostri corpi; e prima dovete
vincere la nostra resistenza. Ora, dopo mezzo secolo di vita italiana,
che io vi ho così schematicamente riassunto, Trieste è
italiana e sul Brennero sventola il tricolore. Se fosse possibile
attardarci un minuto a misurare la grandiosità dell'evento,
voi trovereste che il fatto che sul Brennero ci sia il tricolore,
è un fatto di importanza capitale, non solo nella storia
italiana, ma anche nella storia europea. Il tricolore sul Brennero
significa che i tedeschi non caleranno più impunemente
nelle nostre contrade. Si sono messi tra noi e loro i ghiacciai
e sopra i ghiacciai quei magnifici alpini che andavano all'assalto
del Monte Nero, che si sono sacrificati all'Ortigara ed hanno
sulle loro bandiere il motto: " Di qui non si passa".
Ora è un fatto importantissimo che Trieste è venuta
all'Italia dopo una vittoria colossale. Se noi non fossimo così
quotidianamente presi dalle necessità della vita materiale,
se non avessimo continuamente attraversato il pensiero da altri
problemi mediocri e banali, noi sapremmo misurare tutto ciò
che si svolse sulle rive del Piave nel Giugno ed a Vittorio Veneto
nell'Ottobre. Un impero andò in sfacelo in un'ora, un impero
che aveva resistito nei secoli, un impero dove si era sviluppata
necessariamente un'arte sopraffina di governo che consisteva nel
suo eterno divide et impera, saggiamente, secondo la sapienza
di Budapest e di Vienna. Questo impero aveva un esercito, aveva
una politica tradizionale, aveva una burocrazia, aveva legato
tutti i cittadini a suffragio universale. Quest'impero che sembrava
potente, invincibile, crollò sotto i colpi delle baionette
del popolo italiano. Il risorgimento italiano non è che
una lotta fra un popolo ed uno Stato, fra il popolo italiano da
una parte e lo Stato absburgico dall'altra, fra la forza viva
a venire e il morto passato. Era fatale che avendo passato il
Mincio nel 1859 e l'Adige nel 1866, nel 1915 si dovesse passare
l'Isonzo e giungere oltre: era fatale, tanto fatale che oggi gli
stessi neutralisti, lo stesso uomo del "parecchio",
Giolitti, intervistato da un giornalista americano, ha dovuto
riconoscere che l'Italia, pena il suicidio, pena la morte, pena
maggiore: la vergogna, non poteva rimanere neutrale. Era per lui
questione di modo e di tempo. Ma essenziale per noi è che
l'uomo del "parecchio" abbia detto che l'Italia doveva
intervenire più tardi o prima non importa, e che era logico
e fatale che l'intervento si sviluppasse a fianco dell'Intesa.
Questa rivendicazione del nostri interventismo è quella
che ci dà la massima soddisfazione. E che cosa importa
se leggo in un libro nero e melanconico che Trieste, Trento e
Fiume rappresentano ancora un deficit di fronte alla guerra? Questo
modo di ragionare è ridicolo. Prima di tutto non si riducono
gli avvenimenti della storia ad una partita computistica di dare
ed avere, di entrata ed uscita. Non si può fare un bilancio
preventivo nei fatti della storia, e pretendere che collimi col
bilancio consuntivo. Tutto questo è frutto di una melanconia
filosofica abbastanza diffusa in Italia dopo la guerra. Ma speriamo
che passi presto, per dar posto a sentimenti di ottimismo e di
orgoglio. Questo dopoguerra è certamente critico: lo riconosco;
ma chi pretende che una crisi gigantesca come quella di cinque
anni di guerra mondiale si risolva subito? Che tutto il mondo
ritorni tranquillo come prima in men di due anni? La crisi non
è di Trieste, di Milano, d'Italia, ma mondiale, e non è
finita.La lotta è l'origine di tutte le cose perché
la vita è tutta piena di contrasti: c'è l'amore
e l'odio, il bianco e il nero, il giorno e la notte, il bene e
il male e finché questi contrasti non si assommano in equilibrio,
la lotta sarà sempre nel fondo della natura umana, come
suprema fatalità. E del resto è bene che sia così.
Oggi può essere la lotta di guerra economica, di idee,
ma il giorno in cui più non si lottasse, sarebbe giorno
di malinconia, di fine, di rovina. Ora, questo giorno non verrà.
Appunto perché la storia si presenta sempre come un panorama
cangiante. Se si pretendesse di ritornare alla calma, alla pace,
alla tranquillità, si combatterebbero le odierne tendenze
dell'attuale periodo dinamico. Bisogna prepararsi ad altre sorprese,
ad altre lotte. Non ci sarà un periodo di pace sino a quando
i popoli si abbandoneranno ad un sogno cristiano di fratellanza
universale e potranno stendersi la mano oltre gli oceani e le
montagne. Io, per mio conto, non credo troppo a questi ideali,
ma non li escludo perché io non escludo niente: tutto è
possibile, anche l'impossibile e l'assurdo. Ma oggi, come oggi,
sarebbe fallace, pericoloso, criminoso costruire le nostre case
sulla fragile sabbia dell'internazionale cristiano-socialista-comunista.
Questi ideali sono rispettabili, ma sono ancora molto lontani
dalla realtà. Quale l'azione del Fascismo in questo periodo
così travagliato del dopoguerra? Primo pilastro fondamentale
dell'azione Fascista è l'italianità, cioè:
noi siamo orgogliosi di essere italiani, noi intendiamo, anche
andando in Siberia, di gridare ad alta voce: Siamo Italiani !
Ora è appunto tutto questo che ci separa da molta altra
gente che è così grottesca e piccina e che nasconde
la sua italianità perché in Italia c'era una volta
l'80% di analfabeti. Analfabeta non significa niente, perché
anche la piccola mediocre istruzione elementare può essere
peggiore dell'analfabetismo puro e semplice. E' vecchia idealità
quella di credere che è più intelligente uno che
sa scrivere di uno che, essendo forse più intelligente
non lo sa. Quella gente si vergogna, per esempio, se gli emigranti
italiani distribuiscono qualche generosa coltellata: ma tutto
questo è un modo molto brillante di dimostrare che gli
italiani non sono vigliacchi nè rammolliti e che hanno
il mezzo di difendere l'italianità quando i consoli non
sanno difenderla. Ora noi rivendichiamo l'onore di essere italiani,
perché nella nostra penisola, meravigliosa e adorabile
-adorabile benché ci siano degli abitatori non sempre adorabili
- s'è svolta la storia più prodigiosa e meravigliosa
del genere umano. Pensate voi a un uomo che stia pure nel lontano
Giappone o nell'America dei dollari o in qualche altro sito anche
recondito, pensate se quest'uomo possa essere civile senza conoscere
la storia di Roma. Non è possibile. Roma è il nome
che riempie tutta la storia per 20 secoli. Roma dà il segnale
della civiltà universale; Roma che traccia strade, segna
confini e che dà al mondo le leggi eterne dell'immutabile
suo diritto. Ma se questo è stato il compito universale
di Roma nell'antichità, ecco che dobbiamo assolvere ancora
un altro compito universale. Questo destino non può diventare
universale se non si trapianta nel terreno di Roma. Attraverso
il cristianesimo, Roma trova la sua forma e trova il modo di reggersi
nel mondo. Ecco Roma che ritorna centro dell'impero universale
che parla la sua lingua. Pensate che il compito di Roma non è
finito, no, perché la storia italiana del medioevo, la
storia più brillante di Venezia, che regna per 10 secoli,
che porta le sue galee in tutti i mari, che ha ambasciate e governi
, governi di cui oggi si è perduta la semente, non si è
chiusa. La storia dei comuni italiani, è una storia piena
di prodigi, piene di grandezza, di nobiltà. Andate a Venezia,
a Pisa, ad Amalfi, a Genova, a Firenze, e voi troverete là
sui palazzi, nelle strade, il segno, l'impronta di questa nostra
meravigliosa e non ancora marcita civiltà. Ora, amici che
ascoltate, dopo questo periodo, sul principio dell'800 in cui
l'Italia era divisa in 7 piccoli stati, sorse una generazione
di poeti: la poesia ha anche il compito di suscitare l'entusiasmo
e di accendere le fedi e non per niente il più grande poeta
dell'Italia moderna, lo vogliano o no gli scribi che non sanno
esprimere nel loro cervello un'ideuzza, il più grande poeta
d'Italia, Gabriele D'Annunzio, realizza, nella magnifica unità
di pensiero e di sentimento, l'azione che è una caratteristica
del popolo italiano. Siamo orgogliosi di essere italiani, non
già per un criterio di gretto esclusivismo. Lo spirito
moderno ha il timpano auricolare teso verso la bellezza e la verità.
Non si può pensare un uomo moderno che non abbia letto
Cervantes, Shakespeare, Goethe, che non abbia letto Tolstoj. Ma
tutto questo non deve farci dimenticare che noi abbiamo tenuto
il primato, che noi eravamo grandi quando gli altri non erano
nati, che mentre il tedesco Klopstock scriveva la verbosa messiade,
Dante Alighieri dal 1265 al 1321 giganteggiava. E abbiamo ancora
la scultura di Michelangelo, la pittura di Raffaello, l'astronomia
di Galileo, la medicina di Morgagni e accanto a questi il misterioso
Leonardo da Vinci, che eccelle in tutti i campi e, se volete passare
all'arte della politica e della guerra, ecco Napoleone, ma soprattutto
Garibaldi latinamente italiano. Queste sono le Dolomiti del pensiero,
dello spirito italiano, ma accanto a queste Dolomiti, quasi inaccessibili,
c'è un panorama di culmini e di vette minori, che dimostrano
che non si può assolutamente pensare alla civiltà
umana senza il contributo formidabile recatovi dal pensiero italiano.
E questo bisogna ripetere qui dove stanno, ai nostri confini,
tribù più o meno abbaianti lingue incomprensibili
e che pretenderebbero, soltanto perché sono in tanti di
sopprimere e soppiantare questa nostra meravigliosa civiltà
che ha resistito due millenni e si prepara a resistere il terzo.
Quanto al secondo pilastro del Fascismo esso significa antidemagogia
e pragmatismo. Non abbiamo nessun preconcetto, non ideali fissi
e soprattutto non orgoglio sciocco. Coloro che dicono: "Siete
infelici, eccovi la ricetta per la felicità", mi fanno
venire a mente la reclame:" Volete la salute?". Noi
non promettiamo agli uomini felicità qui nè al di
là, a differenza dei socialisti, che pretenderebbero di
mascherare la faccia dei Mediterranei con la maschera russa. Una
volta c'erano i cortigiani che bruciavano incenso davanti ai re
e ai papi, e ora, c'è una nuova genia che brucia incenso
senza sincerità davanti al proletariato. Dicono: solo chi
ha l'Italia nelle mani ha diritto di governare e magari costoro
non sanno governare nemmeno la propria famiglia. Noi no. Noi teniamo
altro linguaggio, molto più serio e spregiudicato e più
degno di uomini liberi. Noi non escludiamo che il proletariato
sia capace di sostituire altri valori, ma diciamo al proletariato:
prima di pretendere di governare una nazione incomincia col governare
te stesso: comincia a rendertene degno, tecnicamente, e prima
ancora moralmente, perché governare è cosa tremendamente
complessa, difficile e complicata. La nazione ha milioni e milioni
di individui i cui interessi contrastano, e non ci sono esseri
superiori che possano conciliare tutte queste contrarietà
per fare una unità di progressi e di vita.D'altra parte
noi non siamo passatisti assolutamente legati ai sassi e alle
macerie. Nelle città moderne tutto deve trasformarsi. Ai
trams, alle automobili, ai motori, le vecchie strade delle nostre
città non resistono più. Poiché in esse passa
il flutto della civiltà. Si può distruggere per
ricreare il più bello, grande e nuovo, ma mai distruggere
col gusto del selvaggio che spezza una macchina per vedere che
cosa c'è dentro. Non ci rifiutiamo a modificazioni anche
nella città dello spirito, appunto perché lo spirito
è delicato. A me non ripugna nessuna trasformazione sociale
necessaria. Così accetto anche questo famoso controllo
delle fabbriche ed anche la gestione cooperativa sociale delle
fabbriche, ma semplicemente chiedo che si abbia la coscienza morale
pulita, la capacità tecnica per mandare avanti le aziende;
chiedo che queste aziende producano di più, e se ciò
mi è garantito dalle maestranze operaie e non più
padronali, non ho difficoltà a dire che gli ultimi hanno
il diritto di sostituire i primi. Quello cui ci opponiamo noi
Fascisti è la mascheranza bolscevica del socialismo italiano.
E' strano che una razza che ha avuto Pisacane e Mazzini vada a
cercare i vangeli prima in Germania e poi in Russia. Bisognerebbe
studiare un po' Pisacane e Mazzini e si vedrebbe che alcune delle
verità che si pretendono rivelate dalla Russia non sono
che verità già consacrate nei libri dei nostri grandi
maestri italiani. Ma infine come pensate che il comunismo sia
possibile in Italia, il paese più individualista del mondo?
Questo è possibile dove ogni uomo è un numero, ma
non in Italia, dove ogni uomo è un individuo, anzi una
individualità. Ma poi, cari signori, esiste ancora in Russia
questo bolscevismo? Non esiste più. Non più consigli
di fabbrica, ma dittatori di fabbrica; non 8 ore di lavoro, ma
12; non eguaglianza di salari, ma 35 categorie di salari; non
secondo il bisogno, ma secondo i meriti. Non c'è in Russia
nemmeno quella libertà che ha l'Italia. C'è una
dittatura del proletariato? No! C'è una dittatura dei socialisti?
No! C'è una dittatura di pochi uomini intellettuali non
operai, appartenenti ad una frazione del partito socialista, combattuta
da tutte le altre frazioni. Questa dittatura di pochi uomini è
quella che si chiama bolscevismo. Ora, in Italia noi non ne vogliamo
sapere, e gli stessi socialisti, compresi quelli che hanno veduto
la Russia, quando voi li interrogate, riconoscono che non si può
trapiantare in Italia quello che va male in Russia. Solamente
hanno il torto di non dirlo apertamente, hanno il torto di giocare
sull'equivoco e di mistificare le masse. Ripetiamo, noi non siamo
contrari alle masse operaie, perché esse sono necessarie
alla nazione, sono necessarie, sacrosantamente necessarie. I 20
milioni di italiani che lavorano col braccio hanno il diritto
di difendere i loro interessi. Quella che noi combattiamo è
la mistificazione dei politicanti a danno delle classi operaie;
noi combattiamo questi nuovi preti in mala fede che promettono
un paradiso nel quale non credono neppure essi. Quelli che a Trieste
fanno i bolscevichi più accesi, lo fanno semplicemente
per rendersi simpatici alle masse slave che abitano qui vicino.
E se io ho una disistima profonda, un disprezzo profondo di molti
capi del movimento bolscevico d'Italia, è perché
li conosco bene, perché li ho conosciuti tutti quanti,
sono stato con loro a contatto; so benissimo che quando fanno
i leoni sono conigli, so benissimo che fanno come quei tali frati
di Arrigo Heine, che predicano apertamente l'acqua e bevono nascostamente
il vino. Noi vogliamo appunto che questa turpe speculazione finisca,
anche perché è antinazionale. Mi sapete dire per
qual caso singolare in tutte le questioni i socialisti italiani
sono contro l'Italia? Mi sapete dire perché sono sempre
coi popoli che avversano l'Italia? Cogli albanesi, coi croati,
coi tedeschi, e con tutti gli altri popoli? Mi sapete spiegare
perché si grida viva l'Albania che fa la guerra per avere
Valona che è albanese e non si grida viva l'Italia che
fa la guerra per avere Trento e Trieste che sono italiane? Ma
che criterio è questo di essere sempre contro l'Italia
e di gridare sempre stupidissimi "via"? Quattro arabi
si rivoltano in Libia: via dalla Libia ! Seimila albanesi attaccano:
via da Valona ! E se domani i croati della Dalmazia ci attaccheranno,
i socialisti diranno: via dalla Dalmazia ! E se domani su questi
monti arsicci del Carso si sviluppasse un movimento insurrezionale
contro Trieste, temo che i socialisti d'Italia direbbero anche:
via da Trieste ! Ma ci sono anche italiani di qui e fuori di qui
che affogherebbero loro in bocca il grido fratricida. Ed è
lo stesso della loro opposizione alla guerra. Vedete, la guerra
è cosa orribile. Lo sanno coloro che l'hanno fatta. Ma
allora bisogna spiegarsi: o la guerra in se e per se, fatta per
qualsiasi ragione, sotto qualsiasi latitudine, per qualsiasi pretesto,
non deve farsi e allora io rispetto questi umanitari, questi tolstoiani
se dicono: io aborro dal sangue per qualsiasi ragione sia versato.
Li rispetto e li ammiro, sebbene trovi ciò leggermente
inattuabile. Ma i socialisti gridano "abbasso la guerra",
quando la fa l'Italia e "viva la guerra" quando la fa
la Russia. Voi avete un giornale che era lieto quando i cosiddetti
bolscevichi marciavano su Varsavia e usava un stile prettamente
militare: "Mentre scriviamo, il cannone, ecc". Lo sappiamo
a memoria. Ma allora la guerra non è la stessa cosa. La
guerra russa non fa vedove, non fa orfani? Non è fatta
coi cannoni, aeroplani, e tutte le armi infine che straziano e
uccidono corpi umani? O voi, dunque, siete contrari a tutte le
guerre, e allora noi potremo discutere insieme, ma se voi fate
distinzione fra guerra e guerra, guerra che si può fare
e guerra che non si può fare, allora noi vi diciamo che
il vostro umanitarismo ci fa schifo. E se avete ragione di fare
la guerra, avevamo ragione noi di farla per i destini della nazione
nel 1915. Quale può essere quindi - e volgo alla fine -
il compito dei Fascisti? Il compito dei Fascisti in Italia è
questo: tenere testa alla demagogia con coraggio, energia ed impeto.
Il Fascio si chiama di combattimento e la parola combattimento
non lascia dubbi di sorta. Combattere con armi pacifiche, ma anche
con armi guerriere. Del resto tutto ciò è normale
in Italia perché tutto il mondo si arma e quindi è
assolutamente necessario che noi che siamo italiani, ci armiamo
a nostra volta. Ma il compito dei Fascisti di queste terre è
più delicato, più sacro, più difficile, più
necessario. Qui il Fascismo ha ragione d'essere; qui il Fascismo
trova il suo terreno naturale di sviluppo. In questa giornata
storica mentre la crisi italiana sembra aggravarsi - non importa,
si risolverà - io ho fiducia illimitata nell'avvenire della
nazione italiana. Le crisi si succederanno alle crisi, ci saranno
pause e parentesi, ma andremo all'assestamento e non si potrà
pensare a una storia di domani senza la partecipazione italiana.
Perché è bensì vero che nel 1919 l'Italia
ha avuto un Nitti e nel 1920 un Giolitti, ma se questa è
la faccia nera della situazione, dall'altra parte la faccia splendente
di questa situazione è Gabriele D'Annunzio, il quale ha
realizzato l'unica rivolta contro la plutocrazia di Versaglia.
Molti ordini del giorno, molti articoli di giornali, molte chiacchiere
più o meno insulse, ma l'unico che abbia compiuto un gesto
vero e reale di rivolta, l'unico che per dodici o tredici mesi
ha tenuto in iscacco tutte le forze del mondo è Gabriele
D'Annunzio insieme coi suoi legionari. Contro quest'uomo di pura
razza italiana si accaniscono tutti i vigliacchi ed è per
questo che noi siamo fierissimi ed orgogliosi di essere con lui,
anche se contro di noi si accanisca la vasta tribù degli
scemi. Quest'uomo significa anche la possibilità della
vittoria e della resurrezione. E questa possibilità esiste,
perché abbiamo fatto la guerra e abbiamo vinto ed è
ridicolo che coloro che di più hanno beneficiato della
guerra, in stipendi, in voti, in onori, siano proprio coloro che
sputano oggi su questa guerra e su questa vittoria. Ad ogni modo
io penso, e questa vostra adunata me ne fa testimonianza solenne,
che l'ora della riscossa del valore nazionale è spuntata.
C'è da una parte un vasto mondo che brulica, ma c'è
anche un mondo che non è immemore che non è ignorante.
Mentre partivo da Milano, mi giungeva da Cupra Marittima, un piccolo
paese dell'Italia centrale, un invito del sindaco che mi chiamava
a commemorare i caduti in guerra. Non ho accettato perché
i discorsi mi pesano. Ma questo episodio, come il pellegrinaggio
dell'Ortigara, il pellegrinaggio sul Grappa, il pellegrinaggio
del 24 Ottobre sulle pietraie del Carso, vi dice che i valori
ideali e morali non sono ancora tutti perduti e stanno anzi risorgendo.
Noi vogliamo aiutare questa rinascita di valori spirituali e morali
e vogliamo aiutarla colle opere scritte e fatte. Ieri ebbi un
minuto di viva commozione passando l'Isonzo. Tutte le volte che
ho passato quel fiume con lo zaino sulle spalle, mi sono chinato
a bere quell'acqua cristallina e limpida. Se non avessimo varcato
quel fiume, oggi il tricolore non sarebbe su San Giusto. Qui è
il significato vero e proprio della guerra. Orbene, se il tricolore
è issato su San Giusto, vi è issato perché
20 anni fa un triestino fu il precursore di questa gesta; vi è
issato anche perché nel 1915 i battaglioni italiani si
precipitarono sui reticolati austriaci; ed a questa gesta tutta
l'Italia ha preso parte, dagli alpini delle montagne di Piemonte,
di Lombardia, del Friuli, alle fanterie magnifiche dell'Abruzzo,
delle Puglie, della Sicilia ed ai soldati dell'isola generosa
e ferrigna, della Sardegna dimenticata anche troppo dal Governo
italiano. E quei generosi figli non si sono ancora levati in rappresaglie
contro i demagoghi dell'Italia, perché sono ancora sempre
pronti a compiere il loro dovere. Triestini ! Il tricolore di
San Giusto è sacro: il tricolore sul Nevoso è sacro;
ancora più sacro è il tricolore sulle Dinariche.
Il tricolore sarà protetto dai nostri eroici morti: ma
giuriamo insieme che sarà difeso anche dai vivi !
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