Signori!
Il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi forse non potrà
essere, a rigor di termini, classificato come un discorso parlamentare.
Può darsi che alla fine qualcuno di voi trovi che questo
discorso si riallaccia, sia pure attraverso il varco del tempo trascorso,
a quello che io pronunciai in questa stessa aula il 16 novembre.
Un discorso di siffatto genere può condurre, ma può
anche non condurre ad un voto politico. Si sappia ad ogni modo che
io non cerco questo voto politico. Non lo desidero: ne ho avuti
troppi. L'articolo 47 dello Statuto dice: " La Camera dei deputati
ha il diritto di accusare i ministri del re e di tradurli dinanzi
all'Alta corte di giustizia ". Domando formalmente se in questa
Camera, o fuori di questa Camera, c'è qualcuno che si voglia
valere dell'articolo 47. Il mio discorso sarà quindi chiarissimo
e tale da determinare una chiarificazione assoluta. Voi intendete
che dopo aver lungamente camminato insieme con dei compagni di viaggio,
ai quali del resto andrebbe sempre la nostra gratitudine per quello
che hanno fatto, è necessaria una sosta per vedere se la
stessa strada con gli stessi compagni può essere ancora percorsa
nell'avvenire. Sono io, o signori, che levo in quest'aula l'accusa
contro me stesso. Si è detto che io avrei fondato una Ceka.
Dove? Quando? In qual modo? Nessuno potrebbe dirlo! Veramente c'è
stata una Ceka in Russia, che ha giustiziato, senza processo, dalle
centocinquanta alle centosessantamila persone, secondo statistiche
quasi ufficiali. C'è stata una Ceka in Russia, che ha esercitato
il terrore sistematicamente su tutta la classe borghese e sui membri
singoli della borghesia. Una Ceka che diceva di essere la rossa
spada della rivoluzione. Ma la Ceka italiana non è mai esistita.
Nessuno mi ha negato fino ad oggi queste tre qualità: una
discreta intelligenza, molto coraggio e un sovrano disprezzo del
vile denaro. Se io avessi fondato una Ceka l'avrei fondata seguendo
i criteri che ho sempre posto a presidio di quella violenza che
non può essere espulsa dalla storia. Ho sempre detto, e qui
lo ricordano quelli che mi hanno seguito in questi cinque anni di
dura battaglia, che la violenza, per essere risolutiva, deve essere
chirurgica, intelligente, cavalleresca. Ora i gesti di questa sedicente
Ceka sono stati sempre inintelligenti, incomposti, stupidi. Ma potete
proprio pensare che nel giorno successivo a quello del Santo Natale,
giorno nel quale tutti gli spiriti sono portati alle immagini pietose
e buone, io potessi ordinare un'aggressione alle 10 del mattino
in via Francesco Crispi, a Roma, dopo il mio discorso di Monterotondo,
che è stato forse il discorso più pacificatore che
io abbia pronunziato in due anni di governo? Risparmiatemi di pensarmi
così cretino. E avrei ordito con la stessa intelligenza le
aggressioni minori di Misuri e di Forni? Voi ricordate certamente
il discorso del 7 giugno. Vi è forse facile ritornare a quella
settimana di accese passioni politiche, quando in questa aula la
minoranza e la maggioranza si scontravano quotidianamente, tantochè
qualcuno disperava di riuscire a stabilire i termini necessari di
una convivenza politica e civile fra le due opposte parti della
Camera. Discorsi irritanti da una parte e dall'altra. Finalmente,
il 6 giugno, l'onorevole Delcroix squarciò, col suo discorso
lirico, pieno di vita e forte di passione, l'atmosfera carica, temporalesca.
All'indomani, io pronuncio un discorso che rischiara totalmente
l'atmosfera. Dico alle opposizioni: riconosco il vostro diritto
ideale ed anche il vostro diritto contingente; voi potete sorpassare
il fascismo come esperienza storica; voi potete mettere sul terreno
della critica immediata tutti i provvedimenti del Governo fascista.
Ricordo e ho ancora ai miei occhi la visione di questa parte della
Camera, dove tutti intenti sentivano che in quel momento avevo detto
profonde parole di vita e avevo .stabilito i termini di quella necessaria
convivenza senza la quale non è possibile assemblea politica
di sorta. E come potevo, dopo un successo, e lasciatemelo dire senza
falsi pudori e ridicole modestie, dopo un successo così clamoroso,
che tutta la Camera ha ammesso, comprese le opposizioni, per cui
la Camera si aperse il mercoledì successivo in un'atmosfera
idilliaca, da salotto quasi, come potevo pensare, senza essere colpito
da morbosa follia, non dico solo di far commettere un delitto, ma
nemmeno il più tenue, il più ridicolo sfregio a quell'avversario
che io stimavo perché aveva una certa crânerie, un
certo coraggio, che rassomigliavano qualche volta al mio coraggio
e alla mia ostinatezza nel sostenere le tesi? Che cosa dovevo fare?
Dei cervellini di grillo pretendevano da me in quella occasione
gesti di cinismo, che io non sentivo di fare perché repugnavano
al profondo della mia coscienza. Oppure dei gesti di forza? Di quale
forza? Contro chi? Per quale scopo? Quando io penso a questi signori,
mi ricordo degli strateghi che durante la guerra, mentre noi mangiavamo
in trincea, facevano la strategia con gli spillini sulla carta geografica.
Ma quando poi si tratta di casi al concreto, al posto di comando
e di responsabilità si vedono le cose sotto un altro raggio
e sotto un aspetto diverso. Eppure non mi erano mancate occasioni
di dare prova della mia energia. Non sono ancora stato inferiore
agli eventi. Ho liquidato in dodici ore una rivolta di Guardie Regie,
ho liquidato in pochi giorni una insidiosa sedizione, in quarantott'ore
ho condotto una divisione di fanteria e mezza flotta a Corfù.
Questi gesti di energia, e quest'ultimo, che stupiva persino uno
dei più grandi generali di una nazione amica, stanno a dimostrare
che non è l'energia che fa difetto al mio spirito. Pena di
morte? Ma qui si scherza, signori. Prima di tutto, bisognerà
introdurla nel Codice penale, la pena di morte; e poi, comunque,
la pena di morte non può essere la rappresaglia di un Governo.
Deve essere applicata dopo un giudizio regolare, anzi regolarissimo,
quando si tratta della vita di un cittadino! Fu alla fine di quel
mese, di quel mese che è segnato profondamente nella mia
vita, che io dissi: " Voglio che ci sia la pace per il popolo
italiano "; e volevo stabilire la normalità della vita
politica. Ma come si è risposto a questo mio principio? Prima
di tutto, con la secessione dell'Aventino, secessione anticostituzionale,
nettamente rivoluzionaria. Poi con una campagna giornalistica durata
nei mesi di giugno, luglio, agosto, campagna immonda e miserabile
che ci ha disonorato per tre mesi. Le più fantastiche, le
più raccapriccianti, le più macabre menzogne sono
state affermate diffusamente su tutti i giornali! C'era veramente
un accesso di necrofilia! Si facevano inquisizioni anche di quel
che succede sotto terra: si inventava, si sapeva di mentire, ma
si mentiva. E io sono stato tranquillo, calmo, in mezzo a questa
bufera, che sarà ricordata da coloro che verranno dopo di
noi con un senso di intima vergogna. E intanto c'è un risultato
di questa campagna! Il giorno 11 settembre qualcuno vuol vendicare
l'ucciso e spara su uno dei migliori, che morì povero. Aveva
sessanta lire in tasca. Tuttavia io continuo nel mio sforzo di normalizzazione
e di normalità. Reprimo l'illegalismo. Non è menzogna.
Non è menzogna il fatto che nelle carceri ci sono ancor oggi
centinaia di fascisti! Non è menzogna il fatto che si sia
riaperto il Parlamento regolarmente alla data fissata e si siano
discussi non meno regolarmente tutti i bilanci, non è menzogna
il giuramento della Milizia, e non è menzogna la nomina di
generali per tutti i comandi di Zona. Finalmente viene dinanzi a
noi una questione che ci appassionava: la domanda di autorizzazione
a procedere con le conseguenti dimissioni dell'onorevole Giunta.
La Camera scatta; io comprendo il senso di questa rivolta; pure,
dopo quarantott'ore, io piego ancora una volta, giovandomi del mio
prestigio, del mio ascendente, piego questa assemblea riottosa e
riluttante e dico: siano accettate le dimissioni. Si accettano.
Non basta ancora; compio un ultimo gesto normalizzatore: il progetto
della riforma elettorale. A tutto questo, come si risponde? Si risponde
con una accentuazione della campagna. Si dice: il fascismo è
un'orda di barbari accampati nella nazione; è un movimento
di banditi e di predoni! Si inscena la questione morale, e noi conosciamo
la triste storia delle questioni morali in Italia. Ma poi, o signori,
quali farfalle andiamo a cercare sotto l'arco di Tito? Ebbene, dichiaro
qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo
italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica,
morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più
o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e
fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino
e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù
italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione
a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!
Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima
storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità
di questo, perché questo clima storico, politico e morale
io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.
In questi ultimi giorni non solo i fascisti, ma molti cittadini
si domandavano: c'è un Governo? Ci sono degli uomini o ci
sono dei fantocci? Questi uomini hanno una dignità come uomini?
E ne hanno una anche come Governo? Io ho voluto deliberatamente
che le cose giungessero a quel determinato punto estremo, e, ricco
della mia esperienza di vita, in questi sei mesi ho saggiato il
Partito; e, come per sentire la tempra di certi metalli bisogna
battere con un martelletto, così ho sentito la tempra di
certi uomini, ho visto che cosa valgono e per quali motivi a un
certo momento, quando il vento è infido, scantonano per la
tangente. Ho saggiato me stesso, e guardate che io non avrei fatto
ricorso a quelle misure se non fossero andati in gioco gli interessi
della nazione. Ma un popolo non rispetta un Governo che si lascia
vilipendere! Il popolo vuole specchiata la sua dignità nella
dignità del Governo, e il popolo, prima ancora che lo dicessi
io, ha detto: Basta! La misura è colma! Ed era colma perché?
Perché la sedizione dell'Aventino a sfondo repubblicano,
questa sedizione dell'Aventino ha avuto delle conseguenze. Perché
oggi in Italia, chi è fascista, rischia ancora la vita! E
nei soli due mesi di novembre e dicembre undici fascisti sono caduti
uccisi, uno dei quali ha avuto la testa spiaccicata fino ad essere
ridotta un'ostia sanguinosa, e un altro, un vecchio di 73 anni,
è stato ucciso e gettato da un muraglione. Poi tre incendi
si sono avuti in un mese, incendi misteriosi, incendi nelle Ferrovie
e negli stessi magazzini a Roma, a Parma e a Firenze. Poi un risveglio
sovversivo su tutta la linea, che vi documento, perché è
necessario di documentare, attraverso i giornali, i giornali di
ieri e di oggi: un caposquadra della Milizia ferito gravemente da
sovversivi a Genzano; un tentativo di assalto alla sede del Fascio
a Tarquinia; un fascista ferito da sovversivi a Verona; un milite
della Milizia ferito in provincia di Cremona; fascisti feriti da
sovversivi a Forlì; imboscata comunista a San Giorgio di
Pesaro; sovversivi che cantano Bandiera rossa e aggrediscono i fascisti
a Monzambano. Nei soli tre giorni di questo gennaio 1925, e in una
sola zona, sono avvenuti incidenti a Mestre, Pionca, Vallombra:
cinquanta sovversivi armati di fucili scorrazzano in paese cantando
Bandiera rossa e fanno esplodere petardi; a Venezia, il milite Pascai
Mario aggredito e ferito; a Cavaso di Treviso, un altro fascista
e ferito; a Crespano, la caserma dei carabinieri invasa da una ventina
di donne scalmanate; un capomanipolo aggredito e gettato in acqua
a Favara di Venezia; fascisti aggrediti da sovversivi a Mestre;
a Padova, altri fascisti aggrediti da sovversivi. Richiamo su ciò
la vostra attenzione, perché questo è un sintomo:
il diretto 192 preso a sassate da sovversivi con rotture di vetri;
a Moduno di Livenza, un capomanipolo assalito e percosso. Voi vedete
da questa situazione che la sedizione dell'Aventino ha avuto profonde
ripercussioni in tutto il paese. Allora viene il momento in cui
si dice basta! Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili,
la soluzione è la forza. Non c'è stata mai altra soluzione
nella storia e non ce ne sarà mai. Ora io oso dire che il
problema sarà risolto. Il fascismo, Governo e Partito, sono
in piena efficienza. Signori! Vi siete fatte delle illusioni! Voi
avete creduto che il fascismo fosse finito perché io lo comprimevo,
che fosse morto perché io lo castigavo e poi avevo anche
la crudeltà di dirlo. Ma se io mettessi la centesima parte
dell'energia che ho messo a comprimerlo, a scatenarlo, voi vedreste
allora ... Non ci sarà bisogno di questo, perché il
Governo è abbastanza forte per stroncare in pieno definitivamente
la sedizione dell'Aventino. [Vivissimi prolungati applausi] L'Italia,
o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la
calma laboriosa. Noi, questa tranquillità., questa calma
laboriosa gliela daremo con l'amore, se è possibile, e con
la forza, se sarà necessario. Voi state certi che nelle quarantott'ore
successive a questo mio discorso, la situazione sarà chiarita
su tutta l'area. Tutti sappiano che ciò che ho in animo non
è capriccio di persona, non è libidine di Governo,
non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato
e possente per la patria.
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