Discorso
pronunciato al Senato del Regno il 2 aprile 1925 per la riforma
militare
La ragione del mio intervento è questa: dopo 3 anni di
governo io voglio cogliere l'occasione per porre dinanzi al Senato
e dinanzi al popolo italiano, i problemi dei nostri ordinamenti
militari, anzi il problema globale della difesa militare della
Nazione. Sono sicuro che, dato l'argomento, non mi verrà
a mancare la vostra benevola attenzione e io vi prometto che non
ne abuserò più del tempo strettamente necessario.
Partirò da molto lontano, ma vedrete che arriverò
assai vicino, e toccherò l'argomento in pieno e a fondo.
Questione
pregiudiziale: credete voi, onorevoli Senatori, che la guerra
che devastò e insanguinò l'Europa dal 1° agosto
1914 all' 11 novembre 1918, sia stata veramente, come si diceva,
l'ultima guerra? L'intensa attenzione con la quale tutti voi avete
seguito la discussione di questi giorni, mi dimostra che voi non
condividete questo candido, rispettabile, ma pericoloso ottimismo.
Tutte le guerre si spiegano storicamente, ma il fatto guerra che
segue le società umane da Caino ad oggi non è stato
ancora spiegato; forse appartiene, come altri fenomeni, all'imperscrutabile.
Sia essa, la guerra, la generatrice di tutte le cose, come diceva
Eraclito, sia essa di origine divina, come 25 secoli dopo dice
Proudhon; sia essa, come diceva Rénan, l'elemento da cui
l'umanità trae le radici del suo progresso, fatto è
che oggi si può dire che anche la guerra che abbiamo vissuto
e che io ho l'orgoglio di aver fatto come umile fante, non è
stata l'ultima. Tanto è vero che dopo abbiamo avuto in
Europa - e trascuro le guerricciole minori - la guerra tra la
Russia e la Polonia; più tardi la guerra tra Grecia e Turchia.
Non si può pensare, onorevoli Senatori, che un'eventuale
guerra di domani in Europa ci lasci esenti dal sacrificio. Bisogna
prepararsi. Né si può pensare che la guerra scoppi
e ci lasci il tempo di prepararci. La guerra può piombare
su di noi all'improvviso. Conviene prepararsi in tempo utile,
bisogna aumentare, sino al limite della possibilità umana,
quella che io chiamo l'efficienza bellica della Nazione. E che
cosa è l'efficienza bellica della Nazione? È il
risultato supremo di tutte le forze storiche e attuali di un popolo.
Dico tutte. L'elettrificazione di una ferrovia, che riduce il
nostro fabbisogno di carbone, è un aumento della efficienza
bellica della Nazione. La bonifica di una palude che ridurrà
le nostre necessità di pane è un aumento dell'efficienza
bellica della Nazione. Una nave che scende nel mare, uno forse
dei nomi sonanti dei nostri eroi del mare, è un altro elemento
che aumenta l'efficienza bellica della Nazione. Dico storiche,
perché anche le forze storiche giocano profondamente nel
destino dei popoli. Sapete voi che cosa vuol dire per la tradizione
guerriera della Francia l'avere Napoleone agli Invalidi? E d'altra
parte tutte le forze economiche, politiche, militari, un alto
grado di coltura, sarebbero insufficienti, se il popolo si fosse
adagiato in un benessere economico e vile e non fosse più
capace di fare lo sforzo guerriero necessario. L'efficienza bellica
di una Nazione è quindi il dato complesso risultante non
dalla semplice somma, ma dalla coordinazione dell'efficienza militare,
economica, morale, industriale. La efficienza bellica militare
è un dato complesso risultante non dalla somma, ma dalla
coordinazione armonica dell'efficienza dell'Esercito, dell'efficienza
della Marina e dell'efficienza dell'Aviazione. E l'efficienza
bellica di ognuna di queste tre armi è un dato risultante
non dalla semplice somma, ma dall'armonica coordinazione e impiego
di questi tre fondamentali elementi: quadri, truppe, macchine.
Voi, onorevoli Senatori, vedete che la mia logica è semplice,
ma è strettamente consequenziale. Se io domani mi recassi
in un paese straniero a fare un'inchiesta sulle sue condizioni
e sulla sua efficienza bellica, io comincerei col domandare: Quanta
forza bilanciata avete? Quale è la durata della vostra
ferma? Ma non mi fermerei qui. Domanderei: Quanti quadri? Chi
insegna nelle vostre scuole di guerra? I sottufficiali come sono
raccolti, inquadrati, organizzati? Avete un ufficio chimico per
i gas e per gli anti-gas? La vostra aviazione è sviluppata
o ancora primitiva? Le vostre possibilità industriali sono
grandi o piccole? Le possibilità dei vostri rifornimenti
sono garantite o non garantite? Avete una marina? Il morale delle
vostre truppe e del vostro popolo è alto o basso? Quando
io avessi raccolto tutti questi elementi potrei dire di avere,
sia pure in via approssimativa, conosciuto il grado di efficienza
bellica di quel determinato popolo. Voglio dire che l'efficienza
bellica di una nazione non dipende soltanto dall'efficienza bellica
dell'esercito, e l'efficienza bellica dell'esercito non è
strettamente legata alla forza bilanciata - che fu sempre variabile
a seconda delle circostanze - e alla durata della ferma che variò
sempre con tendenza a diminuire. Si dice: "aumentate gli
stanziamenti per la forza bilanciata e per allungare la durata
della ferma". Vi do le cifre. Nel 1913-14 il totale dei milioni
assegnati all'Esercito e alla Marina era di 687, nel 1923-24 era
di 3381, nel 1925-26 sarà di tre miliardi e 552 milioni.
Voi vedete che abbiamo moltiplicato esattamente per cinque la
cifra dell'anteguerra. Aumentare la ferma e aumentare la forza
bilanciata, bisogna vedere che cosa significhi ai fini della finanza.
E le altre forze dello Stato? E la Marina? Mi par di udire la
voce del mio amico il Duca del Mare, che è veramente un
vecchio giovane lupo di mare, che mi dice: "Presidente, e
la Marina?" Questa domanda mi fa riflettere, perché
non vi è dubbio che con la scomparsa della flotta tedesca,
che era modernissima e potente, si è profondamente alterato
l'equilibrio navale mondiale. Oggi l'Inghilterra sposta più
liberamente le sue flotte e la Francia - bisogna pur prendere
dei termini di paragone - ha un programma navale del quale io
reputo conveniente di esporvi le cifre. Per nuove costruzioni
navali la Francia ha impegnato nel bilancio del 1925, 479 milioni
di lire carta, nel bilancio del 1926, 652 milioni di lire carta,
nel 1927, 789 milioni di lire carta, nel 1928, 809 milioni, nel
1929, 800 milioni, con una media annuale di 704 milioni di lire
carta, superiore alla somma che noi abbiamo stanziato per il quinquennio.
Le conseguenze di tutto ciò sono che la forza navale italiana
diminuirebbe a poco a poco e che la sproporzione diventerebbe
sempre maggiore. Ricordo, e non ho bisogno di ricordarlo a voi,
che l'Italia si trova nel Mediterraneo, ha tre vie di accesso
e queste tre vie sono ben guardate. Il giorno in cui fossero bloccate,
il problema dei viveri in Italia sarebbe estremamente difficile.
Quale sarebbe l'ideale? L'ideale sarebbe quello di portare al
massimo questi elementi molti quadri, molte truppe, molte macchine.
Ma qui entra la finanza; è la finanza, da cui si deve partire,
perché se la finanza è sana e solida si troveranno
i milioni necessari, ma se crolla, tutto crolla. Ora dovrei accennare
all'Aviazione. Constato come Peccri Giraldi abbia riconosciuto
quella che è la pura verità: che io ho trovato l'Aviazione
per terra, letteralmente per terra, e l'ho portata ad un grado
che aumenta veramente l'efficienza bellica della Nazione. Naturalmente
noi non possiamo seguire la tattica dell'America, dove non si
fa che un apparecchio; ma esso è il più perfetto
tra tutti, perché l'America è il Paese dei dollari
e le officine possono fare gli apparecchi a serie immediate. Noi
dobbiamo tendere alla qualità, ma anche alla quantità.
I dati relativi all'aviazione sono i seguenti: la Francia ha 138
squadriglie con 1208 apparecchi e una nave porta-aerei in costruzione.
Però a queste cifre dovete aggiungere quelle della riserva
dei consumi che portano le cifre a 3000 o 4000 apparecchi. L'Inghilterra
ha 63 squadriglie con 792 apparecchi, ha quattro navi porta-aerei.
Gli Stati Uniti d'America hanno 70 squadriglie, 570 apparecchi
e 4 navi porta-aerei: l'Italia ha 80 squadriglie con 882 apparecchi
escluse le riserve e i consumi. Oggi l'Italia ha 1786 apparecchi.
Aggiungendovi quelli che sono presso le ditte in costruzione e
riparazione si ha un totale oggi, 2 aprile 1925, di 2166 apparecchi
che possono prendere quasi immediatamente il volo. Ma ciò
costa. Io, Commissario dell'aeronautica, ho chiesto al ministro
delle finanze 702 milioni per il 1925-26. Il ministro delle finanze
mi ha detto "è impossibile" e allora ho ridotto
questa cifra a 450 milioni che spero portare con una aggiunta
straordinaria ad una cifra più elevata. Ma quando l'erario
si trova nelle condizioni in cui si trova il nostro, quando il
pianoforte fiscale è stato battuto e ribattuto e c'è
pericolo di vederselo fracassato fra le mani, quando insomma non
si può più oltre abusare dell'eroismo troppo decantato
e giustificabilissimo del contribuente italiano, quando insomma
occorre fare una politica di economia, il quesito s'impone: si
debbono fare queste economie sui quadri? No. I quadri sono l'ossatura
dell'Esercito, devono essere ben trattati, ben preparati. Debbono
farsi delle economie sui materiali, sulle dotazioni e sulle macchine?
No. L'esperienza della guerra è conclusiva. Mi è
accaduto di leggere pochi giorni fa un libro assai interessante:
"Le memorie di Gallieni" . Niente di più emozionante
delle pagine che egli dedica a descrivere lo stato in cui si trovò
il campo trincerato di Parigi. Le brigate dei territoriali francesi
erano assolutamente disarmate di fronte agli ulani (non lo dico
io, lo dice Joffre e lo conferma Gallieni). Nel campo trincerato
di Parigi non c'erano cannoni, non c'erano mitragliatrici, c'erano
vecchi fucili; non c'erano telefoni da campo, né tutti
gli altri strumenti di segnalazione. Momenti terribili per la
Francia i giorni che vanno dal 26 agosto al 5 settembre, quando
il piano dello Stato Maggiore tedesco era in pieno svolgimento
e dopo aver attraversato il Belgio si puntava su Parigi e si era
già arrivati ai bordi estremi della foresta di Compiègne.
Bisogna leggere quelle pagine per convincersi che non si sarà
mai abbastanza dotati di mezzi e di macchine. La Nazione armata?
Sono contrario. Non vorrei che alla Nazione armata in tempo di
pace corrispondesse la Nazione disarmata in tempo di guerra. Non
bisogna credere che quel che va bene per la Svizzera che ha una
speciale geografia, una speciale storia ed una speciale situazione
diplomatica, possa andar bene per l'Italia. La Nazione armata
svizzera ha tradizioni secolari. Non bisogna abbandonarsi a esperimenti
avventurosi. La Nazione armata in tempo di pace deve intendersi
armata spiritualmente, ma essa non potrà mai sopprimere
quello che si chiama esercito permanente. Sono d'avviso, sempre
in tema di principio, che convenga tener presente quello che ha
detto il Generale Pecori Giraldi circa una unità di indirizzo
per tutte le questioni che concernono la preparazione della Nazione
per la guerra. Non bisogna veder solo il proprio settore, non
bisogna veder solo l'Esercito, solo la Marina e solo l'Aviazione.
questa visione sarebbe unilaterale ed insufficiente: potrebbe
condurre domani come ieri a squilibri ed inconvenienti, a pericoli
gravissimi. Sempre sul tema, per dire così, di ordine generale,
sono perfettamente d'accordo sulla disciplina necessaria nell'Esercito.
Ricordo anzi al Senato che io ho dato un esempio clamoroso quando
gli ufficiali della guarnigione di Roma volevano venire sotto
l'Hôtel Savoia, diedi ordine tassativo che nessuno si muovesse
dalle caserme, ma, se questa disciplina, che è gloria dell'Esercito,
dovesse essere interpretata in modo estensivo, come fascismo e
antifascismo, si sappia che io respingo questa interpretazione
in modo solenne. Perché gli uomini dell'antifascismo nel
1917, mentre pochi italiani si maceravano in trincea, tentavano
di pugnalarli con la rivolta di Torino; ed è del 1917 il
grido parricida: il prossimo inverno non più in trincea;
e qui c'è il maresciallo Cadorna che può dire quali
conseguenze d'ordine morale ha avuto questo grido nefando. Gli
uomini dell'antifascismo sono quelli che, dopo la guerra, hanno
battuto il leit-motiv dell'espiazione, cioè che la borghesia
italiana doveva espiare il crimine della guerra, mentre essa per
noi è il titolo più nobile d'orgoglio della stirpe
italiana. Gli uomini dell'antifascismo sono quelli che vollero
l'inchiesta su Caporetto, che lavorarono sull'inchiesta. Tutti
gli eserciti hanno avuto rovesci, forse più gravi del nostro,
ma nessuno si è gettato con foia che si potrebbe dire sadica
su quella che è stata una grande sciagura nazionale, ma
che è stata riscattata magnificamente con le battaglie
del giugno e dell'ottobre 1918. C'è stato un momento in
cui gli uomini dell'antifascismo misero a riposo il generale Cadorna
e costrinsero al silenzio un altro Uomo, che aveva avuto il grave
torto di dichiarare la guerra dall'alto del Campidoglio. Gli uomini
dell'antifascismo sono stati quelli che hanno inflitto all'Italia
la vergogna di Valona, quando non aiutarono i nostri soldati attaccati
da poche migliaia di truppe disordinate, perché si era
lanciato il grido altrettanto parricida : Via da Valona! Gli uomini
del Fascismo hanno un passato ben diverso. E chiudo questa parentesi.
Bisogna, a mio avviso, essere egualmente lontani dalla rigidità
cadaverica e dalla elasticità evanescente. Bisogna avere
un punto di partenza, bisogna dire agli italiani: sapete, in qualsiasi
occasione, con qualsiasi Governo, voi avrete 150 o 250 mila uomini
come minimo delle forze militari. A questo punto io mi domando
se sono riuscito bene ad esprimermi in questa materia. E mi domando
se non si potrebbe giungere ad un ordinamento tale che da una
parte tenesse la forza minima in un limite preciso, fissato, dal
quale non si dovrebbe discendere per qualsiasi ragione, e che
dall'altra parte assicurasse una latitudine maggiore al periodo
di forza massima. In tutti i casi avremmo, ad esempio, che il
minimo di 150 mila uomini non sarebbe diminuito; nei casi migliori,
in un periodo di floridezza del bilancio o in un periodo di necessità,
lo potremmo portare a cifre ben più alte e per un periodo
superiore a sei mesi. Onorevoli Senatori, dato il tono della discussione
che fu rigorosamente contenuta nel campo tecnico, dato anche -
non vi dolga se io faccio questa constatazione - il turbamento
in cui voi o almeno molti di voi vi trovate di fronte a responsabilità
di grave momento, aumentate dalle opposte tesi sostenute da uomini
che guidarono le armi alla vittoria, dal momento che si profila
la possibilità di una soluzione di questo contrasto soddisfacente
per l'una e per l'altra parte e soprattutto soddisfacente per
l'esercito italiano, non vi stupirete della mia richiesta e soprattutto
non le darete delle interpretazioni arbitrarie. Voi intendete
che non si tratta della sorte ministeriale di un uomo o di un
progetto. Noi siamo qui anello di congiunzione tra coloro che
furono e coloro che saranno nella nostra Patria; noi siamo qui
i custodi della vittoria che dobbiamo tramandare a coloro che
verranno, pura e potente. Qui, onorevoli Senatori, ed io lo vedo
dall'ansia con cui avete seguite questa discussione, e anche dall'attenzione
con cui avete ascoltato le mie parole, voi sentite che qui la
posta del giuoco è suprema e richiede che ognuno assuma
le sue responsabilità attraverso il vaglio della propria
coscienza. Qui sono in giuoco la sicurezza e la potenza della
Patria.
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