La
prefazione a "LA GUERRA D'ETIOPIA" del Maresciallo Pietro
Badoglio
Questo del Maresciallo d'Italia, Pietro Badoglio, è il
libro che narra e consacra la vittoria africana. Lo stile è
semplice, quasi nudo, poiché i fatti non hanno bisogno
di amplificazioni letterarie: è uno stile tipicamente militare,
in tutto corrispondente alla stessa psicologia del Maresciallo.
L'imperativo categorico della guerra africana come di tutte le
guerre, era questo: bisognava vincere, ma nella guerra d'Etiopia,
a questo imperativo, le circostanze ne aggiungevano un altro non
meno categorico: bisognava vincere e presto. Mai guerra in genere
e guerra coloniale in particolare si svolse in condizioni più
singolari: l'Italia non doveva soltanto affrontare e sconfiggere
un nemico preparato da istruttori europei e munito di armi moderne
sugli altipiani d'Etiopia, ma doveva battersi su due altri fronti:
quello politico e quello economico, in conseguenza delle sanzioni
decise ed applicate, per la prima volta e soltanto contro l'Italia,
dalla Lega delle Nazioni. Veniva così a determinarsi una
specie di gara di velocità fra l'Italia e la Società
delle Nazioni, la quale - se le vicende della guerra non fossero
state propizie alle armi italiane - sarebbe probabilmente passata
all'applicazione di misure più drastiche, come del resto
molti ambienti societari apertamente o copertamente sollecitavano.
Il fattore "tempo" era quindi un elemento risolutivo.
Se la guerra si fosse "cronicizzata" sul tipo di molte
altre guerre coloniali, il "tempo" avrebbe lavorato
contro di noi. Bisognava, per evitare questa terribile eventualità,
dare a una guerra, che tutti si attendevano di carattere coloniale,
il carattere di una guerra continentale e cioè fornire
dalla Madre Patria elementi di massa e di qualità tali
da ottenere una vittoria sicura e schiacciante e nel più
breve termine di tempo possibile. Furono quindi moltiplicate per
cinque tutte le previsioni iniziali: dal punto di vista numerico
non 100 ma 400 mila uomini, più 100 mila operai e materiali
più che sufficienti ai bisogni previsti ed imprevisti.
Tutto ciò ha richiesto uno sforzo logistico di proporzioni
quasi inimmaginabili, ma questo metodo si è rivelato anche
il più economico: una guerra che i calcoli più ottimisti
prevedevano di una durata non inferiore ai sei anni, si è
risolta in sette mesi e mentre scrivo queste linee, a tre mesi
dalla fine delle ostilità, non meno di un terzo delle truppe
mandate in A. O. è tornato o è in corso di rimpatrio.
La preparazione del Maresciallo Badoglio, che richiese fra dicembre
e gennaio alcune settimane di sosta, fu quindi la condizione indispensabile
per vincere le successive battaglie. Solo quando fosse sicuro
il trampolino di partenza il Maresciallo Badoglio avrebbe potuto
spiccare il salto e giungere alla mèta. Le battaglie furono
tutte manovrate e concepite secondo le linee classiche della strategia
più ponderata ed audace ad un tempo. Quella dell'Endertà
rimane un modello. Per questo le cinque battaglie si risolsero
in vittorie decisive, con imponenti perdite del nemico, e nostre
non gravi. Dopo la battaglia dell'Ascianghi, le forze inquadrate
dell'esercito abissino erano ormai in isfacelo. Badoglio avrebbe
potuto fermarsi ed attendere, ma il fattore "tempo"
ci sospingeva. Quando il nemico è in crisi, non bisogna
permettergli in alcun modo di riprendersi: bisogna inseguirlo
e distruggerlo fino all'ultimo uomo. Solo un Comandante della
statura di Badoglio, poteva concepire ed attuare la marcia Dessiè-Addis
Abeba, poiché solo con l'occupazione di Addis Abeba la
guerra poteva avere la sua trionfale conclusione. Bisogna essere
grati a Badoglio di avere osato sino quasi alla temerarietà,
ma nella guerra bisogna osare, perché chi osa ha una probabilità
ed è quasi sempre aiutato dalla fortuna. Bisogna soprattutto
"osare" quando l'elemento umano ha la tempra dei legionari
d'Africa, cresciuti nel clima della Rivoluzione delle CC. NN.
Così la guerra che va dal 3 ottobre al 5 maggio può
di pieno diritto dirsi "fascista" perché è
stata condotta e vinta coll'animo del Fascismo: rapidità,
decisione, spirito di sacrificio, coraggio e resistenza oltre
i limiti umani. Le considerazioni che il Maresciallo Badoglio
svolge alla fine del suo volume, saranno, come devono essere,
meditate. Questa guerra di popolo, come fu detto nel discorso
di Pontinia, è stata vinta dal popolo. Badoglio lo riconosce
e tributa la sua ammirazione al popolo italiano: combattenti e
civili. Tutti sono stati degni della vittoria che per la prima
volta non solo non ha avuto soccorsi stranieri, ma ha dovuto sfondare
il fronte coalizzato del mondo. Il popolo italiano saluta nel
Maresciallo Badoglio l'artefice della vittoria militare, il conquistatore
della capitale nemica. Il 5 maggio veniva issato sul ghebi del
Leone di Giuda il tricolore d'Italia. Quattro giorni dopo, prendeva
inizio la nuova epoca dell'Impero di Roma.
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