Discorso
pronunciato in Roma il 14 settembre 1929, alla grande Assemblea
del Partito Fascista
Camerati,
Questa vostra assemblea si trova dinanzi a due fatti compiuti
il rapporto dei 92' prefetti del Regno, molto importante, come
vi dimostrerò fra poco, e la nuova sistemazione del Governo,
la cui notevole portata vi illustrerò in seguito, sebbene
io pensi che sia già dal vostro spirito chiaramente intuita.
Le mie parole, come sempre da oramai un ventennio di battaglie
politiche, delle quali un decennio di battaglie fasciste, vengono
dopo i fatti, i quali non traggono origine da assemblee, né
da preventivi consigli od ispirazioni di individui, di gruppi
o di circoli: sono decisioni che io maturo da solo e delle quali,
come è giusto, nessuno può essere a preventiva conoscenza:
nemmeno gli interessati che possono essere gradevolmente sorpresi
anche quando lasciano il posto. Un uomo solo tempestivamente è
informato, il Capo dello Stato, la Maestà del Re. Per quanto
sembri, dopo una settennale esperienza, quasi assolutamente superfluo,
voglio ripetere che ritengo questo riserbo assolutamente necessario
e comunque appartiene oramai a quello che si è convenuto
chiamare il mio stile di Governo, al quale intendo di restare
naturalmente fedele. Da ciò potete dedurre quale credito
si debba accordare ai cosiddetti "uffici voci", composti
in massima parte di delusi, di sfaccendati e di imbecilli. Un
terzo ordine di fatti, che più da vicino vi riguarda, voi
apprenderete nel corso stesso delle mie parole. I capi della provincia,
dei quali almeno una quarantina vengono più o meno direttamente
dalla vostra gerarchia, mi sono apparsi, dopo gli esaurienti e
spesso minuti colloqui, sempre più all'altezza del loro
delicato compito, che abbraccia tutta la vita di una provincia
in tutte le sue espressioni politiche, amministrative, economiche,
sociali, morali. Sono soddisfatto in genere ed in particolare
,per aver constatato che è stato raccolto il mio monito
concernente la verità che bisogna sempre dirmi, in ogni
caso, soprattutto quando è spiacevole, poiché tacendola
si impedisce di correre in tempo ai ripari. Gli argomenti sui
quali io avevo invitato i Prefetti a riferirmi in particolare,
mi permettono di tracciarvi il panorama generale della Nazione
in questa fine dell'anno. Andamento della bonifica integrale:
il piano di questa bonifica è gigantesco. Si tratta di
un milione e seicento mila ettari di terreno, per un importo di
oltre due miliardi e trecento milioni di lire. Dalla Valle del
Po, con le bonifiche di Cremona, Parmigiana-Moglia, Burana, Bassano,
Friuli, Ferrara e Ravenna, al Consorzio di Piscinara, prima gloriosa
tappa nella marcia di redenzione delle paludi Pontine, da Coltano
in terra di Toscana a Siguri in Calabria, alla Stornara Jonica,
da Lentini in Sicilia a Torralba in Sardegna, dovunque si compie
uno sforzo, che può inorgoglire un popolo e creare un titolo
imperituro di gloria per il Regime fascista. È la terra
riscattata e, con la terra, gli uomini, con gli uomini, la razza.
Ma queste grandi opere, che danno quotidiano lavoro oggi a diecine
di migliaia di operai, che lo daranno domani a centinaia di migliaia
di contadini, sono accompagnate dalla esecuzione di altre opere,
non meno necessarie; quelle di irrigazione, per le quali sono
in corso lavori per l'importo di 374 milioni: bacini montani,
canali derivatori da fiumi e da laghi, sfruttamento di acque sotterranee.
Anche in questo campo si procede innanzi e due provincie, quella
di Piacenza e quella di Alessandria, meritano di essere messe
all'ordine del giorno, perché sono risolutamente all'avanguardia
in fatto d'impianti. I fatti, che nessuno può smentire
e se qualcuno vi fosse, io lo munirei di un gratuito biglietto
circolare, perché si convincesse della loro verità,
bastano a gelare il sorrisetto ebete, che in questi ultimi tempi
i residui dell'antifascismo straniero avevano sulle labbra. Come
se la bonifica si facesse nel volgere di una giornata, come se
la bonifica non richiedesse lunga preparazione, molto denaro,
moltissimi strumenti e uomini e qualche volta il sacrificio della
vita. Disoccupazione: voi avete seguito la curva di questo fenomeno:
da 489.000 disoccupati e sussidiati, nei febbraio dell'anno corrente,
siamo discesi a un minimo di 193.000 alla fine di giugno, per
risalire a 201.000 alla fine di luglio, 34.000 in meno che nel
corrispondente mese del 1928. Andiamo, quindi, verso il periodo
della ineluttabile disoccupazione stagionale. Allo scopo d'attenuarne
le conseguenze, un programma di lavori è stato concretato
per un importo di 130 milioni, interessanti quaranta provincie,
più 9 milioni d'annualità, che corrispondono ad
un altro centinaio di milioni, più alcuni tronchi dell'autostrada
pedealpina, più i lavori dell'Azienda della strada, che
occuperanno non meno di sessantamila operai, e altri lavori in
corso, come la direttissima Bologna-Firenze. A proposito dell'Azienda
della Strada affiora qualche movimento d'insoddisfazione. Basterà
ricordare agli impazienti, i quali pretendono il miracolo immediato,
che l'Azienda della Strada è nata il primo ottobre del
1928 e organizzò i suoi uffici nei tre mesi successivi,
fu sorpresa dai rigori eccezionali dell'inverno, ha potuto por
mano ai lavori solo a primavera con ditte spesso ridicolmente
attrezzate: sei mesi, e i risultati sono visibili a tutti e più
si vedranno nel 1930. Il programma di sistemazione dei primi 6000
chilometri di strade nazionali in cinque anni sarà pienamente
realizzato. Tutti sanno che io ho una specie di passione romana
per le strade, nelle quali scorgo uno degli elementi fondamentali
del benessere e dell'unità del popolo. Ma un altro problema,
sempre in materia di lavori pubblici, mi rende particolarmente
ansioso: quello degli acquedotti civici e rurali. Mentre l'acquedotto
pugliese avvia a compimento la sua colossale impresa, altri acquedotti
sono alle viste per essere attuati; cito quelli che interessano
decine e centinaia di comuni, come l'acquedotto del Monferrato,
quello dell'Istria, quello di Schievenin nel Veneto, quello del
Ruzzo in provincia di Teramo e non ricordo i minori in costruzione,
come quelli di Siena, di Sassari, di Ravenna. Il Regime fascista
ha qui un altro motivo d'orgoglio e di gloria: ha dissetato milioni
d'Italiani, che attendevano l'acqua da decenni e talvolta da secoli!
Anche l'industria meccanica e metallurgica avrà, fra Marina
da guerra e Ministero delle Comunicazioni, lavori per circa un
miliardo. Gli accordi lateranensi sono presi di mira dai neri
e dai verdi gli uni e gli altri sono stati sconfitti, gli uni
e gli altri anelano ad una specie di rivincita e al momento in
cui potranno dire trionfalmente : l'avevamo detto noi! Sconfitti
sono stati i temporalisti, i quali erano rimasti al 1849 e sognavano
impossibili restaurazioni di istituti, travolti dal fatale volgere
della storia, e si accorciano molto "obtorto collo"
a uno stato ridotto a una città e questa città ridotta
ad una superficie di pochi ettari; sconfitti sono i "verdi"
i quali avrebbero voluto incancrenire il conflitto, eternizzarlo,
non per il bene dello Stato, ma per la mortificazione della Chiesa.
Queste due categorie di sconfitti, una volta nemiche, sembrano
quasi alleate. La voce diffusa all'estero che il Governo fascista,
dopo aver distrutte entrambe le massonerie, vedrebbe di buon occhio
il ricostruirsi di una terza per fronteggiare il clericalismo,
è semplicemente puerile. Non abbiamo bisogno di ricorrere
a questa specie di trucchi. Bastiamo noi a noi stessi. E siamo
d'altra parte troppo intelligenti per non aver veduta la manovra
e per non evitare i due estremi che a vicenda si condizionano:
il clericalismo ed il suo avversario. Le polemiche che si sono
svolte al Parlamento e nei giornali non devono essere drammatizzate
oltre misura. Le speranze di taluni circoli d'oltre Alpe sono
destinate a rimanere speranze più o meno pietose, almeno
per quanto ci concerne. Si tratta di polemiche che io vorrei chiamare
"di assestamento", di precisazione di posizioni, e sono
perfettamente comprensibili, poiché mentre nel campo fascista
si è considerato l'evento nelle sue imponenti ma reali
proporzioni e significazioni e limiti, alcune voci nel campo cattolico,
specialmente laico, hanno rilevato sbandamenti ed illusioni che
era necessario di rettificare, il che è stata fatto con
tempestive sanzioni. Ma dal sequestro di qualche dozzina di oscuri
giornaletti dell'estremismo cattolico, con venature popolaresche
alla "Kultrukampf" di Bismarck, alle lotte napoleoniche,
corre molto spazio e moltissimo tempo! È quasi banale dichiarare
che la lotta fra la Chiesa e lo Stato nuoce allo Stato; ma non
giova nemmeno alla Chiesa. Può essere, alle volte, una
fatalità, non può essere mai un programma od un
ideale, specialmente in uno Stato come il nostro, che potrà
in altri dominii mostrare la sua unità e la sua forza.
Del resto le posizioni in Italia sono nette così come dovevano
essere. La Chiesa conosce la dottrina fascista dello Stato ed
è del 1925 la mia formula: "Tutto nello Stato, niente
al di fuori dello Stato, niente contro lo Stato". Ora, dai
rapporti dei prefetti risulta che il clero italiano è nello
Stato italiano, cioè ossequiente alle leggi dello Stato
e spesso entusiasta del Regime. Salvo alcune provincie di confine
e tre provincie dell'Alta Italia, in tutto il resto, e soprattutto
nelle provincie del Mezzogiorno, il clero è perfettamente
a posto e non chiede che di collaborare con le autorità
costituite. I parroci sono figli del nostro popolo, gente della
nostra gente, che non vive nelle nuvole sublimi dell'assoluto,
ma nel relativo, modesto e interessante, della vita di ogni giorno.
Li vedete in talune regioni inforcare la bicicletta, e anche la
motocicletta, frequentare le fiere e i mercati, mescolarsi alla
profana umanità. Ora questa massa di parroci non ha, nella
sua enorme maggioranza, che un desiderio: quello di collaborare
con le locali e centrali gerarchie fasciste, non solo per un comprensibile
bisogno di tranquillità, ma perché i parroci non
dimenticano i tempi antichi e li sanno intelligentemente confrontare
con gli odierni. Del resto migliaia di preti, come cappellani
delle nostre legioni anziane e giovanili, sono da sette anni legati
molto intimamente alla vita del Regime. Del resto il Regime ha
novemila vedette in ogni angolo d'Italia, pronte a segnalare eventuali
sconfinamenti e un Governo sensibile e vigile a Roma. Ha le sue
forze, i suoi ideali, il suo avvenire, garantito dall'educazione
fascista delle nuove generazioni. Dato l'atteggiamento volonteroso
del clero maggiore e minore, non v'è dubbio che il color
optimus è destinato a riapparire tanto più presto,
quanto più rapidamente si rinunzierà a intentare
processi a personalità e a vicende del Risorgimento, sulle
quali oramai il nostro e il giudizio del popolo italiano sono
definitivi, quanto più presto si rinunzierà a "forzature"
giornalistiche, organizzative, oratorie, che non hanno uno scopo
preciso in un Regime come il nostro e non fanno che sollevare
più o meno legittimi motivi di divisione e di sospetto;
quanto più presto si smetterà d'avanzare la tesi
del "Potere indiretto" della Chiesa, tesi che noi nella
maniera più categorica respingiamo, in quanto non ci è
dato conoscere dove questo potere cominci e dove finisca e di
quali mezzi si giovi e per quali scopi. Questo quadro ha, come
dicevo, in talune provincie, specie di confine, le sue ombre,
che vanno però a poco a poco disperdendosi. Un altro argomento
all'ordine del giorno dei colloqui coi prefetti è stato
l'esame della situazione che si determinerà con la fine
del vincolismo in materia di pigioni. Il Governo fascista ha abituato
gli Italiani al mantenimento di quanto afferma: col 30 giugno
1930 è stata decisa la fine del vincolismo, durata sedici
anni: col giugno questo inevitabilmente avverrà. Ma la
situazione è, nel complesso, rassicurante. La certezza
della fine della politica vincolistica ha già provocato
una sicura ripresa dell'attività edilizia. Del resto, solo
in due città, Milano e Roma, il problema ha carattere di
gravità. Ma tanto a Roma quanto a Milano si sta costruendo
una riserva imponente di locali da gettare sul mercato allo scadere
del vincolo, per alloggiare gli sfrattati. Questa misura gioverà
anche a contenere gli eventuali aumenti delle pigioni, offrendo
una maggiore disponibilità di case. Ma i proprietari di
case, che sono riuniti in una associazione nazionale e hanno desiderato
e ottenuto il riconoscimento giuridico e l'alto privilegio di
chiamarsi fascisti, dovranno dimostrare coi fatti che la loro
libertà non si tramuterà in licenza. Nel qual caso
non si ripristineranno gli aboliti vincoli, ma si farà
ricorso ad altri provvedimenti forse più duri ed efficaci.
Solo spezzando coraggiosamente e antidemagogicamente la politica
del vincolismo ci saranno gradualmente le case per tutti. E, nell'attesa,
lavoro assicurato a centinaia di migliaia di terrazzieri, muratori,
manuali, cementisti, falegnami fabbri, tappezzieri, elettricisti,
nonché all'industria siderurgica, così legata all'edilizia
moderna. Mantenendo i vincoli, il nodo diverrebbe inestricabile
e condurrebbe ad un immenso demanio edilizio dei Comuni e dello
Stato con una nuova ponderosa burocrazia, che dovrebbe amministrarlo
e che graverebbe naturalmente sul costo delle pigioni. Esperimenti
del genere possono essere imposti dalle necessità del tempo
di guerra, ma sono una pura follia in tempo di pace. Dal rapporto
dei prefetti risulta ancora che i contributi sindacali facoltativi
sono stati aboliti dovunque, e che il prossimo 28 ottobre un complesso
grandioso di opere rurali da inaugurare imprimerà uno speciale
carattere alla celebrazione della nostra Rivoluzione in armonia
con le direttive generali del Regime. Dopo il rapporto dei prefetti,
di cui vi ho dato gli estremi, l'altro fatto compiuto, che avete
dinanzi, è il mutamento nella compagine del Governo. Mutamento
non soltanto di uomini. I caratteri di questo mutamento non sfuggono
alla vostra attenta riflessione. Prima di tutto, una netta accentuazione
fascista. Come siamo lontani dal primo Ministero di coalizione
e come si appalesa potente questa nostra Rivoluzione che, al contrario
di molte altre, più procede e più si colora del
suo ideale! Nel Governo sono presenti - come ministri - tre dei
quadrumviri della Marcia su Roma. Si diceva che i sottosegretari
erano destinati a rimanere tali per tutta la vita. Ed ecco che
ben nove di essi salgono, dopo l'indispensabile periodo di tirocinio,
al primo posto nella responsabilità del Governo. Io non
dimentico coloro che se ne vanno, - quando è l'ora, - senza
darsi l'aria di sbattere la porta. Valendomi dell'art. 4 della
legge sul Primo Ministro, ho trasformato il Ministero dell'Istruzione
Pubblica in Ministero dell'Educazione Nazionale. Con questa decisione,
che sembra puramente nominale, ho inteso invece riaffermare, nella
forma più esplicita, un principio; e cioè che lo
Stato ha non solo diritto, ma dovere di educare il popolo, e non
soltanto quello d'istruirlo, per la qual cosa potrebbe bastare,
alla fine, anche un appalto e un'impresa privata. È quindi
di stretto rigore logico che l'Opera Nazionale Balilla passi al
Ministero dell'Educazione Nazionale, tanto più che l'O.N.B.
ha assunto il compito dell'educazione fisica in tutte le scuole
e sta, a tale scopo, egregiamente preparandosi. Deve quindi entrare
a far parte del Ministero dell'Educazione Nazionale. Un altro
Ministero che cambia non solo nome, ma contenuto, è quello
della Economia Nazionale. Sta di fatto che questo Ministero è
andato, in questi ultimi tempi, riducendosi a sempre più
modeste proporzioni. Toltigli la statistica, il commercio estero
e la direzione generale del lavoro, della previdenza e del credito,
che sta più convenientemente domiciliata al Ministero delle
Corporazioni, il nucleo essenziale del Ministero dell'Economia
si riduce all'agricoltura. Diamogli, dunque, questo nome, anche
a confermare l'indirizzo fondamentale della nostra politica economica.
mentre al Ministero delle Corporazioni, rinforzato, passano nuove
funzioni. L'Agricoltura ha ancora bisogno di un organo propulsore
centrale, cioè di un Ministero. L'Industria no: i suoi
interessi stanno tra le corporazioni da un lato e le finanze dall'altro.
Solo un'agricoltura sviluppata e ricca darà un progrediente
mercato interno all'industria nazionale. È naturale che
tutti i servizi aderenti alla legge Mussolini siano concentrati
nel Ministero dell'Agricoltura, con apposito sottosegretario.
* * *
Il carattere più saliente degli attuali mutamenti è
la mia rinuncia ai Ministeri militari che ho tenuto per quattro
anni, durante i quali si è lavorato moltissimo. Quello
che si poteva fare dal punto di vista della unificazione spirituale
tra tutte le Forze Armate, Milizia compresa, è stato compiuto.
Il Ministero della Difesa nazionale avrebbe proporzioni troppo
grandiose per un uomo solo. Tutte le Forze Armate, d'altro canto,
hanno un supremo dirigente nella persona del Capo di Stato Maggiore
Generale, il quale è alle dirette dipendenze del Capo del
Governo. Provvedimenti in corso di elaborazione porteranno alle
mie dirette dipendenze, oltre la Milizia V. S. N., il Consiglio
di Stato, la Corte dei Conti, l'Avvocatura erariale, la Polizia.
Quest'ultima è istituto troppo importante e geloso perché
non debba dipendere direttamente dal Capo del Governo. La figura
del Primo Ministro va così prendendo solida consistenza
e si realizza non solo nella lettera, ma nello spirito l'apposita
legge, che è una tra le più innovatrici e rivoluzionarie
della nostra legislazione. Qualcuno non cadrà nell'errore,
veramente imperdonabile, di credere che la sistemazione del Governo
significhi una modificazione nelle sue direttive. È un
Governo con una maggiore accentuazione di Fascismo: le direttive
non possono essere quindi che accentuatamente fasciste. Solo dei
rimbambiti nostalgici o tepidamente convertiti o comunque rimorchiati,
possono vaneggiare o pargoleggiare di "tempi" a colorazione
o scivolamento demo- -liberale. Non mai come in questo momento
io ho misurato la miserevole vanità e la patente menzogna
del demo-liberalismo. Non mai come in questo momento ho sentito
tutta la viva attualità della nostra dottrina dello Stato
accentrato e autoritario. Questa, che gli idolatri del numero
informe chiamano, con gesto di vana esecrazione, "dittatura",
noi la riconosciamo: la dittatura è nei fatti, cioè
nella necessità del comando unico, nella forza politica,
morale, intellettuale dell'uomo che la esercita, negli scopi che
si prefigge. Ciò significa forse chiusura ermetica di ogni
spiraglio dal quale possa filtrare il dissenso o la critica? Affatto.
Un conto sono le direttive fondamentali della Rivoluzione, sulle
quali non bisogna discutere e, se necessario, discutere con una
estrema discrezione e in apposita sede, com'è del resto
accaduto sempre dall'ottobre 1922 in poi, e un conto sono le gestioni
amministrative ed i servizi dello Stato. Non cade il mondo e meno
ancora il Regime se le grandi amministrazioni centrali dello Stato
e quelle autocratiche periferiche potranno essere, com'è
già avvenuto, oggetto di discussione e di critica da parte
dei componenti. Non cade il mondo, e meno ancora il Regime, se
d'ora innanzi, come da istruzioni già impartite, i podestà
di Comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti dovranno
convocare la Consulta una volta al mese. Non cade il mondo, e
meno ancora il Regime, se la Camera fascista svolgerà in
tutta tranquillità e utilità la sua funzione di
controllo su tutta l'amministrazione dello Stato. La critica per
la critica è insulsa, la critica in malafede è antifascismo;
ma la critica fatta senza secondo fine e con un solo fine - quello
cioè di perfezionare incessantemente lo Stato nella sua
amministrazione - è feconda e deve essere accolta dagli
uomini responsabili, e non infallibili, non con acrimonia, ma
con soddisfazione. Il fatto di passare a controllo severo, ma
obiettivo, le amministrazioni statali, avrà benefiche ripercussioni
anche nell'alta burocrazia. Insomma deve realizzarsi nell'ambito
dell'attività amministrativa e legislativa una viva, continua,
cameratesca collaborazione tra Camera e Governo, fra fascisti
della Camera e fascisti del Governo, gli uni e gli altri di una
sola cosa ansiosi e pensosi: della vita, dello sviluppo, della
gloria, della potenza della Rivoluzione e dello Stato fascista.
* * *
Ricordo il Dopolavoro, i Comitati intersindacali, germe del Consiglio
nazionale e dei futuri Consigli provinciali delle Corporazioni,
le Milizie universitarie, la fascistizzazione delle forze sportive,
la riforma dello statuto del P. N. F. secondo i dettami della
nostra dottrina, le opere assistenziali, l'Associazione degli
ufficiali in congedo. Immense forze numeriche e morali, che erano
fuori del Regime, vi sono state introdotte.
* * *
Taluni articoli, buoni nella sostanza ma alquanto ondivaghi nella
forma, hanno provocato interpretazioni estensive ed arbitrarie.
Si è parlato di una auto-soppressione del Partito Nazionale
Fascista. Qui, meglio che all'Aja, si può dire che la cosa
è veramente grottesca e ridicola. Coloro che hanno avanzato
tale insensata ipotesi, sono degli incoscienti, o dei traditori,
o dei vendicativi, che vorrebbero annullare il Partito Nazionale
Fascista, che ha fatto la Rivoluzione, che vorrebbero togliere
al Regime una forza spirituale per lasciargli solo le forze materiali.
Di pleonastico non c'è che la loro meschina perfidia o
la loro palese insufficienza mentale! Non si tratta di sapere
se il Partito debba esistere o meno, perché, se il Partito
non ci fosse, io lo inventerei e lo inventerei così come
è il Partito Nazionale Fascista, numeroso, disciplinato,
ardente, a struttura rigidamente gerarchica. Si tratta di "situare"
il Partito nello Stato. Ma questo è già stato fatto,
o immemori dell'antifascismo, sino dal 1921, nelle dichiarazioni
programmatiche del Fascismo, come ha ricordato Michele Bianchi
alla Camera e sin dal 6 gennaio 1927, o ancora una volta smemorati,
nella mia circolare ai Prefetti, non dimenticata né dimenticabile.
Sin da allora io proclamavo che il Partito non è che una
forza civile e volontaria agli ordini dello Stato, così
come la M.V.S.N. è una forza armata agli ordini dello Stato.
Il Partito è la organizzazione capillare del Regime. La
sua importanza è fondamentale. Esso arriva dovunque. Più
che esercitare un'autorità, esso esercita un apostolato
e con la sola presenza della sua massa inquadrata esso rappresenta
l'elemento definito, caratterizzato, controllato, in mezzo al
popolo. È il Partito con la massa dei suoi gregari che
dà all'autorità dello Stato il consenso volontario
o l'apporto incalcolabile di una fede. Ogni dualismo di autorità
e di gerarchia è scomparso. Il Capo della Provincia ha
ai suoi ordini tutte le forze periferiche, nelle quali si esprimono
lo Stato ed il Regime: quindi anche il Partito, quindi anche il
Segretario federale, il quale assume la sua funzione e la sua
precisa fisionomia di subordinato collaboratore del Capo della
Provincia, di vero e proprio funzionario extra ruolo della R.
Prefettura. A nessuno di voi potrà sembrare arida e umiliante
questa definizione. Io stesso non sono che un funzionario del
Regime e voi stessi sentite che la vostra forza, la vostra dignità,
il vostro prestigio è in questa vostra accettazione e dedizione.
Quanto al lavoro, ce n'è per il prefetto e per il segretario
federale! D'ora innanzi, quindi, il Segretario del P. N. F. sarà
nominato con decreto reale su mia proposta. I segretari federali
saranno nominati con decreto del Capo del Governo su proposta
del Segretario del Partito Nazionale Fascista. In questo procedimento,
di una logicità assoluta, sarà ancora una volta
la consapevole definitiva solenne subordinazione del Partito allo
Stato. Tutto ciò può sembrare originale e nuovo
a coloro i quali per il fatto che si chiama ancora "Partito"
considerano il nostro organismo politico alla stregua degli altri
Partiti: ma i caratteri, le attribuzioni, il funzionamento del
Partito Nazionale Fascista ne fanno nel totalitario Stato fascista
una istituzione assolutamente diversa. Grande cammino si è
fatto dal 1927 in poi, tanto che tutti i Prefetti mi hanno fatto
l'elogio dei Segretari Federali. E questo elogio io rivolgo a
voi che avete dimostrato di essere all'altezza del vostro compito.
Del resto le posizioni sono chiare. Se nel Fascismo tutto è
nello Stato, anche il Partito non può sfuggire a tale inesorabile
necessità, e deve quindi collaborare subordinatamente cogli
organi dello Stato. Si opina che dopo il plebiscito il Partito
dovrebbe rinunziare alla sua esistenza autonoma, distendersi,
dilatarsi fino a comprendere tutta la nazione, per evitare la
distinzione fra italiani fascisti e italiani non fascisti o antifascisti.
Vi rimando su questo argomento al mio discorso della "Sciesa"
di Milano. Queste distinzioni sono fatali e necessarie. Fra coloro
che hanno fatto la Rivoluzione e tutti gli altri che non l'hanno
fatta, fra coloro che hanno creduto e quelli che hanno irriso
alla fede, fra coloro che hanno sofferto e quelli che hanno atteso
e tradito, una differenza si impone. Ma accade forse che la divisione
fra fascisti e non fascisti determini una permanente situazione
di privilegio per i primi? Affatto. I fascisti fedeli alla nostra
dottrina non chiedono, non vogliono chiedere privilegi. Essi si
sentono cittadini privilegiati solo e in quanto hanno l'impegno
di essere i migliori cittadini, i più dotati di senso di
responsabilità e di dovere, i primi cittadini quando si
tratta di lavoro, di disciplina, di sacrificio. Il Partito non
è una casta chiusa, poiché ogni anno riceve un alimento
quasi automatico dall'affluire delle nuove generazioni. Casta
chiusa un organismo che alla data del 7 settembre dell'anno VII
può mettere in linea queste cifre: inscritti ai Fasci maschili
1.020.000, ai Fasci femminili 93.495, alle giovani italiane 85.949,
alle piccole italiane 560.251, alle alunne 53.600; ai gruppi studenti
universitari fascisti 25.440, ai professori ed assistenti fascisti
2212! Non bisogna confondere il P. N. F., che è forza politica
primordiale del Regime, col Regime che questa forza politica e
tutte le altre di varia natura convoglia, abbraccia, armonizza.
Il Regime non ha bisogno di aspettare altri tempi per dilatarsi
fino ai confini della Nazione. Sta già divenendo, e lo
strumento di questa dilatazione è il Partito con le sue
masse. Si vuole forse togliere il catenaccio alle nuove iscrizioni
per dare modo ai troppo ritardatari di entrare magari con l'animo
degli ulissidi nascosti nel famoso cavallo? Non è necessario
e può essere pericoloso. Come si può bizantineggiare
su ipotetici distacchi tra Fascismo e Nazione, quando la realtà
è che tra forze controllate direttamente dal Partito Nazionale
Fascista e forze controllate direttamente da altre istituzioni,
il Regime raccoglie sotto i suoi gagliardetti la enorme maggioranza
degli italiani che contano qualche cosa? Quando mai in Italia
si vide una unità morale più profonda? Forse quando
l'Italia era divisa fra dieci rissanti partiti e alcune più
o meno internazionali massonerie? Quando mai, in Italia, si vide
un Regime così ansioso, come il nostro, delle sorti del
popolo? Io vorrei invitarvi a diffidare di coloro che parlano
un linguaggio troppo involuto ed ermetico, di coloro che hanno
delle sintomatiche "tolleranze" in un'epoca di ferro
come l'attuale, che hanno l'aria di scoprire a ogni istante le
più lapalissiane verità. Non vorrei che si trattasse
di gente fascista per errore, stanca di questa nostra Italia ordinata
e severa, e forse nostalgica dell'Italia gesticolatrice, chiacchierona,
superficiale, carnevalesca che i nostri amici d'oltre Alpe, restati
all'Italia del 1914, sono "desolati", ohimè,
di non trovar più. Tornando al Partito Nazionale Fascista,
è evidente tuttavia che il suo statuto ha bisogno di qualche
ritocco sostanziale e formale, dopo tre anni di esperienza. Più
importante è poi modificare la composizione del Gran Consiglio.
Cinquantadue persone oggi, aumentabili domani, sono troppe per
un organismo che deve discutere e decidere in segreto. È
una assemblea di corpi, invece di essere un'assemblea di capi.
È inutile che Governo, Partito, Sindacati siano rappresentati
al completo. Uno Stato Maggiore deve essere ridotto al minimo
in fatto di componenti, se si vuole che sia efficiente e realmente
segreto. In questi ultimi tempi, generalizzando episodi isolati,
le forze dell'antifascismo hanno tentato di inscenare una nuova
questione morale. Nel 1924 la "questione morale" consisteva
nel far apparire gli uomini del Fascismo come dei criminali; oggi
la questione morale, tipo 1929, consiste nel far credere che gli
uomini del Fascismo, quelli che coprono posti di responsabilità,
siano dei disonesti. Attraverso un caso si vorrebbe colpire migliaia
di autentici galantuomini per infangare il Regime. Davanti a questo
tentativo vile e miserabile, io trovo gli accenti del 3 gennaio.
La verità vera e inconfutabile è che le gerarchie
del Regime fascista si compongono, nella loro quasi totalità,
di uomini onesti e disinteressati, di uomini che meritano tutta
la stima del popolo. Non permetteremo che questo infame tentativo
generalizzatore sia continuato. Non permetteremo che la bavosa
calunnia dei nemici - aperti ed occulti - riesca ad avvelenare
l'animo del popolo. È questa la vana speranza che oggi
fa tripudiare tutti i nemici del Regime. Abbiamo punito e continueremo
a punire il soldato che manca o sgarra, ma puniremo anche coloro
i quali tentino, attraverso la defezione di un singolo, bollare
di ignominia tutto l'esercito. I cosiddetti "scandali"
del Regime sono, per proporzione e numero, infinitamente minori
di quelli che avvengono in tutti i regimi ed in tutti i tempi;
e per convincersene, senza disturbare la storia, ci si può
limitare alle cronache, da quelle dell'Italia prefascista, che
aveva inventato i "carrozzoni" a quelle recentissime,
odierne dei paesi europei e d'oltre Oceano! È su questi
episodi, inseparabili da ogni grande movimento rivoluzionario,
che rinverdiscono le grame speranze dell'antifascismo. Ma si tratta
di speranze di gente che spera sempre e che finirà sperando,
e non si accorge del piramidale ridicolo che l'affoga. Anch'io
ho una innocente malinconia collezionista: io colleziono diligentemente
tutte le profezie catastrofiche degli antifascisti. È divertente:
divertiamoci. In data 3 luglio 1927 un giornale fuoruscitista
stampava: "La situazione in Italia è così seria
che ci si aspetta, entro la fine dell'anno, di assistere a gravi
avvenimenti". Il '27 è passato, è passato anche
il '28; sta per passare il '29. Nel numero successivo del 7 luglio
1927: "I giorni di vita del Fascismo sono contati" .
Tre giorni dopo rincalzava: "L'acqua alla gola. Il Regime
fascista pericola. È lecito attendersi le conseguenze più
gravi ed impreviste". Il 14 luglio aggiungeva: "Mai
il Regime è stato così debole come oggi. Bisogna
farsi sotto...".
* * *
In data 5 agosto, il Fascismo viene di nuovo immerso "con
l'acqua alla gola" . Il 17 settembre si annuncia l'uccisione
del podestà di Mantova, vivo tuttora, ed una sollevazione
non mai avvenuta. Il 27 settembre dello stesso anno si parla "di
una primavera italica, che fiorirà quando sfiorirà
l'autunno". Due giorni dopo, si giura che "la rivoluzione
antifascista si avvicina a grandi passi". Un altro giornale
parla di "campane funebri". Questa documentazione potrebbe
continuare, con altri giornali, fino a oggi 14 settembre. Sono
sette anni che dai cagoiardi dell'antifascismo viene regolarmente
annunciata la fine imminente del Regime Fascista. Le scadenze
passano; il Regime dura; è anzi oggi più solido
di prima, perché, col passare dei tempo, fa le ossa, si
immedesima sempre più nella Nazione, diventa granito, e
questi profeti scornati continuano a imbottire e a imbottirsi
reciprocamente i crani. Si può essere più ridicoli
di così? E si dovrebbe concedere l'amnistia ad un branco
di pecore, affette da così mortificante stupidità?
A una manica di criminali, capaci di compiere attentati come quello
recente di Nizza? Non solo il Regime dura, ma l'interesse del
mondo per la nostra Rivoluzione invece di diminuire aumenta. Aumenta
per una ragione profonda, e cioè che noi anticipiamo di
gran lunga un sistema politico sociale perfettamente intonato
alle necessità moderne e che dovrà fatalmente essere
adottato da altri paesi. Siamo i primi ad avere avvertito l'inconsistenza
della dottrina della lotta di classe e la precarietà di
tutta la letteratura marxista, di fronte alle caratteristiche
del capitalismo moderno, radicalmente cambiato da quello di un
secolo fa. Siamo i primi ad avere realizzato la politica pura,
non la politica dei partiti, la quale è ovunque in decadenza
e non interessa più le masse, come forti studiosi di sociologia
hanno constatato. Siamo i primi ad avere affermato, di fronte
all'individualismo demoliberale, che l'individuo non esiste, se
non in quanto è nello Stato e subordinato alle necessità
dello Stato, e che, man mano che la civiltà assume forme
sempre più complesse, la libertà dell'individuo
sempre più si restringe. La libertà, di cui parlano
le democrazie, non è che una illusione verbale, offerta
intermittentemente agli ingenui. Già si levano oltr'Alpe
voci rinnegatrici del famoso trinomio dell'89. Si lancia un trinomio
che in Regime fascista non è una formula soltanto, ma una
realtà: autorità, ordine e giustizia. Questo trinomio
è il risultato fatale della civiltà contemporanea,
dominata dal lavoro e dalla macchina. Reazionari noi? No: precursori,
anticipatori, realizzatori di quelle nuove forme di vita politica
e sociale che appaiono tentate talvolta, sotto altre forme, anche
nei paesi che rappresentano gli ideali, ormai sopraffatti, dello
scorso secolo. Il Fascismo è l'unica cosa nuova che i primi
trent'anni di questo secolo abbiano visto nel campo politico e
sociale. Ecco perché agisce così intensamente sull'animo
dei giovani, modellandone il carattere, facendoli osservatori
tenaci e disciplinati. Gli osservatori stranieri notano che il
popolo italiano parla poco, gestisce meno e sembra dominato da
una sola volontà: è la politica del Fascismo, la
quale insegna che per divenire grandi secondo la massima della
filosofia del superuomo "bisogna avere la gioia di obbedire
a lungo e in una stessa direzione ". "Cosa ho fatto?"
si domandava Napoleone tracciando il consuntivo della sua vita
straordinaria, e rispondeva: il bel bacino di Anversa e quello
di Flessinga, capaci di contenere la squadra più numerosa;
le opere idrauliche di Dunkerque, di Havre, di Nizza, le opere
marittime di Cherbourg, le strade da Anversa ad Amsterdam, da
Magonza a Metz, da Bordeaux a Bajona, i valichi del Sempione,
del Moncenisio, del Monginevra, della Cornice che aprono le Alpi
in quattro direzioni e sorpassano in ardimento, grandezza e sforzo
tutti i lavori dei romani. Le strade dai Pirenei alle Alpi, da
Parma a Spezia, da Savona al Piemonte, i ponti di Jena, di Austerlitz,
delle Arti, di Sèvres, di Tours, di Roanne, di Lione, dell'Isère,
il canale che congiunge il Reno col Rodano, il prosciugamento
delle paludi di Bourgoin, di Cotentin, di Rochefort. Il Codice
civile, il museo napoleonico, il ristabilimento della maggior
parte delle chiese demolite durante la rivoluzione; la costruzione
del Louvre, gli acquedotti di Parigi... ecco un tesoro che durerà
nei secoli! Ecco dei documenti che faranno tacere la calunnia!
Noi ci guardiamo bene dallo stabilire confronti che sarebbero
assurdi; vogliamo soltanto dire che sette anni appena di Regime
fascista hanno non meno vastamente e profondamente operato nella
realtà italiana. Il pensiero trova oramai difficoltà
ad abbracciare l'immenso panorama delle trasformazioni materiali
e morali che abbiamo compiuto. Coloro che abbandonarono per viltà
o antifascismo l'Italia avranno un giorno la suprema vergogna
di non più riconoscerla nelle città, nelle campagne,
negli uomini!
Camerati!
Portate a tutti i vostri gregari fino ai più remoti villaggi
questo orgoglio e questa certezza! Fatene lo stimolo quotidiano
del vostro lavoro, il cemento della vostra infrangibile disciplina,
l'assillo della vostra fede che deve essere - in ogni momento
- pura e diritta come un'arma levata nella luce del sole!
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