DISCORSO DEL
16 marzo 1938
Discorso pronunciato alla Camera il 16 marzo 1938 - anno XVI. - L'"ANSCHLUSS"

Camerati!
In questi ultimi giorni un grande evento si è svolto che ha modificato la carta politica dell'Europa: l'Austria come Stato ha cessato di esistere, è diventata una parte della Germania. Il plebiscito del 10 aprile consacrerà il fatto compiuto. Il dramma austriaco non è cominciato ieri: cominciò nel 1848, quando il piccolo animoso Piemonte osò sfidare l'allora colosso absburgico; accelerò i suoi tempi dopo la guerra mondiale e durò venti anni. L'epilogo ha avuto il ritmo veloce delle forze irresistibili della natura, e ha sorpreso soltanto i distratti o gli ignari. Un rapido sguardo retrospettivo a questo ventennio ci dimostra in modo assolutamente chiaro che quanto è accaduto doveva fatalmente accadere, e che il fiume, malgrado le dighe cartacee dei trattati, sarebbe giunto alla sua foce. L'atto di nascita dello Stato federale austriaco risale al 12 novembre del 1918, pochi giorni dopo lo sfacelo dell'Impero. Ora, col suo primo voto, la Costituente nazionale austriaca, sotto il Governo socialista Bauer-Renner, dichiara l'Austria parte integrante del Reich tedesco col nome di "Repubblica dell'Austria tedesca". Vi è di più: molte provincie austriache votano senz'altro con spontanei plebisciti l'annessione alla Germania, meno una, il Vorarlberg, che si dichiara favorevole alla unione con la Svizzera. La Costituzione di Weimar, della repubblica socialdemocratica tedesca, varata nell'agosto del 1919, all'art. 2 dice testualmente: "Il territorio del Reich comprende il territorio dei paesi tedeschi. Altri territori possono riunirsi se le rispettive popolazioni esprimano un siffatto desiderio". E all'art. 61 veniva specificatamente dichiarato che, dopo la sua unione con la Germania, l'Austria avrà diritto di prendere parte al Reichsrat con un numero di deputati proporzionale alla popolazione. È dunque stabilito che agli inizi di quella che può definirsi l'epoca socialdemocratica, tanto Vienna quanto Weimar ritenevano logica l'unione dei due Stati in uno solo. Vennero i trattati di pace: quello di Versaglia prima, quello di San Germano poi, che imposero - questa è la parola! - imposero all'Austria di rimanere indipendente. Ma l'imposizione appare fino d'allora così assurda e al tempo stesso così precaria, che si lasciò uno spiraglio aperto sull'avvenire: l'Austria, caso mai visto nella storia dei popoli, avrebbe potuto "alienare la sua indipendenza" col consenso del Consiglio della Società delle Nazioni. È in questo modo che l'Austria inizia la sua vita di Stato indipendente, sotto il dominio interno della social-democrazia. Passano i socialdemocratici, subentrano i cristiano-sociali con Seipel, ma questo non migliora la situazione politica ed economica. L'Austria è praticamente in balia del caos materiale e morale e viene posta sotto la tutela, non soltanto finanziaria, della Società delle Nazioni. Ciò dura fino al 1° ottobre 1926, quando Seipel ritorna al potere nell'ottobre con questa formula: "l'Austria è uno Stato tedesco: niente contro la Germania". Passano altri tre anni di disordini, di intrighi, di miserie, finché Schober nell'autunno del 1929 sale al potere; è solo coll'avvento di Schober che comincia una politica italiana nei confronti dell'Austria, politica che viene consacrata in un trattato di amicizia e di arbitrato, firmato a Roma dalle Schober stesso il 6 febbraio del 1930. Siamo alla crisi economica mondiale, che ha ripercussioni tremende sulla fragile economia austriaca. Ancora una volta l'idea dell'Anschluss risorge sotto la specie di un progetto di unione doganale austro-tedesco, Curtius-Schober. Il progetto non va perché incontra l'immediata opposizione della Francia e della Cecoslovacchia. Viene presentato alla Corte dell'Aia per sapere se tale unione doganale sia compatibile o meno con la indipendenza dell'Austria. La Corte dice che è incompatibile. Il progetto cade. La situazione dell'Austria non migliora. È l'Italia che interviene ora direttamente a risollevarne l'economia con gli accordi del Semmering. Nel gennaio 1933 il nazismo assume il potere in Germania. Nel marzo dello stesso anno Dollfuss rinnova il suo Governo in senso autoritario, ma definisce nello stesso tempo l'Austria uno "Stato indipendente e cristiano, ma tedesco". Comincia la lotta fra il Governo e il movimento nazista. Dollfuss è costretto a domare energicamente una rivolta socialista nel febbraio del 1934. Pochi mesi dopo scoppia il putsch nazista di Vienna. Ordino che le quattro Divisioni dell'Alto Adige si attestino al Brennero. Fu un atto di elementare precauzione, in vista di eventi sanguinosi e improvvisi e dei quali non era possibile misurare la portata. Nessun Austriaco ci domandò di farlo, nessun Austriaco ci ha mai ringraziato di averlo fatto. Segue dal 1934 al 1936 la politica dei Protocolli di Roma. Nel frattempo le condizioni generali dell'Europa e dell'Austria sono profondamente mutate. La solidarietà diplomatica dell'Italia con le Potenze occidentali viene spezzata dalle sanzioni e dal tentativo confessato di strangolare il popolo italiano. Nell'ottobre del 1936 si crea l'Asse Roma-Berlino. In Austria il movimento, per quanto perseguitato dagli organi dell'esecutivo, si sviluppa con una impressionante velocità, dovuta non solo ad una comunità di idee, ma soprattutto al risorgere rapido della potenza politica e militare della Germania.

È il momento in cui l'Italia consiglia l'Austria di riavvicinarsi alla Germania, perché uno Stato che si proclama tedesco non può esistere in funzione antigermanica. Questo era un assurdo storico, politico, morale. Nascono, con l'approvazione dell'Italia, gli accordi austro-germanici del luglio 1936, i quali anch'essi partono dalla pregiudiziale che l'Austria si professa come uno Stato tedesco. Malgrado gli accordi comincia un nuovo periodo di tensione. Nell'incontro di Venezia dell'aprile 1937 faccio chiaramente intendere al Cancelliere che l'indipendenza dell'Austria era questione che riguardava in primo luogo gli Austriaci e che l'Asse Roma Berlino era il fondamento della politica estera italiana. L'incontro del 12 febbraio tra i due Cancellieri rappresenta l'estremo tentativo per una soluzione di compromesso, che avrebbe forse ritardato, non certo evitato, la soluzione finale. Discorso di Hitler il 20 febbraio, discorso di Schuschnigg il 24: sorge l'idea di un plebiscito improvviso. Alle ore 12 del 7 marzo un fiduciario di Schuschnigg mi domanda il mio pensiero sul plebiscito e sulle sue modalità; era la prima volta dopo molti mesi. Gli rispondo nella maniera più perentoria che si trattava di un errore. "Questo ordigno - dissi - vi scoppierà tra le mani". Sarebbe di pessimo gusto vantarmi di questa troppo facile previsione. Ora negli ambienti diplomatici e giornalistici di tutto il mondo imperversano rimpianti, polemiche, moniti: mucchio di parole inutili che non fermano la storia. Ai circoli più o meno ufficiali d'Oltralpe che ci domandano perché non siamo intervenuti per "salvare" l'indipendenza dell'Austria, rispondiamo che non avevamo mai assunto alcun impegno del genere, né diretto o indiretto, né scritto o verbale. Gli Austriaci, bisogna proclamarlo, hanno sempre avuto il comprensibile pudore di non domandarci dei gesti di forza per difendere l'indipendenza dell'Austria, perché noi avremmo risposto che un'indipendenza la quale ha bisogno degli aiuti militari stranieri, anche contro la maggior parte del proprio popolo, non è più tale. Chi conosce gli Austriaci sa che le prime resistenze a un nostro intervento sarebbero venute da loro. L'interesse dell'Italia all'indipendenza dello Stato federale austriaco esisteva; ma si basava evidentemente sulla pregiudiziale che gli Austriaci tale indipendenza volessero, almeno nella loro maggioranza; ma quanto accade in questi giorni nelle terre austriache dimostra che l'anelito profondo del popolo era per l'Anschluss. Ai superstiti cultori di un machiavellismo deteriore che noi respingiamo, si può osservare che, quando un evento è fatale, val meglio che si faccia con voi, piuttosto che malgrado voi, o, peggio, contro di voi. In realtà è una rivoluzione nazionale quella che si compie, e noi Italiani siamo i più indicati a comprenderla nelle sue esigenze storiche e anche nei suoi metodi, che sembrano sbrigativi, come furono sempre quelli di tutte le rivoluzioni. Noi non abbiamo fatto nulla di diverso tra il 1859 e il 1861. Io vi esorto alla storia, o signori. Dopo la pace di Villafranca l'Italia fu scossa da un irrefrenabile impulso unitario come non mai. Cavour, il grande autoritario Cavour, lo incanalò con questo sistema: moti di popolo (meglio sarebbe dire moti di minoranze), fuga dei Governi antico regime; intervento dalle truppe piemontesi, le quali non venivano considerate truppe di un esercito invasore, ma truppe nazionali e come tali entusiasticamente acclamate dalle popolazioni; occupazione dei territori; infine plebisciti. E tutto ciò si svolse con una rapidità fantastica, che non ha nulla da invidiare alla rapidità degli odierni avvenimenti austriaci. Le Marche furono occupate dalle truppe piemontesi nel settembre dei 1860 e plebiscitate nell'ottobre; Garibaldi entra a Napoli il 7 settembre del 1860 e il plebiscito si fa il 21 ottobre successivo. I nazionali entrano a Roma il 21 settembre e il plebiscito viene convocato dieci giorni dopo. È fra il 1859 e il 1861 che nasce, colle manifestazioni del popolo, le occupazioni militari e i plebisciti, il Regno d'Italia. Qui la materia mi porta a ricordare agli immemori che la prima alleanza militare del giovane Regno d'Italia fu con la Prussia nel 1866, alleanza che ci valse, attraverso Sadowa e la battaglia eroica ma non definitiva di Custoza, la cessione del Veneto. Vi sono nel mondo individui così superficiali, così opacamente ignoranti delle condizioni dell'Italia fascista, che credono di impressionarci con la cifra globale dei milioni di tedeschi e con la loro presenza ai nostri confini. Anzitutto l'Italia, questa Italia, non si lascia facilmente impressionare. Non ci sono - durante la guerra d'Africa - riusciti 52 Stati. L'Italia ha una volontà sola, un'anima dura, e marcia diritto. Siamo tanto poco impressionati che ammettiamo tranquillamente che fra qualche anno, per il solo fatto del movimento naturale delle popolazioni, mentre noi saremo 50 milioni, i tedeschi saranno 80 milioni, ma non su una sola, su 10 frontiere, fra le quali quella italiana è la frontiera di due popoli amici : una frontiera intangibile. Il Führer su ciò è stato sempre categorico, anche prima che Egli giungesse al potere, e quando tale affidamento gli valeva stolte accuse da parte dei suoi avversari. Per noi fascisti le frontiere, tutte le frontiere, sono sacre. Non si discutono: si difendono. Quando il dramma austriaco giunse nei giorni scorsi al quinto atto, gli avversari mondiali del Fascismo spiarono se l'occasione buona non fosse finalmente venuta per mettere l'uno di fronte all'altro i due Regimi totalitari e frantumare la loro solidarietà attraverso un urto che sarebbe stato tra l'altro, lo diciamo ai pacifisti di professione, il preludio di una nuova guerra mondiale. Questo calcolo delle democrazie, delle loggie, della Terza Internazionale, era errato: la speranza semplicemente puerile. E offensiva altresì, perché gettava un'ombra sul nostro carattere e sulla nostra intelligenza politica. Ma perché non dirlo? Anche milioni di germanici stettero in ascolto. Era giunta l'ora di quello che si poteva chiamare il "collaudo" dell'Asse. Ora i germanici sanno che l'Asse non è una costruzione diplomatica efficiente soltanto per le occasioni normali, ma si è dimostrato solido soprattutto in quest'ora eccezionale, nella storia del mondo germanico e dell'Europa. Le due Nazioni la cui formazione unitaria è stata parallela nel tempo e nei modi, unite come sono da una concezione analoga della politica della vita, possono marciare insieme per dare al nostro travagliato continente un nuovo equilibrio, che permetta finalmente la pacifica e feconda collaborazione di tutti i popoli.

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