Roma,
17 ottobre 1932. Decennale della Rivoluzione - Il rapporto alle
Gerarchie del regime
Camerati! Esattamente dieci anni fa, il 16 ottobre 1922, in una
riunione da me convocata e tenuta a Milano in via S. Marco 46,
fu decisa la insurrezione: Tutti coloro che parteciparono a quella
storica riunione sono presenti. Uno solo è assente: Michele
Bianchi, che ricordiamo sempre con profondo rimpianto. La discussione
fu animata e tutti i punti di vista furono esposti. Ma alla fine
si raggiunse la unanimità assoluta per le misure da prendersi
immediatamente, le quali consistevano nel passaggio dei poteri
dalla Direzione al Quadrumvirato, nella formazione delle colonne
che dovevano marciare su Roma, in altri dettagli riguardanti la
mobilitazione delle Camicie nere e nei poteri da dare al Quadrumvirato.
Se noi rileggiamo taluni discorsi politici del tempo, possiamo
oggi essere sorpresi davanti all'apparente discrezione dei nostri
obiettivi. Ma un esercito, quando si mette in marcia, deve partire
nelle migliori condizioni possibili, suscitare il minore numero
possibile di inquietudini e di disagi. Recenti esperienze politiche
in taluni paesi di Europa ci dicono che allora, come sempre, la
nostra forza fu accompagnata dalla saggezza. La insurrezione sta
alla rivoluzione come la tattica sta alla strategia. La insurrezione
non è che un momento della rivoluzione. La rivoluzione
totalitaria doveva cominciare dopo. E cominciò infatti
nel gennaio 1923, quando furono creati la Milizia Volontaria per
la Sicurezza Nazionale e il Gran Consiglio. È tempo di
dire una cosa che forse sorprenderà voi stessi, e che,
cioè, fra tutte le insurrezioni dei tempi moderni, quella
più sanguinosa è stata la nostra. Poche diecine
di morti richiedette l'espugnazione della Bastiglia, nella quale
di prigionieri politici non c'era più nessuno. Le migliaia,
le diecine di migliaia di morti vennero dopo, ma furono volute
dal Terrore. Quanto poi alle rivoluzioni contemporanee, quella
russa non è costata che poche diecine di vittime. La nostra,
durante tre anni, ha richiesto vasto sacrificio di giovane sangue,
e questo spiega e giustifica il nostro proposito di assoluta intransigenza
politica e morale. Siamo alla fine del primo decennio. Voi non
vi aspetterete da me il consuntivo: Io amo piuttosto di pensare
a quello che faremo nel decennio prossimo. Del resto basta guardarsi
attorno, per convincersi che il nostro consuntivo è semplicemente
immenso. Ma avviandoci al secondo decennio occorrono delle direttive
di marcia. Comincerò da quella che personalmente mi riguarda.
Io sono il vostro Capo e sono, come sempre, pronto ad assumermi
tutte le responsabilità! Bisogna essere inflessibili con
noi stessi, fedeli al nostro credo, alla nostra dottrina, al nostro
giuramento e non fare concessioni di sorta, né alle nostalgie
del passato, né alle catastrofiche anticipazioni dell'avvenire.
Tutti coloro che credono di risolvere la crisi con rimedi miracolistici
sono fuori di strada. O questa è una crisi ciclica, nel
sistema, e sarà risolta; o è una crisi del sistema
ed allora siamo davanti ad un trapasso da un'epoca di civiltà
ad un'altra. Là dove si è voluto esasperare ancora
di più il capitalismo, facendone un capitalismo di Stato,
la miseria è semplicemente spaventosa. Si è posto
anche il problema dei giovani. Il problema dei giovani si pone
da sé. Lo pone la vita, la quale ha le sue stagioni, come
la natura. Ora, nel secondo decennio, bisogna fare largo ai giovani.
Nessuno è più vecchio di colui che ha la gelosia
della giovinezza. Noi vogliamo che i giovani raccolgano la nostra
fiaccola, si infiammino della nostra fede e siano pronti e decisi
a continuare la nostra fatica. Occorre fascistizzare ancora più
quelli che io chiamo gli angoli morti della vita nazionale, non
farsi troppo assorbire dalla ordinaria amministrazione fino al
punto di rinunciare a quella che è la gioia e l'ebbrezza
del rischio; essere pronti a tutto quello che può costituire
il compito più severo di domani. Voi vi riunite oggi in
Roma, in questa Roma che noi volemmo, per rialzarla nell'amore
e nell'orgoglio degli italiani e nell'ammirazione del mondo. Vi
riunite in questa piazza che è il cuore di Roma e quindi
il cuore d'Italia, non solo perché c'è Palazzo Venezia,
costruito da una di quelle città che noi possiamo chiamare
imperiali, come Genova, Pisa, Amalfi, Ravenna ed anche Firenze,
che diffuse l'imperialismo immortale del suo genio; non già
perché in quel palazzo che voi vedete è morta la
madre di Napoleone appena 95 anni or sono, di quel Bonaparte,
stagliato nella razza possente dei Dante e dei Michelangelo, che
non imparò mai a pronunziare correttamente il francese,
quel Bonaparte al quale noi siamo grati per avere accesa la prima
fiaccola della unità della Patria, e per aver chiamato
alle armi gli italiani, che Egli stesso definì fra i migliori
soldati d'Europa; ma perché qui c'è l'ara del Milite
Ignoto e l'ara dei Caduti fascisti. Il Milite Ignoto è
il simbolo dell'Italia una, vittoriosa, fascista, una dalle Alpi
di Aosta romana fino al mare di Trapani, che vide la disfatta
delle navi cartaginesi. Egli è la testimonianza suprema
di ciò che fu, la certezza infallibile di ciò che
sarà!
|