DISCORSO DEL
18 dicembre 1930
Discorso pronunciato al Senato del Regno il 18 dicembre 1930 sulla crisi economica mondiale

La relazione semplice, chiara ed esauriente del vostro collega raccomanda questo disegno di legge ai vostri suffragi. Ma io colgo questa occasione per fare un esame della situazione, di quella italiana e di quella mondiale, per spiegarvi i moventi della politica economica del Governo e gli obbiettivi che la politica medesima si prefigge di raggiungere. Farò un discorso molto chiaro, molto schietto, senza reticenze, senza veli. Voi ci siete del resto abituati e sapete che mi si potrà rimproverare per eccesso di sincerità, non mai per difetto della medesima. Sarà forse un discorso di proporzioni inconsuete e arido, perché documentato con cifre e dati di fatto; ma voi sapete che di quando in quando bisogna fare di questi discorsi per aggiornare la situazione. Alla fine dell'estate del 1929 la situazione economica italiana poteva ritenersi soddisfacente. Tutti gli indici della economia agricola ed industriale segnavano delle punte notevoli: era aumentato il consumo della energia elettrica, era aumentata la produzione della ghisa e dell'acciaio; i raccolti agricoli dell'annata erano stati abbondanti. Ci avviavamo al porto, eravamo forse in vista del porto; quando, in data 24 ottobre 1929, scoppia la crisi americana e scoppia improvvisamente, come una bomba. Per noi poveri provinciali di questa vecchia Europa lo scoppio fu di grande sorpresa: restammo percossi e attoniti come la terra all'annunzio della morte di Napoleone; perché ci avevano dato ad intendere che quello era il paese della prosperità, della prosperità indefinita, assoluta, senza eclissi, senza decadenze; tutti erano ricchi. Ognuno sa a memoria delle cose che ormai sono dei luoghi comuni: c'era un automobile per ogni otto abitanti, una radio per ogni quattro, un telefono per ogni tre. Tutti giocavano in borsa e siccome i titoli azionari salivano sempre, ognuno, avendo comprato un titolo a 20, lo rivendeva a 100, e così lucrava lo scarto, e con questo scarto si comprava l'automobile, la radio, il telefono, faceva un viaggio in Europa pagandolo a rate, e forse anche si fabbricava una villetta nei dintorni. Tutto ciò era meraviglioso, fantastico: anche noi al di qua dell'acqua avevamo un senso di euforia. Ad un certo punto questo scenario crolla. Abbiamo una serie di giornate nere, nerissime; i titoli perdono il venti, trenta, cinquanta per cento del loro valore. La crisi da allora non è ancora sanata: giornate nere si sono susseguite ed alla prosperità sono seguite le file di coloro che aspettano la minestra ed il pane nelle grandi città degli Stati Uniti d'America. È con profonda tristezza che io faccio questa constatazione, o Signori, e voi ne intendete facilmente il perché senza che io vi insista. Il fatto si è che da quel giorno noi fummo risospinti in alto mare; da allora anche per noi la navigazione è estremamente difficile. E il bilancio dello Stato diede fin dall'esercizio scorso i primi segni di stanchezza. Abbiamo chiuso con un avanzo di 65 milioni che forse, alla revisione definitiva dei conti, saliranno a 100, ma è un avanzo modesto. Siamo arrivati alla meta quasi senza respiro. Naturalmente il nuovo esercizio ha presentato immediatamente ulteriori segni di stanchezza. Nel mezzo luglio abbiamo 124 milioni di disavanzo che salgono a 221 nell'agosto, discendono in settembre a 216, in novembre a 154; c'è quindi un miglioramento nel peggioramento. Siamo tuttavia, nel momento in cui vi parlo, ad un deficit che si può calcolare, grosso modo, a 900 milioni. Un deficit di 900 milioni non è, bisogna dirlo subito, grave come una battaglia perduta, come la cessione di un territorio della madre Patria, come una catastrofe nazionale; è una cosa estremamente seria, tuttavia, che impone al Governo di convergere su essa tutta la sua attenzione e impone ai cittadini, ivi compresi Senatori e Deputati, di non avanzare continuamente richieste di nuove spese, per le quali bisogna trovare delle entrate, le quali entrate significano imposte e tasse. Poiché l'incentivo alla spesa non viene dal centro: viene dalla periferia. Anche questa è una verità che andava detta una volta per tutte. Sui termini della situazione mi sono già espresso il 21 aprile ed il 1° ottobre. Ma intanto questi mesi dell'estate scorsa sono stati assai laboriosi anche per me e per il Governo. Abbiamo prima di tutto continuato e quasi ultimato il risanamento bancario. Nel 1919 un prete siciliano si pose in capo di conquistare l'Italia. Ci fu, difatti, un periodo in cui faceva e disfaceva i Ministeri, poneva il veto come un antico tribuno della plebe, e marciava in tre direzioni: un partito politico che fiancheggiava i socialisti, abbastanza numeroso e valido perché aveva portato alla Camera 103 deputati (del resto non è nuovo, nella storia contemporanea, il fatto che i cattolici e i socialisti marcino insieme contro quelle che essi chiamano le tendenze radicali dello spirito contemporaneo); poi aveva creato un sindacalismo che in fatto di bolscevismo (e se qui ci sono dei senatori della Marca Trevigiana me ne possono far fede!) dava dei punti al sindacalismo rosso; finalmente aveva creato, e, diciamolo pure, potenziato, un'infinita serie di istituti di credito che andava dalle piccole banche rurali ai grandi istituti nazionali. Di questa vasta, ambiziosa impresa, non restano che delle rovine che io vado raccogliendo. Gli istituti confessionali in Italia hanno vaporizzato un miliardo della povera gente. Io non vorrei parlare sei ore, invece delle cinque che mi riprometto di parlare. Ma vi potrei leggere l'elenco, che occupa, come vedete, queste abbastanza vaste pagine, di tutti gli istituti che sono saltati. Molti, invece, ne abbiamo salvati: con le operazioni solite, con degli innesti, con delle fusioni, con degli aiuti diretti o indiretti, e con quell'ospedale bancario che si chiama l'Istituto di liquidazione che noi pensavamo di chiudere al 31 dicembre 1930, e che dovrà rimanere aperto per un certo numero di anni. Ora questo processo di risanamento è verso il suo termine. È stato faticoso e penoso, ma io vorrei da questa tribuna raccomandare a coloro che hanno cura delle anime di disinteressarsi del profano, di lasciare la banca ai banchieri, perché i banchieri non si improvvisano. Non vi stupirete nemmeno di intendere che molte volte la chiusura degli sportelli ha coinciso con l'apertura delle porte delle carceri, dove in questo momento un discreto numero di commendatori sta riflettendo sui complessi e mutevoli casi della vita. 13 agosto. Voi direte: "una data". Sì, una data come tutte le altre, in fondo. Ma il tredici agosto è la data di un telegramma che io feci a tutti i Prefetti delle provincie della Liguria, del Piemonte, della Lombardia, delle Venezie, dell'Emilia e della Romagna e di alcune provincie dell'Italia Centrale, col quale telegramma davo istruzioni per rilasciare il maggior numero possibile di passaporti per l'estero, per tutti i paesi del mondo, esclusi gli Stati Uniti, compresa la Russia dove però - ecco un dettaglio - sino al giorno d'oggi nessuno ha chiesto d'andare. Perché? C'era forse un cambiamento nella nostra politica emigratoria? No. Ma si era determinata una situazione singolare in Italia: molti in buona fede credevano realmente che questo fosse l'Inferno e che altrove fosse il Paradiso, che solo in Italia vi fosse la miseria e altrove il regno dell'abbondanza, che solo in Italia ci fosse la disoccupazione e altrove no. Ebbene, questa misura dal punto di vista morale ha dato risultati del cento per cento. Nei primi giorni le Questure sono state affollate, affollatissime di gente che chiedeva insistentemente i passaporti; poi questa folla è diminuita, e oggi sono più quelli che rientrano che quelli che partono. Migliaia, diecine di migliaia d'individui sono perfettamente guariti e sanno che in questo momento non esistono paesi facili in nessuna parte del mondo. Poi il Governo preparò un programma di lavori pubblici, di indubbia utilità - poiché non abbiamo preoccupazioni elettorali-attraverso i quali 424 mila operai hanno potuto trovare occupazione. Finalmente, verso la fine dell'estate, io nominavo una commissione che rintracciasse ogni possibile economia nei bilanci delle singole Amministrazioni. È la prima volta che parlo pubblicamente di questa commissione: commissione di parlamentari, la quale ha lavorato egregiamente ed ha già esaurito la prima parte del suo lavoro. Un lavoro interessante che sarà continuato. Questa commissione ha avuto un'accoglienza simpatica presso tutti i ministeri, nessun escluso, ed anche presso gli Enti parastatali. Non vi è dubbio che terremo conto dei risultati definitivi del suo lavoro. Ma intanto ritorniamo al bilancio, cioè ai 900 milioni di deficit. Che fare? Mettere nuove tasse? No, non è possibile. Inasprire le attuali? Nemmeno. La pressione fiscale in Italia è notevole, è fortissima. Non si può appesantire ulteriormente. A questo proposito però, non dovete credere che i Governi siano tassatori per capriccio, che i ministri delle finanze abbiano una specie di piacere sadico a mettere delle tasse. No, tutti i Governi sarebbero felici, e sono felici infatti, quando possono diminuire le tasse e le imposte. Che la pressione fiscale in Italia sia forte è dimostrato da questi dati. Nel 1913-1914 le imposte dirette davano circa 560 milioni di lire oro; le stesse imposte, ragguagliate, davano, nel 1929-1930, 5 miliardi e 192 milioni. Le tasse sugli affari davano, nel 1913-1914, 338 milioni; nel 1929-1930, 3 miliardi e 168 milioni. Le dogane davano 225 milioni; oggi danno più di 5 miliardi. I monopoli davano 335 milioni nel 1913-1914, mentre nel 1929-1930 davano 2.939 milioni. Il lotto dava, nel 1913-1914, 107 milioni e nel 1929-1930, 554 milioni. Il totale delle entrate principali era di un miliardo e 965 milioni allora, ed è di 17 miliardi e 174 milioni oggi. Aggiungendovi le entrate minori, si arriva alla cifra di 2 miliardi e 265 milioni nel 1913-1914 e a 19 miliardi 838 milioni nel 1929-1930. Un aumento quindi che corrisponde ad 8 volte e mezzo circa. Tuttavia bisogna tener conto che nel 1913-1914 l'Italia contava 35-36 milioni di abitanti ed oggi ne conta circa 43. Né bisogna stupirsi che ci sia stato questo aumento di bilancio, perché il fenomeno non è nostro soltanto. Trovo sulla rivista del deputato Marin, che sarebbe come il Presidente della Federazione repubblicana, un articolo intitolato "La situation budgétaire" dove si dice che nel 1927 il bilancio dello Stato francese era di 39 miliardi e 551 milioni; si aveva invece nel '28 un aumento fino a 45 miliardi e nel '30-'31 un aumento fino a 50 miliardi. Escluso quindi che si possano mettere nuove tasse o inasprire le attuali, bisognava vedere nell'interno del bilancio che cosa si potesse fare. E allora, dovendo mettere delle truppe in movimento, come ogni buon generale, ho cominciato da quelle che avevo sottomano, da quelle sulle quali potevo contare e la cui disciplina era certamente sicura: parlo del personale dello Stato e cioè degli impiegati e dei funzionari delle diverse categorie. Ma quanti sono questi dipendenti dello Stato? Io credo che anche buona parte di voi, onorevoli senatori, non lo sappia di preciso. Certamente non lo sanno i frettolosi lettori dei giornali. Facciamo una buona volta questo conto. Al 1° luglio 1930 il personale della magistratura e delle cancellerie si componeva di 8680 funzionari, più 660 avventizi: l'onorevole camerata Rocco mi dice che questa cifra è inferiore a quella del 1861. Gli insegnanti, esclusi i maestri, ammontano a 12.303, più 1647 fuori ruolo. Gli impiegati civili, i veri impiegati, sapete quanti sono? Per una Nazione di 43 milioni di abitanti, sono 50.000, più 6983 fuori ruolo. Dovete ammettere che la cifra non è grossa. Gli ufficiali di tutte le armi sono 23.676, con 3693 richiamati; i sottufficiali sono 55.141, i carabinieri e i militi sono 76.000; gli operai militari 28.830, quelli delle aziende industriali e delle altre amministrazioni 4481. Continuiamo pure: nell'amministrazione dei monopoli dello Stato vi sono 2343 impiegati e 25.639 operai; l'azienda autonoma della strada ha 234 impiegati, 278 avventizi e 5573 cantonieri. Quanti saranno i militi della strada? Un giorno un grande industriale disse di aver udito a Parigi che il Regime fascista si permetteva il lusso di avere 6000 militi della strada. I militi della strada sono 398, e debbono curare un patrimonio stradale lungo 20 mila chilometri, che costa miliardi e al quale abbiamo già dedicato parecchie centinaia di milioni. Ognuno di voi potrà constatare che sono stati eccellentemente spesi. Poste e Telegrafi. Impiegati di ruolo 27.633, a contratto 1266. Quanti saranno i militi in questa Italia che, a sentire taluni sarebbe irretita dalla milizia? Sono 342. Azienda di Stato per i servizi telefonici: abbiamo qui una cifra bassissima per il fatto che si è ceduto l'esercizio all'industria privata. Il personale a contratto è composto di 803 unità, gli avventizi sono 99. Ferrovie dello Stato. Personale di ruolo 152.907, avventizi 2705, militi 5244. Questi militi hanno permesso alla amministrazione ferroviaria di ridurre il pagamento per danni e furti da 60 milioni a mezzo milione. Continuiamo; non è finito. C'è il personale proveniente dal cessato regime austro-ungarico: 4296 unità. Poi c'è il personale in servizio in colonia, ivi compreso il personale militare indigeno: 24.648. Totale generale: 527.769 unità che impongono una spesa di lire 6.384.581.358, a cui bisogna aggiungere: indennità varie, non comprese nella detta situazione: L. 235.280.908; stipendi e indennità ai maestri elementari: L. 840 milioni; assegni e indennità per ufficiali in congedo provvisorio, in aspettativa, riduzione di quadri e in posizione ausiliaria: lire 72.215.857; ricevitori e procaccia postali e porta lettere rurali: L. 173 milioni. Complessivamente: Spese per il personale in servizio lire 7.705.078.123. Non basta: pensioni, escluse quelle di guerra, agli ex dipendenti statali, esclusi i ferrovieri: L. 850 milioni; agli ex agenti ferroviari: L. 440 milioni; ai maestri elementari: L. 127 milioni. Spesa complessiva per pensioni: 1 miliardo e 417 milioni. Totale generale: L. 9.122.078.123. Queste cifre dimostrano, io credo, ad oculos che bisognava cominciare da questo settore, anche perché vi è una ragione morale. Gli impiegati dello Stato sono i primi ad essere interessati all'andamento della amministrazione dello Stato e non devono considerarsi avulsi ed estranei alle sorti di essa. Non esiste tra essi e l'amministrazione dello Stato una specie di contratto privato. Essi devono essere i primi a fare i necessari sacrifici, tanto più che la loro condizione resta anche oggi nel rapporto da uno a quattro. È vero che gli impiegati degli enti locali non avevano avuto aumento di stipendio e che avrebbero potuto beneficiare della clausola di salvaguardia per cui i dipendenti del gruppo C non sono andati al di sotto dello stipendio percepito nel luglio 1929, ma avremmo complicate le cose: del resto, a questo mondo nessuno può fare giustizia al cento per cento. D'altra parte queste riduzioni di stipendio ai dipendenti degli enti locali hanno permesso a moltissimi comuni e capoluoghi di provincia di diminuire quella pressione fiscale che era particolarmente pressante sulla classe agricola della Nazione. C'erano altri settori dove sarebbe stato possibile esercitare la decurtazione? No, non ce n'erano. Spero che nessuno di voi penserà che si sarebbe potuto tagliare sul totale della somma destinata al pagamento degli interessi del debito pubblico! Sarebbe stata una colpa che non è nemmeno affiorata nei nostri cervelli. Abbiamo già dato un grave colpo ai portatori di titoli pubblici, cioè a quei bravi cittadini che qualche volta sarebbero indotti a pentirsi di aver avuto fiducia nello Stato. Si capisce che all'atto della stabilizzazione sia stato necessario consolidare il debito pubblico perché altrimenti la stabilizzazione stessa correva il pericolo di non riuscire come non é riuscita la prima, la stabilizzazione belga. Ma, dal momento che abbiamo inflitto questo danno ai portatori del debito pubblico, non abbiamo pensato di infliggerne loro un secondo, come quello della decurtazione dei loro interessi. Grave misura quella del consolidamento: il consolidamento è quella cosa per cui, a chi possiede una cambiale firmata dallo Stato, si dice che quella cambiale lo Stato la pagherà quando potrà e quando gli piacerà. Questi portatori siano allora almeno sicuri degli interessi: questo però significa 4 miliardi e 500 milioni, o Signori. Si poteva pensare di ridurre le pensioni di guerra che pesano per 1200 milioni sul bilancio dello Stato? Nemmeno. È un debito di riconoscenza che dobbiamo a questi prodi. Si poteva pensare di ridurre le spese militari? È verissimo che le spese militari dai 650 milioni anteguerra sono salite a 5 miliardi circa, e che dal '22 ad oggi sono aumentate di oltre due miliardi; ma, a prescindere dal fatto che questo è danaro che resta a domicilio, c'è qualcuno fra di voi - ch'io voglio rimirare in volto - c'è qualcuno fra di voi che pensi che in questo momento, nel quale tutti armano potentemente pur belando di pace, dobbiamo essere proprio noi a non pensare alle nostre elementari, indispensabili difese, a correre questo rischio mortale? Ciò vorrebbe dire che la storia, anche la storia che noi abbiamo vissuto, non insegna nulla agli uomini. Ma intanto io ero venuto a constatare, fino dall'ottobre, alcuni elementi della situazione economica che hanno un grande interesse, e cioè l'andamento dei prezzi oro all'ingrosso. Presa la base del 1913 a 100, noi constatiamo che nella seconda settimana del mese di dicembre i numeri indici dei prezzi oro in Italia, rilevati dal Consiglio provinciale dell'economia di Milano, sono: Italia 100,7; Stati Uniti d'America, rilevati dal prof. Irving Fischer, 120,7; Inghilterra, rilevati dal "Financial Times", 100,2; Germania (Statistisches Reichsamt), 118,3; Francia (Statistique Générale), 102,6. Noi siamo quindi nella situazione più favorevole di fronte a questo quadro statistico. Siamo cioè sulla base dell'anteguerra. I due aspetti del fenomeno coincidono perfettamente. Ma poi ero venuto ad un'altra constatazione, che cioè l'agricoltura italiana, la parte più importante dell'economia del Paese, era già arrivata a quota 90; anche al di là di quota 90. L'agricoltura italiana è veramente e particolarmente provata. Come è accaduto alle fanterie rurali, è giunta per prima alla quota ed ha lasciato lungo il cammino, morti, feriti, dispersi. Osservate i prezzi del grano rilevati dal Bachi e nella monografia "Frumento" del Sindacato fascista tecnici agricoli: il grano, nel gennaio del 1910, valeva lire 30,37 al quintale, nel 1911, 27,12; nel '12 valeva 29.57; nel '13 valeva 39,20; nel '14 valeva 27,16. Nel luglio - abbiamo presi due mesi tipici 27,20; 26,36; 29,62; 27,89; 26,62. Voi vedete che la variazione non era di grande rilievo. Ora siamo al disotto di queste cifre moltiplicate per 4. Prendiamo il "Sole" di ieri; "Borsa merci di Milano, sezione cereali". Possiamo leggere così: frumento 103.25. Notate che questo è il prezzo della Borsa merci di Milano, ma in realtà in talune piazze come ad Adria, nel Rovigino e altrove, il frumento si vende a 100, a 95 ed anche a 90. Il granoturco è a 48,15, il riso a 86,50, il risone a un prezzo svilitissimo, a 61-65 ed anche meno. Anche qui si poneva il problema del quid agendum. Cioè io mi sono domandato: si possono rialzare questi prezzi? e se sì, in qual modo? e se sì, è desiderabile vederli rialzati? Mi sono convinto che non è possibile. Del resto non c'è da inventare gran che: si possono alzare ancora i già altissimi bastioni doganali, ma si è già visto che ad un certo momento questi sono inefficienti. Accade per i dazi doganali come per certe medicine, che oltre una certa dose diventano veleni, come un veleno può giocare da medicina presa sino a certe dosi: tanto è vero che nel novembre 1929, con il dazio doganale a 50 lire il quintale, il grano costava 130; quest'anno con il dazio doganale a 60, il grano costa 105. Tutto questo dipende dal gran raccolto degli Stati Uniti d'America che è ancora in gran parte invenduto. Escluso quindi un ricorso ad un ulteriore rialzo delle altissime barriere doganali, si poteva pensare ad altre misure. Per esempio, negli Stati Uniti d'America esiste il "Farmer Board", un ufficio rurale il quale dispone di un... piccolo capitale di 500 milioni di dollari pari a 9 miliardi e 500 milioni di lire italiane. Questo "Farmer Board" avrebbe il compito di tenere abbastanza elevati i prezzi delle derrate agricole. Non ci riesce, non ci è riuscito fino ad oggi, e non solo non riesce ad aumentare i prezzi, non solo non riesce a tenerli al livello attuale, ma non riesce nemmeno a impedire un'ulteriore discesa dei prezzi medesimi. Senza pensare che per questa misura vera e propria del monopolio del commercio occorre tutta una organizzazione che non si improvvisa da un giorno all'altro, e non si possono prendere provvedimenti a spizzico. Ne abbiamo fatta un'esperienza negativa in tempo di guerra; ma allora si spiegava: oggi non è il caso di ripeterla. Allora per rialzare le sorti dell'agricoltura, alla quale è legata anche la sorte dell'industria italiana, non vi era che un mezzo: quello di comprimere i costi di produzione. In fondo la situazione fino ad un mese fa era la seguente. Avevamo una moneta stabilizzata e deflazionata, ed una economia in gran parte inflazionata nelle forme e anche nello spirito degli uomini. Eravamo "sfasati"per usare un termine di elettrotecnica. E ad un certo punto o bisognava allungare il metro, oppure ridurre gli altri elementi della misura. Allungare il metro non si può! Nessuno vi ha mai pensato; dopo tre anni sarebbe una follia, ci metterebbe in un disordine indescrivibile. D'altra parte, o Signori, quando si parla di una rivalutazione della lira che cosa s'intende dire? Ma è un luogo comune! La lira non è mai stata rivalutata. La lira il giorno 21 dicembre 1927 è stata irreparabilmente, definitivamente, legislativamente svalutata dei tre quarti del suo valore, perché la lira, o Signori, prima della guerra valeva 100 centesimi oro, qualche volta faceva premio sulle altre monete; oggi essa vale ventisei centesimi. Ne ha perduti 74. È una grande mutilata la lira italiana! Meriterebbe la tessera ad honorem dell'associazione apposita. Non le è rimasto che il cuore che instancabilmente batte. Ma naturalmente non mancavano in Italia i fanatici, gli illusi, gli ignoranti, i criminali i quali volevano, desideravano, pretendevano che la lira andasse a zero, che 86 miliardi di risparmio investiti nei debiti pubblici si volatizzassero, che la lira precipitasse verso l'abisso con la velocità fantastica del marco, che perdeva 682 mila unità al minuto secondo, quando occorreva un miliardo per comprare un francobollo e 4 miliardi e 200 milioni per comprare un dollaro. Questo era l'abisso che io ho evitato col discorso di Pesaro. Allora, per ridurre i costi, ho mandato altre categorie al fuoco: gli operai delle industrie, gli operai dell'agricoltura, quelli dei trasporti aerei, terrestri, marittimi, gai impiegati delle banche. E tutti hanno marciato! E ho fatto marciare naturalmente anche i proprietarii di case, anche i commercianti. Queste due categorie di persone, debbo dire, non sono proprio straordinariamente simpatiche alla generalità dei cittadini; però si esagera. I proprietarii di case sono mezzo milione in Italia, di cui solo a Roma 35 mila. I commercianti sono 700 mila. Quindi non c'è da allarmarsi se, di quando in quando, si legge che dieci o dodici individui hanno dovuto chiudere il loro negozio: questa è quella percentuale di disertori e di imboscati che accompagna sempre tutti gli eserciti, anche se fossero composti di eroi e di leoni. Né bisogna d'altra parte esagerare in termini troppo ditirambici il senso di disciplina delle masse operaie, perché, se non ci fosse tutta l'organizzazione corporativa dello Stato italiano, le riduzioni sarebbero state superiori all'8 per cento. Quando v'è una massa di disoccupati che preme, il salario scende; il salario cresce quando sono due padroni che cercano un operaio, cala quando sono due operai che cercano padrone. Comunque, a un mese di distanza, bisogna riconoscere che il popolo italiano in tutte le sue categorie ha dato un bell'esempio di disciplina. Ma questo che cosa significa? Ai fini dell'alleggerimento dell'economia italiana si può pensare che la riduzione dei salari dei lavoratori agricoli, che va da un minimo di dieci ad un massimo di 25 e lo supera anche, purché non ne risulti un salario inferiore ad 8 lire quotidiane, significa che l'agricoltura italiana viene ad essere alleggerita di un miliardo e 200 milioni; l'industria viene alleggerita di un totale che va da 800 mila ad un milione. Aggiungete i 720 milioni della decurtazione degli stipendi ai dipendenti dello Stato, e i 300 milioni di tutti gli altri dipendenti; aggiungete anche i milioni di tutti gli altri operai e artigiani per prestazioni diverse: avrete un totale di 3 maliardi e forse più. Il che significa che noi abbiamo liberato tre miliardi di circolante, significa che c'è bisogno di tre miliardi di segni monetarii in meno per il gioco normale dell'economia italiana. E che i prezzi al minuto siano diminuiti non vi è dubbio. Anche qui bisogna guardarsi dalla esagerazione: vi sono i pessimisti i quali dicono che la roba costa più di prima, vi sono gli incontentabili i quali credono che d'ora innanzi si mangerà senza pagare. In realtà una diminuzione di prezzi al minuto si è verificata, soprattutto se si considera il lungo periodo di tempo che va dal 1926 al 1930. Vi cito alcuni dati, per esempio. L'Ente autonomo di consumo di Bologna dà queste cifre: il pane da 2,75 ad 1,80, ed oggi si è verificata una ulteriore, diminuzione di 10 centesimi; la pasta da 4,20 a 2,60; il riso da 3,30 a 2,50, ma si trova anche a una lira e 90 centesimi; l'ementhal nazionale da 19 a 11,50; il tonno all'olio da 32 a 16,50; il sapone - oggetto di indiscutibile utilità - da 5,60 a 3,25. Ma qualcuno dirà: "tutto questo non sarà per avventura una fiammata? Domani non sarà come prima o peggio di prima?". Ebbene, domani non sarà come prima. Per le seguenti ragioni. Prima di tutto perché ci sono istituzioni calmieratrici o ribassatrici: parlo della Provvida, degli spacci Liverani, di grandi organizzazioni cooperative, come l'"Alleanza Cooperativa" di Torino e l'"Unione Cooperativa" di Milano, e le aziende comunali di consumo. Poi i commercianti hanno beneficiato del 10 per cento di riduzione sugli affitti dei loro negozi. Dal gennaio in poi avranno anche minori prezzi di trasporto, e avranno anche una minor spesa per il personale. Quando ci siamo occupati dei salari dei fornai, abbiamo trovato cose interessanti. Prima di tutto il "quintalato", orribile parola che significa che, dopo 150 chilogrammi di pane, il fornaio se ne andava a spasso. Abbiamo poi la questione del lavoro notturno che non ha più senso comune oggi, per la modernizzazione dei forni e anche perché milioni di operai ed impiegati lavorano di notte. Questo lavoro notturno era rimunerato con salari troppo elevati che, naturalmente, noi abbiamo ridotto. C'è il ribasso dei prezzi all'ingrosso che accenna a diminuire, e finalmente la minor quantità di circolante in giro. Sommate tutte queste condizioni e voi troverete che la mia profezia non è assolutamente azzardata, cioè che anche i prezzi al minuto resisteranno sulla quota alla quale li abbiamo portati. Qualcuno di voi mi dirà a questo punto: "Ebbene, tutto ciò a che cosa conduce?" E qui viene fuori il luogo comune che, alzandosi tutti in punta di piedi, non cambia la diversità delle singole stature. Ebbene, tuttociò conduce a una cosa importantissima, o Signori. Conduce a questo: che oggi dopo aver stabilizzato la lira, si addiviene alla stabilizzazione economica che tutta si aggirerà definitivamente intorno al livello della moneta. Non ci saranno più i grandi scarti, non ci saranno i grandi guadagni, i grandi stipendi. Si lavorerà su margini che saranno ampliati negli anni di fortuna, saranno ristretti negli anni grami. Signori Senatori, vi è una notizia odierna che merita un istante della vostra attenzione. La Germania ha rimesso in circolazione il centesimo, che noi avevamo ignorato, da quando gli uomini avevano preso a misura di grandezza per lo meno il miliardo. È quindi un'opera di risanamento morale che va di conserva con quest'opera di risanamento economico. Ora vengo ad esaminare la crisi economica nei suoi aspetti internazionali. Comincio dall'Italia. I dati che vi leggo sono attendibili. Di essi è responsabile l'onorevole Jung, che è il Presidente dell'Istituto Nazionale di Esportazione. Ecco le variazioni percentuali del 1930 rispetto al 1929, nei maggiori paesi d'Europa: Italia 18,7 per cento in meno; Francia 12,7 per cento in meno; Belgio 15,6 per cento in meno; Germania 9,5 per cento in meno; Stati Uniti 22,5 per cento in meno; Svizzera 14,9; Cecoslovacchia 11,4; Olanda 12,3; Gran Bretagna 19,8 per cento in meno. L'aspetto più saliente della crisi quindi è la contrazione delle esportazioni e delle importazioni. Altro aspetto impressionante è la disoccupazione, la quale assomma da 5 a 6 milioni negli Stati Uniti; in Germania si aggira sui 4 milioni; in Inghilterra 2 milioni e mezzo; in Austria 400 mila; in Polonia 400 mila; in Italia 533.000. Però credo che aumenterà. Non bisogna stupirsi se, tra la fine di gennaio e la fine di febbraio, dovremo mettere nel calcolo un altro centinaio di migliaia di disoccupati in più. Naturalmente questa disoccupazione impone dei gravi problemi ai governanti. In Inghilterra, per esempio, la spesa per i disoccupati ascende a lire italiane 9 miliardi e 250-milioni; i disoccupati inglesi costano 70 milioni di lire alla settimana. Altro elemento indicatore della crisi è il deficit nei bilanci degli Stati. L'Inghilterra prevede un deficit di 45 milioni di sterline, qualcosa come 4 miliardi di lire italiane. Gli Stati Uniti prevedono ed annunciano un deficit di alcune centinaia di milioni di dollari, che è notevole. La Germania ha un deficit fortissimo che il Cancelliere Bruning cerca di sanare con mezzi eroici. La stessa Svizzera ha un deficit nel suo bilancio. La navigazione è difficile in tutti i paesi del mondo. La crisi è universale. Il mondo contemporaneo è profondamente malato, e di parecchie malattie. Naturalmente i grandi medici, i grandi economisti, i grandi filosofi e sociologi si chinano su questo malato, l'ascoltano per vedere che cosa sta per succedere. Quali sono le, cause? L'ultima in ordine di tempo è il "dumping" russo. Si dice che la manovra economica russa, o che dir si voglia sovietica, ha turbato, ha gettato un altro elemento di turbamento nell'economia mondiale. Questo "dumping" russo è una cosa abbastanza importante. Sta di fatto, per esempio, che, su 9 milioni di quintali di grano importati in Italia dal 1° di luglio a tutta la prima decade del mese di dicembre, un milione e 800.000 quintali sono giunti dalla Russia. Altra causa del disagio taluni la ricercano nelle barriere doganali. Visto un po' dall'alto tutto il mondo appare un gigantesco medio evo, per lo meno dal punta di vista doganale. Taluni vi aggiungono le spese per gli armamenti. Paradosso di quest'epoca è che più si parla di pace, e più ci si prepara alla guerra. Altro elemento: l'insicurezza politica. Non vi è dubbio che i trattati di pace, così come sono venuti fuori negli anni passionali del 1919 e del '20, non rispondono più alle profonde esigenze della coscienza contemporanea. Alcuni accusano lo svilimento dell'argento, ch'era la moneta corrente di tutta l'Asia. Taluni altri aggiungono: rivolte dell'America latina, caos indiano, caos cinese. Mi ricordo che un giorno un signore entusiasta dei metodi economici degli Stati Uniti mi disse: "Pensate che la Cina ha 400 milioni di abitanti e che ci sarebbe posto per 20 milioni di automobili". Gli risposi: "Perfetto. Però, prima di portare 20 milioni di automobili in Cina, bisognerebbe creare 20 milioni di cinesi che si possano passare il lusso di avere un'automobile" . Cinque milioni di automobili si fanno in sei od otto anni; ci vuole un secolo per modificare lo standard di 20 milioni di cinesi. Altro elemento di disordine: la congestione dell'oro in due soli Stati: Stati Uniti e Francia. Non vi è dubbio che la congestione o indigestione, come l'anemia, può dare luogo a seri disturbi. Finalmente siamo alla ragione madre, cioè allo squilibrio che si è determinato tra la produzione ed il consumo. Qui ci avviciniamo a mio avviso alla verità attuale. La parola d'ordine degli americani era questa: produzione in massa, consumo in massa. Questa formula era sbagliata: lo riconoscono essi stessi. Sbagliata perché la produzione è fatta dalle macchine, il consumo è fatto dagli uomini. La formula era logica, da un punto di vista meramente meccanico, ma è bastato un piccolo intoppo per farla crollare. La prosperità americana era legata alla previsione che la produzione ed il consumo marciassero di conserva. II consumo dava segni di stanchezza? Ecco che i guidatori, come accade nelle piste, eccitavano il cavallo consumo, In che modo? Con gli alti salari. Ma poi siccome gli alti salari non bastavano, con la vendita a rate, con la produzione razionalizzata fino agli estremi e, finalmente, con una pubblicità fantastica che creava nello spirito elementi di inflazione morbosa. Ad un certo punto il consumo ha dato segni di stanchezza, e la crisi è scoppiata in pieno. Ciò m'induce a riflettere e a pensare se per avventura non dovessimo considerare il caso che fu già prospettato altra volta da maestri dell'economia politica, se cioè il modo della produzione attuale non abbia scatenato delle forze che non è più in grado di controllare, se cioè l'economia, dopo essere stata razionalizzata nelle officine, non debba essere ugualmente razionalizzata nell'interno degli Stati e nelle federazioni di Stati. Sono piccole anticipazioni sulle quali non insisto perché non hanno ancora un valore rigidamente scientifico e probativo. I rimedi. Ora che abbiamo elencato tutte le possibili cause della crisi mondiale, passiamo ai rimedi. Rimedi eroici non ce ne sono. Non c'è che da sorvegliare ed eccitare le forze della natura con intelligenza e tempestività. Si fanno delle proposte, si lanciano delle idee, si propone una conferenza che dovrebbe discutere questi problemi, ma in genere tutte le conferenze che si sono tenute fino ad oggi, sia le conferenze parziali che quelle generali neri hanno dato dei risultati soddisfacenti. Non è problema che deve essere risolto da tecnici; o è risolto in sede politica, o non è risolto. Tuttavia non mancano nell'orizzonte ancora oscuro taluni segni di ripresa. Non ripresa confrontata all'anno precedente, ma ripresa confrontata ai mesi precedenti. Così parte dell'idustria tessile e serica, l' energia elettrica e l'industria edilizia negli Stati Uniti d'America hanno segnato una notevole ripresa in ottobre, in confronto del settembre e dell'agosto precedenti. È mia convinzione tuttavia che tanto più è stata profonda la crisi, tanto più rapida e violenta sarà la ripresa, non solo per il mondo in generale, ma anche per l'Italia in particolare. Noi abbiamo una nostra capacità di resistenza; questa capacità di resistenza è dovuta - sembra un paradosso - al nostro non ancora successivamente sviluppato sistema economico moderno. Fortunatamente il popolo italiano non è ancora abituato a mangiare molte volte al giorno e, avendo un livello di vita modesto, sente di meno la deficienza e la sofferenza. Solo le classi superiori sono tremendamente egoiste e, quando invece di avere tre automobili ne hanno soltanto due, gridano che il mondo sta per cadere. Poi accanto a questo fatto che chiamerò negativo, ma tuttavia importante, perché agente, ci sono gli elementi positivi, cioè lo Stato fascista, l'organizzazione tutta degli interessi, l'inquadratura di tutti gli elementi nazionali in determinate categorie ed un Governo che interviene, cioè un Governo che non si lascia sorprendere dagli avvenimenti. Qui non è il caso di entrare in discussione se il Governo debba intervenire o non debba intervenire. Sarebbe una discussione di lana caprina. Quando l'impresa privata varca certi limiti, non è più un'impresa privata, ma è un'impresa pubblica. Sarà privata l'impresa dell'artigiano, ma quando un'industria, un istituto di credito, un commercio, una banca controlla miliardi e dà lavoro a diecine di migliaia di persone, come è possibile pensare che la sua fortuna o la sua sfortuna sia un affare personale del direttore dell'azienda o degli azionisti di quell'industria? Essa interessa ormai tutta la Nazione; e lo Stato, espressione politica, giuridica, morale, volitiva della Nazione, non può straniarsene: seminerebbe delle rovine. Né a rendere difficile la nostra ripresa varranno le manovre deplorevoli alle quali assistiamo e che io qualifico ancora atti di vera e propria guerra contro l'Italia. Il procedimento è noto. Un oscuro giornale viennese, di secondo o quarto ordine, dà la notizia che un violento dissidio è scoppiato tra il Governo ed un grande istituto bancario italiano. Questa notizia ignorata a Vienna viene ripresa a Varsavia da dove viene proiettata a Parigi. La stampa a catena si impadronisce di una autentica e triplice menzogna. Altra manovra disfattista: il proposito attribuito al Governo di voler svalutare la lira per ridurla al livello del franco. Qui c'è un fatto curioso. Con la lira a 92 ed il franco a 125 abbiamo la bilancia commerciale piuttosto favorevole nei confronti della Francia. Finalmente vi è la voce dei prestiti altrettanto falsa. Tutto ciò per rendere più difficile la nostra ripresa. Impresa stolta e vana. L'Italia, o Signori, supererà questa crisi, come ha superate le altre non meno gravi ed in tempi più difficili e con uomini di diversa natura. Il nostro popolo è saldamente disciplinato. Dopo una crisi gravissima come quella che seguì la battaglia di Custoza, dopo una crisi non meno grave come quella che attraversò l'Italia dal '94 al '900, dopo un'altra crisi seria e cioè quella che seguì il 1917, dopo la crisi economica, politica, spirituale non meno grave che si ebbe nel 1919-20, il popolo italiano si è sempre rialzato, onorevoli Senatori, per le sue virtù profonde, per le virtù di questo vecchio e sempre giovane popolo italiano!... Onde è che nel mio spirito fiammeggia una certezza come un raggio di sole nel pieno meriggio di una giornata estiva: il popolo italiano, se rimane fedele a queste sue virtù, se rimane laborioso, probo, fecondo, è signore del suo avvenire, è arbitro del suo destino!

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