DISCORSO DEL
19 settembre 1932
Discorso pronunciato il 19 settembre 1932 per l'inaugurazione del monumento al Bersagliere in Roma

Sire, Altezza Reale, Signori!
Il monumento, nazionale al Bersagliere, che la Maestà Vostra si degna in questo giorno d'inaugurare, sorge a Roma per voto dell'Associazione nazionale dei bersaglieri, voto accolto dal Governo fascista, e per desiderio unanime di popolo. L'artista ha compiuto opera degna del soggetto, raffigurando il Bersagliere nell'atteggiamento tradizionale del passo di carica, così come per un secolo è stato visto in Italia e fra le genti straniere. Questo monumento al Bersagliere, che sorgendo nella Capitale non poteva sorgere che a Porta Pia, simboleggia l'eroismo del Corpo e vuole tramandarlo nel tempo, quale testimonianza preziosa per tutte le generazioni che verranno. Ritornando per un istante indietro, a quel decennio della nostra storia, 1830-1840, che vide qua e là tralucere all'orizzonte i segni della nuova aurora, non si possono leggere senza emozione le prime istruzioni impartite dal Capitano della Brigata guardie Alessandro Ferrero Della Marmora per la costituzione della prima compagnia dei bersaglieri, stabilita con decreto di Re Carlo Alberto il 18 giugno del 1836. I bersaglieri nacquero bene. Il loro creatore li munì di un piastrino di riconoscimento che li avrebbe sempre fatti distinguere fra tutti; intendo dire di un decalogo destinato a formare in ogni tempo l'ottimo bersagliere, cioè un fante celere che doveva fare molto esercizio di tiro, ginnastica di ogni genere sino alla frenesia, essere animato da cameratismo, da sentimento della famiglia, da amore al Re ed alla Patria, da fiducia in sé fino alla presunzione. Erano appena sorti e già i bersaglieri si imponevano all'attenzione del mondo. Un generale prussiano li definiva un'ammirevole fanteria leggera: un arciduca austriaco li metteva fra le migliori truppe di Europa. Tuttavia lo sviluppo del Corpo non fu precipitoso, ma graduale e lento. È solo nel 1845 che le compagnie raggiungono il numero di otto, formando i primi due battaglioni. Viene la prima guerra del Risorgimento italiano; viene la prova del fuoco, che è l'unica e la suprema per saggiare la bontà degli ordinamenti e la tempra fisica e morale degli uomini; nelle campagne del '48-'49 i bersaglieri offrono prove superbe della loro resistenza alle fatiche, del loro valore nel combattimento. A Goito, pagina splendida che apre il libro della storia dei bersaglieri, il fondatore del Corpo è in prima linea e cade gravemente ferito. Per uno di quei moti spontanei, irresistibili e misteriosi, che sboccano nel profondo della coscienza popolare, il bersagliere diventa sin dagli esordi il soldato rappresentativo dell'Esercito italiano, il soldato nel quale il popolo ama ritrovare se stesso. Tutto ciò che è brio, ardimento, velocità, entusiasmo, diventa bersaglieresco. Così nel 1848 si formano i bersaglieri lombardi di Luciano Manara; quelli del Po, comandati da Mosti; i valtellinesi agli ordini di Guicciardi; i bresciani col Berretta; i mantovani con Longoni. È, dopo secoli, l'epoca che segna la ripresa dello spirito militare italiano. Passano alcuni anni d'attesa. Poco prima della guerra di Crimea, nel 1852, i battaglioni dal cappello piumato diventano dieci. Nel 1855 alla Cernaia i bersaglieri combattono valorosamente, mentre il loro fondatore lascia la vita in quelle contrade, ucciso non da palla nemica come avrebbe desiderato, ma da un morbo che faceva strage non meno del piombo. Se Goito è il nome che splende nella prima guerra d'indipendenza, Palestro, dieci anni dopo, è il nome che raccomanda ai secoli la gloria dei figli di Lamarmora; memorabile fra tutti l'assalto alla baionetta del 7° battaglione che gli valse la medaglia d'oro. Chi segua lo sviluppo del Corpo nota che esso è legato al movimento dell'unità patria. Alla vigilia del 1866 i battaglioni sono cinquanta. Anche in quella campagna rifulsero le loro virtù. I cappelli piumati parteciparono alla guerra di Etiopia e a quella Libica poi. E la eroica tragedia dell'11° a Sciara--Sciat rimarrà eternamente impressa nel cuore del popolo. Sire! La guerra mondiale è troppo vicina ed ha avuto proporzioni troppo gigantesche perché sia necessario rievocarla nelle sue vicende. I bersaglieri Voi li avete visti al fuoco: Voi sapete meglio di ogni altro che cosa abbiano fatto e quanto sangue abbiano versato nelle trincee e nei combattimenti. Trentaduemila morti sono la testimonianza, in eterno, del sacrificio e i custodi della Vittoria. Gli strumenti bellici mutati hanno imposto nuovi impieghi dei bersaglieri; ma, quando si ventilò l'idea di scioglierli, io mi opposi, convinto che sarebbe stato un errore gravissimo disperdere una tradizione ormai secolare e gloriosa. Gli strumenti della guerra possono cambiare, ma il cuore, il cuore bersaglieresco deve restare. Sire! In questa ora solenne, attorno a questo monumento che sorge davanti a questa porta michelangiolesca, qui dove uno scontro fatale avvenne, che il divenire della storia doveva di poi superare e comporre, Voi non avete attorno soltanto i bersaglieri convenuti da ogni parte d'Italia con i loro labari, le loro fanfare, le loro canzoni, ma spiritualmente tutte le forze armate e tutto il popolo italiano, in questa ardente atmosfera del primo Decennale fascista. Due eroi, fra i mille e mille, guidano dai regni della gloria l'odierna adunata: Rismondo e Toti. Essi hanno dato la misura di quel che il nostro popolo possa nelle ore decisive. Quando il Vostro ordine risuoni, noi, come ieri, obbediremo!

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