Discorso
pronunziati a Udine
Camicie nere!
Torno tra voi nel Ventennale della Vittoria, esattamente sedici
anni dopo il mio discorso annunziatore della Marcia su Roma. Volli
allora venire tra voi perché Udine era stata la Capitale
della Guerra, perché milioni di Italiani sono passati per
le vostre strade, hanno sostato nella vostra città, hanno
apprezzato la magnifica, la fraterna ospitalità del popolo
friulano. Noi non amiamo soffermarci troppo sul passato, perché
la nostra volontà ci spinge sempre verso il futuro; tuttavia
non sarà male ricordare e domandarsi che cosa era l'Italia
il 20 settembre del 1922. L'Italia allora era un popolo che soffriva
perché la Pace non era stata adeguata ai suoi immensi sacrifici,
un popolo che non poteva più credere nei Governi che si
succedevano troppo rapidamente e con figure sempre più
effimere. È in queste condizioni che il Fascismo impegnò
la sua battaglia. Eravamo decisi a tutto, anche a combattere se
fosse stato necessario, pur di vincere e di attuare il programma
che io annunciai nella vostra città. Sono passati sedici
anni. L'Italia oggi è un popolo fieramente in piedi; l'Italia
oggi è uno Stato; l'Italia è un Impero. Il popolo,
quello delle officine e quello dei campi, non è estraneo
alla vita dello Stato, si sente protagonista della vita dello
Stato: questo è il significato profondo della Rivoluzione
Fascista. Se noi volessimo stabilire il consuntivo di questi sedici
anni, troveremmo che il bilancio è confortantissimo: abbiamo
sicure le nostre frontiere, abbiamo riconquistato la Libia, abbiamo
liquidate tutte le vecchie pendenze diplomatiche di una pace zoppa,
e siamo forti per terra, per mare, per cielo, come non fummo mai.
Ma oltre alla potenza delle armi noi possediamo oggi la potenza
dello spirito, cioè la compattissima unità morale
dell'intero popolo italiano. Io vorrei che taluni melanconici
stranieri, eternamente sfasati di fronte alla realtà italiana,
assistessero a queste manifestazioni e udissero il vostro grido
che ha il rombo del ciclone e dell'uragano. Allora dovrebbero
stracciare le loro inutili carte, recitare un atto di contrizione
perché, o camerati, una delle più gravi malattie
di cui soffre il mondo contemporaneo è lo spaccio della
menzogna, soprattutto quando si tratta dell'Italia, perché,
evidentemente, a molti stranieri piaceva di più il popolo
dell'altra epoca, perché per molti stranieri - e questi
stranieri noi abbiamo tutto il diritto di disprezzarli - il popolo
italiano doveva esistere semplicemente per interessare e per divertire
i popoli d'oltre frontiera. Tutto ciò è finito,
tutto ciò è irrevocabilmente finito. Preferiamo
di essere temuti e non ci importa nulla dell'odio altrui perché
lo ricambiamo. Bisognerà che il mondo faccia conoscenza
di questa nuova Italia fascista: Italia dura, Italia volitiva,
Italia guerriera. Sedici anni di Fascismo si vedono nell'ammirevole
contegno che il popolo italiano ha tenuto in questi giorni. Altri
popoli hanno avuto delle crisi, degli alti e bassi, anche dei
terrori. Il popolo italiano non ha perduto la sua calma; non c'è
stato bisogno di raccomandargli il suo sangue freddo, perché
venti anni di guerra, di battaglie, una Rivoluzione come quella
fascista hanno fatto dell'anima italiana un blocco di temprato
metallo. E se domani questo popolo fosse chiamato ad altre prove,
non esiterebbe un minuto solo.
Camicie nere di Udine!
Se io vi dico che è con profonda commozione che io ritorno
fra voi, mi dovete credere. Ma sono fiero soprattutto di constatare
che il vostro spirito non ha subito in guisa alcuna le fluttuazioni
del tempo. Voi siete gli stessi, voi avete lo spirito di allora,
voi siete pronti ad ubbidire come allora, voi siete pronti a credere
come allora, e soprattutto a combattere come allora. Allora marciammo
su Roma; negli anni successivi la marcia partì da Roma.
Non è ancora finita. Nessuno ha potuto fermarci. Nessuno
ci fermerà.
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