Non
mi dispiace, onorevoli colleghi, di iniziare il mio discorso
da quei banchi dell'estrema destra, dove, nei tempi in cui lo
spaccio della bestia trionfante aveva le sue porte spalancate
ed un commercio avviatissimo, nessuno osava più sedere.
Vi dichiaro subito, con quel sovrano disprezzo che ho di tutti
i nominalismi, che sosterrò nel mio discorso tesi reazionarie.
Sarà quindi il mio un discorso non so quanto parlamentare
nella forma, ma nettamente antidemocratico e antisocialista
nella sostanza; e quando dico antisocialista, intendo dire anche
antigiolittiano, perché non mai come in questi giorni
fu assidua la corrispondenza d'amorosi sensi tra l'onorevole
Giolitti e il Gruppo parlamentare socialista. Oso dire che fra
di essi esiste il broncio effimero degli innamorati, non già
l'irreconciliabilità irreparabile dei nemici. Ciò
non ostante ho la immodestia di affermare che il mio discorso
può essere ascoltato con qualche utilità da tutti
i settori della Camera. In primo luogo dal Governo, il quale
si renderà conto del nostro atteggiamento verso di lui;
in secondo luogo dai socialisti, i quali, dopo sette anni di
fortunose vicende, vedono innanzi a sé, nell'atteggiamento
orgoglioso dell'eretico, l'uomo che essi espulsero dalla loro
chiesa ortodossa. D'altra parte essi mi ascolteranno perché,
avendo io tenuto nel pugno le vicende del loro movimento per
due anni, forse nel loro cuore sono anche delle segrete nostalgie.
Potrò essere ascoltato con interesse anche dai popolari
e da tutti gli altri gruppi e partiti. Infine, poiché
io mi riprometto di precisare alcune posizioni politiche, e
oserei dire storiche, di quel movimento così complesso
e così forte che si chiama fascismo, può darsi
che il mio discorso provochi conseguenze politiche degne di
qualche rilievo. Vi prego di non interrompermi, perché
io non interromperò mai nessuno; e aggiungo fin da questo
momento che farò un uso assai parco in questo ambiente
della mia libertà di parola. E vengo all'argomento. Nel
discorso della Corona, voi, onorevole Giolitti, avete fatto
dire al sovrano che la barriera alpina è tutta in nostro
potere. Io vi contesto l'esattezza geografica e politica di
questa affermazione. A pochi chilometri da Milano, noi non abbiamo
ancora, a difesa di tutta la Lombardia e di tutta la valle del
Po, la barriera alpina. Tocco un tasto molto delicato; ma d'altra
parte in questa Camera e fuori tutti sanno che nel Canton Ticino,
che si sta tedeschizzando e imbastardendo, affiora un movimento
di avanguardie nazionali, che io segnalo e che noi fascisti
seguiamo con viva simpatia. Che cosa fa il Governo presente
per difendere la barriera alpina al Brennero e al Nevoso? La
politica seguita da questo Governo, per ciò che riguarda
l'Alto Adige, è quanto di più lacrimevole si possa
immaginare. L'onorevole Credaro avrà i numeri per governare
un asilo infantile (ilarità), ma io nego recisamente
che abbia le qualità necessarie e sufficenti per governare
una regione mistilingue dove il contrasto delle razze è
antico e acerbissimo. Altro responsabile della situazione difficile
che gli italiani hanno nell'Alto Adige è il signor Salata.
Egli ha regalato il collegio di Gorizia agli sloveni e ha regalato
quattro deputati tedeschi alla Camera italiana. Del resto, l'onorevole
Credaro appartiene a quella categoria di personaggi, più
o meno rispettabili, che sono schiavi dei cosiddetti immortali
principi, i quali consistono nel ritenere che ci sia un solo
Governo buono in questo mondo, che esso sia applicabile a tutti
i popoli, in tutti i tempi, in tutte le parti del mondo. Mi
permetto di esporre alla Camera i risultati di una mia inchiesta
personale sulla situazione dell'Alto Adige. Il movimento politico
antitaliano nell'Alto Adige è monopolizzato dal Deutscher
Verband, il quale è la emanazione dell'Andreas Hoferbund,
che ha sede a Monaco, e che rivendica quale confine tedesco
non già la stretta di Salorno, ma la Bern Clause o chiusa
di Verona. Ora il signor Credaro è responsabile della
propaganda pangermanista nell'Alto Adige, perché ha avallato,
prefazionandolo, un libro dove si dice che il confine naturale
della Germania è ai piedi delle Alpi, verso la valle
del Po. Nei primi tempi, immediatamente dopo l'armistizio, della
occupazione militare, il movimento italofobo non fu possibile,
ma da quando per somma sventura sulla seggiola di governatore
si pose l'onorevole Credaro, i rapporti cambiarono immediatamente;
e alla sottomissione sorniona si sostituì l'insolente
arroganza di gente che negava la disfatta austriaca e covava
nell'animo le ardenti nostalgie degli Absburgo. La fiera campionaria
fu voluta dalla Camera di commercio di Bolzano, nido di pangermanisti,
con esclusione di ditte italiane, tanto vero che gli inviti
furono fatti solo in lingua tedesca e durante il periodo della
fiera una banda bavarese in costume suonò continuamente.
Vengo ai fatti del 24 aprile, quando una bomba fascista, giustamente
collocata a scopo di rappresaglia e per la quale rivendico la
mia parte di responsabilità morale, segnò il limite
al di là del quale il fascismo non intende che vada l'elemento
tedesco. La manifestazione del 24 aprile nel Tirolo non era
che una manifestazione simultanea al plebiscito che in quel
giorno oltre il Brennero era stato indetto. Perché, nell'Alto
Adige, i pangermanisti ricorrono a questo sottile trucco: di
far coincidere le stesse manifestazioni sotto veste diversa.
Così quando oltre Brennero si fecero le cerimonie di
lutto per la perdita dell'Alto Adige, di qua del Brennero si
commemorò con altrettanta manifestazione il lutto per
la morte dei caduti di guerra per l'Austria-Ungheria! Del resto,
quando i fascisti si presentarono a Bolzano, trovarono una polizia
con tanto di elmo e fiocco; e quando furono arrestati, l'istruttoria
fu affidata al conte Breitemberg, il quale è notoriamente
socio della Deutscher Verband. Non vi voglio intrattenere sui
casi di Mamelter perché formano un capitolo da romanzo;
ma non posso rinunciare a citarvi un episodio curiosissimo.
Il commissario di Merano si reca al comune di Maia Alta, ed
è ricevuto non già al municipio, ma in una stamberga
nella quale si sono radunati il sindaco ed i consiglieri. Il
commissario legge la formula del giuramento, il sindaco ed i
consiglieri immediatamente si mettono a sedere, si coprono il
capo e scoppiano in una grande risata. Il commissario non si
è ancora rimesso dalla sorpresa che il sindaco, levatosi
in piedi, con una valanga d'insulti lancia ingiurie al re, alla
monarchia, all'Italia e al commissario. Questi ritorna a Merano
e domanda a Trento lo scioglimento di quel Consiglio; ma interviene
il Deutscher Verband presso il governatore. E Salata restituisce
il rapporto scrivendo al commissario che non è bene fare
dell'irredentismo. E la rappresentanza del Comune rimase quale
era! Da quando Credaro sgoverna nell'Alto Adige la bilinguità
è totalmente scomparsa. II Perathoner, che non è
altro che un Pierantoni, rinnegato italiano diventato tedesco,
si rifiuta di accettare la deposizione che egli stesso invita
a fare sui fatti del 24 aprile, perché narrata e scritta
in italiano. Sono piccoli episodi analitici, ma che danno il
panorama della situazione. A Malgré, l'italofobo Dorsi
don Angelo, presidente del Circolo giovanile cattolico di San
Stefano, fa cacciare da questo una decina di giovani perché
hanno presentato a lui domande scritte in italiano, ed afferma
che la lingua italiana non serve per i suoi uffici: l'italiano
tenetevelo per voi! Ciò evidentemente è fatto
allo scopo di alterare i documenti e di ritardare i pagamenti
delle pensioni a coloro che ne hanno diritto. E a presidente
della Corte di Appello di Trento, redenta, italiana, tra tutti
i concorrenti si è scelto un tale che nel 1915 si dimise
da magistrato per poter correre volontario, come Kaiseriager,
a servizio dell'Austria-Ungheria! Costui oggi amministra giustizia
nel nome dell'Italia! Credete che le comunicazioni postali e
telegrafiche dell'Alto Adige siano in mani italiane? È
un errore, è una illusione: il Deutscher Verband ha in
mano tutte le comunicazioni e ne dispone a piacimento. Il 24
aprile, per quanto giorno festivo, i pangermanisti e i capi
del movimento di Innsbruck erano informati minuto per minuto
dello svolgersi dei fatti di Bolzano. A Innsbruck, cinque minuti
dopo l'incidente, si conosceva la portata di esso in tutti i
suoi particolari, mentre venivano tagliate tutte le comunicazioni
colle autorità civili e militari e per quasi ventiquattro
ore isolate completamente da Trento e dal resto d'Italia. Questa
è la situazione. Ma a questo punto io debbo chiamare
in causa l'onorevole Luigi Luzzatti. Io l'ho già chiamato
in causa sul mio giornale; ma siccome quest'uomo appartiene
alla specie dei padri eterni più o meno venerabili e
venerandi, non si è degnato ancora di rispondere. Ora
io spero che, chiamandolo in causa alla tribuna parlamentare,
si deciderà di rispondere ad un quesito, che gli pongo
nella maniera più chiara e categorica. Il Nuovo Trentino,
un giornale molto serio che esce a Trento, il 27 maggio scrive:
"L'onorevole Luigi Luzzatti, cavaliere della SS. Annunziata,
relatore della Commissione parlamentare che esaminò ed
approvò il trattato di San Germano, disse in presenza
di Salata, del barone Toggenburg, già ministro austriaco
di Francesco Giuseppe, del tenente austriaco Reuth Nicolussi:
"Avere scritto nella relazione al Parlamento il passo riguardante
l'autonomia dell'Alto Adige, aggiungendo però essere
sua opinione personale che la regione tedesca dell'Alto Adige
avrebbe fatto bene a non mandare alcun deputato al Parlamento
di Roma, giacché essa avrebbe avuto poi, s'intende dall'Italia,
istituzioni proprie e una propria rappresentanza politica, rimanendo
così a suo agio unita all'Italia fino a che avesse potuto
ricongiungersi alla sua nazione". Ora noi contestiamo a
Luigi Luzzatti, fosse egli anche più sapiente o più
grande di quello che in realtà non sia, il diritto di
disporre del territorio italiano. E allora, signori del Governo,
per la situazione dell'Alto Adige, noi vi domandiamo queste
immediate misure: Lo sfasciamento di ogni forma, anche esteriore,
che ricordi la monarchia austro-ungarica. Perché è
inutile, onorevole Sforza, fare dei patti per tutti gli eredi
austriaci, più austriaci dell'Austria, per impedire il
ritorno degli Absburgo, quando noi lasciamo intatta gran parte
dell'Austria dentro i nostri confini. Scioglimento del Deutscher
Verband. Deposizione immediata di Credaro e Salata. Provincia
unica Tridentina con sede a Trento e stretta osservanza della
bilinguità in ogni atto pubblico ed amministrativo. Non
so quali misure saranno adottate dal Governo, ma dichiaro qui,
senza assumere pose solenni, e lo dichiaro ai quattro deputati
tedeschi, che essi debbono dire e far sapere oltre Brennero
che al Brennero ci siamo e ci resteremo a qualunque costo. (Giolitti,
presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell'Interno:
"Su questo siamo tutti d'accordo".). Prendo atto con
molto piacere della dichiarazione esplicita, fattami in questo
momento dal presidente del Consiglio. Nel discorso della Corona
si parla di Alpi che scendono al Carnato. Ora si desidera sapere
se queste Alpi comprendono Fiume o l'escludono. Io deploro che
nel discorso della Corona non ci sia stato un accenno all'azione
esplicata da Gabriele d'Annunzio e dai suoi legionari, senza
la quale noi oggi saremmo col confine al Monte Maggiore e non
già al Nevoso. Un tale accenno era generoso ed anche
politicamente opportuno. Io non mi dilungo sul sacrificio della
Dalmazia. Ne ha parlato ieri, con molta eloquenza, il mio amico
onorevole Federzoni. Ma mi fa sorridere il discorso della Corona
quando afferma che Zara deve rappresentare sull'altra sponda
un faro di luce italiano. Zara è una città assassinata
di fronte al mare slavo, e al retroterra completamente slavo.
C'è a Zara oggi un Buonfanti Linares, che, se vi rimarrà
ancora, sarà causa di fieri e seri incidenti. Sempre
in tema adriatico, o signori del Governo, non possiamo dimenticare,
noi che parliamo per la prima volta in quest'aula, il contegno
che avete tenuto di fronte all'impresa di Fiume; non possiamo
dimenticare che voi avete attaccato Fiume alla vigilia di Natale,
utilizzando anche i due giorni di sospensione di tutti i giornali;
non possiamo dimenticare che avete imposto l'accettazione del
trattato di Rapallo con un atto di violenza e di crudeltà
raffinata. Quando il 28 dicembre il generale Ferrario disse
che "non poteva sospendere l'ordine di esecuzione di bombardamento,
che avrebbe raso al suolo Fiume", quel generale e il Governo,
che gli ordinava di agire in quel modo, si misero un poco fuori
dai limiti della coscienza e della dignità nazionale.
E non possiamo dimenticare nemmeno quel foglio riservatissimo
numero 22 del generale Ferrario, in cui per il giorno di Natale
si dava un soprassoldo, più o meno lucroso, a soldati
italiani, che andavano a combattere contro altri italiani. Avete
posto un coltello al collo di Fiume, ma non avete risolto il
problema di Fiume. Avete mandato là il comandante Foschini,
con un piano diabolico di realizzare un Governo, che accetti
i patti che sono stati convenuti col signor Quartieri a Belgrado,
che accetti cioè quel consorzio, che è la rovina,
se non immediata, mediata del porto di Fiume, perché
voi sapete che dopo dodici anni porto Baross e il Delta dovrebbero
andare alla Jugoslavia, perché voi ora alla Jugoslavia
l'avete già consegnato e, se non l'avete consegnato,
avreste dovuto fare già delle dichiarazioni specifiche,
che sono mancate. Infine quali sono gli orientamenti della nostra
politica estera di fronte a quel vasto focolare di discordie
che il trattato di pace, o meglio i vari trattati di non pace,
hanno lasciato in tutte le parti del mondo? Non vi parlo del
focolare di discordie greco-turche, quantunque esso possa avere
delle complicazioni impensate, se è vero, come si dice,
che Lenin è alleato di Kemal Pascià e manda già
le avanguardie degli eserciti rossi verso l'Asia Minore. Non
vi parlo dell'Alta Slesia, perché non sono ancora riuscito
a decifrare il punto di vista del nostro Governo. Non vi parlo
degli avvenimenti di Egitto, ma non posso tacere sulla sorte
che si prepara al Montenegro. Come ha perduto la sua indipendenza
il Montenegro? De iure non l'ha mai perduta; ma de facto l'ha
perduta nell'ottobre 1918. E pure il conte Sforza mi insegna
che l'indipendenza del Montenegro era completamente garantita
dal patto di Londra del 1915, che prevedeva l'ingrandimento
del Montenegro a spese dell'Austria e la restituzione di Scutari;
dalle condizioni di pace esposte da Wilson agli Alleati, in
cui l'esistenza indipendente del Montenegro veniva garantita
come quella del Belgio e della Serbia; dalla decisione del Consiglio
supremo della conferenza della pace del 13 gennaio 1919, nella
quale si riconosceva al Montenegro il diritto di essere rappresentato
da un delegato alla conferenza di Parigi. Non solo, ma quando
Franchet d'Esperey andò, con alcuni elementi francesi
e serbi, in Montenegro, diede ad intendere che avrebbe governato
in nome di Sua Maestà re Nicola. Quando, però,
re Nicola, la Corte ed il Governo intendevano riguadagnare la
Montagna Nera, la Francia, che aveva tutto l'interesse di creare
la grande Jugoslavia, per fare da contro-altare nell'Adriatico
all'Italia, fece sapere al Governo del Montenegro che avrebbe
rotto le relazioni diplomatiche se il re e la sua Corte fossero
ritornati a Cettigne. Quale è stata la politica italiana
in questo frangente? L'onorevole Federzoni ha ieri parlato di
una convenzione, che è diventata uno straccio di carta,
ed è la convenzione del 30 aprile 1919. In questa convenzione
sono chiaramente stabiliti dei patti tra il Governo d'Italia
e il Governo del Montenegro. E si dice precisamente: "A
seguito dell'accordo intervenuto fra il ministro italiano degli
Affari Esteri e il Governo del Montenegro (dunque un Governo
del Montenegro esisteva ancora in data 30 aprile 1919) rappresentato
dal suo console generale in Roma, commendatore Ramanadovich,
si costituirà a Gaeta, per cura del Governo montenegrino,
un nucleo di militari, ufficiali e truppa, tratti dai profughi
montenegrini. Il Governo montenegrino riceverà da quello
italiano i fondi in danaro necessari per il pagamento degli
assegni, truppa ed ufficiali".Seguono altre condizioni,
fra le quali l'ultima è: "La presente condizione
non può essere modificata che col pieno accordo tra il
Governo italiano ed il Governo del Montenegro". Ora questa
convenzione è stata stracciata dopo la morte di Nicola
del Montenegro. Si notarono sintomi di disgregazione in mezzo
alle truppe montenegrine, ed il comando di queste truppe chiese
organi militari al nostro Governo per procedere ad una epurazione.
Fu nominata una commissione, che venne presieduta dal colonnello
Vigevano. La commissione, che doveva salvare dalla disgregazione
l'esercito montenegrino, fu la causa principale della sua dissoluzione.
Non solo, ma, in data 27 maggio, il conte Sforza mise nuovamente
il coltello alla gola del Governo montenegrino dicendo: "O
sciogliete le truppe o non vi darò più i fondi
per mantenere questi vostri soldati!". E con ciò
il conte Sforza violava la convenzione 30 aprile 1919, perché
in essa era detto: "La presente convenzione non può
essere modificata che di pieno accordo fra i due Governi".
Dunque decisione unilaterale, perché il Governo del Montenegro,
rappresentato dal suo console generale, in Roma, non l'aveva
mai accettata. . Ma, infine, il conte Sforza si è giovato
dell'esercito montenegrino per un calcolo politico. Agevolandone
l'esistenza in Italia, il conte Sforza credeva di potere avere
dei patti migliori dalla Jugoslavia. Questo non è avvenuto,
ed in un dato momento l'esercito montenegrino è stato
buttato sotto il tavolo, come una carta che non si poteva più
giuocare. Il fatto nuovo, le elezioni della Costituente, non
basta a giustificare l'abbandono tragico in cui l'Italia ha
lasciato il Montenegro, perché solo il venti per cento
degli elettori hanno partecipato alle elezioni, e solo il nove
per cento ha votato per l'annessione alla Serbia. Le autorità
serbe hanno instaurato nel Montenegro un regime di vero terrore
e hanno impedito la presentazione di liste che contenessero
nomi di candidati favorevoli all'indipendenza del Montenegro.
Ma non riteniate, onorevole Sforza, che la questione del Montenegro
sia stata liquidata! Prima di tutto perché il popolo
del Montenegro è ancora in armi contro la Serbia, e voi
lo sapete; ed in secondo luogo perché il popolo italiano,
per una volta tanto, è unanime in tale questione! Persino
i socialisti, e lo dico a loro onore, parecchie volte nel loro
giornale hanno dichiarato che la causa della indipendenza del
Montenegro è sacrosanta. Le università, da quelle
di Bologna e di Padova, si sono pronunziate per la indipendenza
del Montenegro. Noi, fascisti, abbiamo presentato una mozione.
Voi dovete riscattare la pagina vergognosa che avete scritto
assassinando il popolo montenegrino, con l'accettare la nostra
mozione. Se voi l'accetterete, cioè se voi porrete ancora
la questione davanti alle grandi potenze, e se farete in modo
che sia indetto un plebiscito, io sono certissimo che questo
plebiscito, fatto in condizione di libertà, darà
dei risultati antiserbi. Vengo ad un'altra questione, molto
delicata. È una questione che bisogna affrontare, prima
di tutto perché la cronaca lo ha imposto, ed in secondo
luogo perché, dopo l'allocuzione pontificia davanti al
Concistoro segreto di giorni fa, non è più possibile
ignorare che esiste una questione della Palestina. Bisogna scegliere;
bisogna che il Governo abbia un suo punto di vista. O sceglie
il punto di vista sionistico inglese, o sceglie il punto di
vista di Benedetto XV. Credo di non tediare la Camera ricordando
brevemente i precedenti della questione. Il 2 novembre 1917
il Governo inglese si dichiarava favorevole alla questione della
creazione, in Palestina, di un focolare nazionale per il popolo
ebraico, restando bene inteso che nulla sarebbe fatto che potesse
recare offesa ai diritti civili e religiosi delle comunità
non ebraiche esistenti in Palestina, e ai diritti ed agli istituti
politici, di cui godono gli ebrei in tutte le altre nazioni
del mondo. In un secondo tempo le potenze alleate hanno adottato
questa dichiarazione. Finalmente con l'articolo 222 del trattato
di pace, sottoscritto il 20 agosto 1920 a Sèvres, la
Turchia rinunziava a tutti i suoi diritti sulla Palestina, e
le potenze alleate sceglievano come mandataria l'Inghilterra.
Ora, mentre le nazioni civili dell'Occidente non hanno modificato
il regime comune di libertà per le diverse confessioni
religiose, in Palestina è accaduto tutto il contrario,
anche perché l'amministrazione di quello Stato in embrione
è stata affidata all'organizzazione politica del sionismo.
Ma in Palestina ci sono seicentomila arabi, che vivono là
da dieci secoli, e settantamila cristiani, mentre gli ebrei
non arrivano che a cinquantamila. Si è così determinata
una situazione straordinariamente interessante. Gli ebrei autoctoni,
che hanno vissuto per secoli e secoli all'ombra delle moschee
di Gerusalemme, non possono soffrire gli elementi che vengono
dalla Polonia, dall'Ucraina, dalla Russia, perché hanno
delle arie straordinariamente emancipate; e quelli che sono
immigrati si sono già divisi in tre frazioni, una delle
quali, che si chiama abbreviatamente Mopsi, è già
iscritta regolarmente come frazione comunista alla terza Internazionale
di Mosca. Apro una parentesi, per dire che non si deve vedere
nelle mie parole alcun accenno ad un antisemitismo, che sarebbe
nuovo in quest'aula. Riconosco che il sacrificio di sangue dato
dagli ebrei italiani in guerra è stato largo e generoso,
ma qui si tratta di esaminare una determinata situazione politica
e indicare quali possono essere le direttive eventuali del Governo.
Ora in Palestina si è determinata l'alleanza tra cristiani
ed arabi, si è formato il partito della conferenza di
Giaffa, che si oppone colla guerra civile e col boicottaggio
ad ogni immigrazione ebraica, ed il 1° maggio ed il 14 maggio
si sono verificati disordini sanguinosi, in cui ci sono stati
qualche centinaio di feriti e vari morti, tra i quali uno scrittore
di una certa fama. Ora; a quanto si legge sul Bulletin du Comité
des délégation juives, a pagina 19, pare che il
testo del mandato inglese per la Palestina debba essere sottomesso
al Consiglio della Società delle nazioni nella prossima
riunione di Ginevra. Ed io desidererei che il Governo accettasse,
in questa questione delicatissima, il punto di vista espresso
dal Vaticano. Ciò è anche negli interessi degli
ebrei, i quali, fuggiti si pogroms dell'Ucraina e della Polonia,
non devono incontrare i pogroms arabici della Palestina, ed
anche perché non si determini nelle nazioni occidentali
una penosa situazione giuridica per gli ebrei, in quanto, se
domani gli ebrei fossero cittadini sudditi del loro Stato, potrebbero
diventare immediatamente colonie straniere negli altri Stati.
Oh, io non voglio allargarmi in tema di politica estera, perché
allora potrei navigare in alto mare e potrei domandare al conte
Sforza qual'è la posizione dell'Italia nei formidabili
conflitti che si delineano nell'agone internazionale. Ma, in
fondo, il conte Sforza fa una politica che è riflessa
dai suoi lineamenti di un diplomatico blasé.... dell'uomo
che ha molto vissuto, che ha molto visto, del diplomatico di
carriera, in fondo scettico e senza pathos. Finché al
Governo di Giolitti vi sia, titolare della politica estera,
il conte Sforza, noi non possiamo che trovarci all'opposizione.
Passo alla politica interna. Vengo cioè a precisare la
posizione del fascismo di fronte ai diversi partiti. Comincio
dal Partito Comunista. Il comunismo, l'onorevole Graziadei me
lo insegna, è una dottrina che spunta nelle epoche di
miseria e di disperazione. Quando la somma dei beni è
decimata, il primo pensiero che balza alla mente degli umani
è quello di mettere tutto in comune, perché ce
ne sia un po' per tutti. Ma questa non è che la prima
fase del comunismo, la fase del consumo; dopo vi è la
fase della produzione, che è enormemente difficile, tanto
difficile che quel grande, quel formidabile artista (non già
legislatore) che risponde al nome di Vladimiro Uljanov Lenin,
quando ha dovuto foggiare il materiale umano, si è accorto
che esso è più refrattario del bronzo e del marmo.
Conosco i comunisti. Li conosco perché parte di loro
sono i miei figli.... intendiamoci .... spirituali (presidente:
"non è ammessa la ricerca della paternità,
onorevole Mussolini!").... e riconosco con una sincerità
che può parere cinica, che io per primo ho infettato
codesta gente, quando ho introdotto nella circolazione del socialismo
italiano un po' di Bergson mescolato a molto Blanqui. C'è
un filosofo al banco dei ministri, ed egli certamente m'insegna
che le filosofie neo-spiritualistiche, con quel loro ondeggiare
continuo fra la metafisica e la lirica, sono perniciosissime
per i piccoli cervelli. Le filosofie neospiritualistiche sono
come le ostriche: gustosissime al palato.... ma bisogna digerirle!
Codesti miei amici o nemici.... (Voci all'estrema sinistra:
"Nemici! Nemici!"). Questo è pacifico, dunque!...
Codesti miei nemici hanno mangiato Bergson a venticinque anni
e non lo hanno digerito a trenta. Mi stupisco molto di vedete
tra i comunisti un economista della forza di Antonio Graziadei,
col quale io ho lungamente. polemizzato quando egli era ferocemente
riformista.... (ilarità) e aveva buttato sotto il tavolo
Marx e le sue dottrine. Finché i comunisti parleranno
di dittatura proletaria, di repubbliche più o meno federative,
dei Sovièts, e di simili più o meno oziose assurdità,
fra noi e loro non ci potrà essere che il combattimento.
(Interruzioni all'estrema sinistra, commenti, rumori. Presidente:
"Non interrompano! Lascino parlare"). La nostra posizione
varia quando ci poniamo di fronte al Partito Socialista. Anzitutto
ci teniamo bene a distinguere quello che è movimento
operaio da quello che è partito politico. Non sono qui
per sopravalutare l'importanza del movimento sindacale. Quando
si pensi che i lavoratori del braccio sono sedici milioni in
Italia, dei quali appena tre milioni sindacati, e sindacati
in una Confederazione Generale del Lavoro, in una Unione sindacale
italiana, in una Unione italiana del lavoro, in una Confederazione
dei sindacati economici italiani, in una Federazione bianca
e in altre organizzazioni, che non sono in questo quadro, e
queste organizzazioni aumentano o diminuiscono secondo i momenti;
quando pensate che i veramente evoluti e coscienti, che si propongono
di creare un tipo di civiltà, sono un'esigua minoranza,
avete subito l'impressione che noi siamo nel vero quando non
sopravalutiamo l'importanza storica del movimento operaio. Riconosciamo,
però, che la Confederazione Generale del Lavoro non ha
tenuto di fronte alla guerra il contegno di ostilità
tenuto da gran parte del Partito Socialista Ufficiale. Riconosciamo
anche che, attraverso la Confederazione Generale del Lavoro,
si sono espressi dei valori tecnici di prim'ordine; e riconosciamo
ancora che, per il fatto che gli organizzatori sono a contatto
diuturno e diretto con la complessa realtà economica,
sono abbastanza ragionevoli. (Interruzioni all'estrema sinistra).
Noi, e qui ci sono dei testimoni che possono dichiararlo, non
abbiamo mai preso aprioristicamente un atteggiamento di opposizione
contro la Confederazione Generale del Lavoro. (Voci all'estrema
sinistra: "Voi bruciate le Camere del Lavoro!" . Commenti.
Presidente: "Facciano silenzio! Poi parleranno! Avranno
diritto di parlare!"). Aggiungo che il nostro atteggiamento
verso la Confederazione Generale del Lavoro potrebbe modificarsi
in seguito, se la Confederazione stessa - ed i suoi dirigenti
lo meditano da un pezzo - si distaccasse dal Partito politico
Socialista, che è una frazione di tutto il socialismo
politico, e che è costituito da gente che forma i quadri
e che ha bisogno, per agire, delle grosse forze, rappresentate
dalle organizzazioni operaie. Ascoltate, del resto, quello che
sto per dire. Quando voi presenterete il disegno di legge delle
otto ore di lavoro, noi voteremo a favore. (Commenti all'estrema
sinistra, interruzioni). Non ci opporremo e voteremo anzi a
favore di tutte le misure e dei provvedimenti che siano destinati
a perfezionare la nostra legislazione sociale. Non ci opporremo
nemmeno ad esperimenti di cooperativismo. Però vi dico
subito che ci opporremo con tutte le nostre forze a tentativi
di socializzazione, di statizzazione, di collettivizzazione!
Ne abbiamo abbastanza del socialismo di Stato! E non desisteremo
nemmeno dalla lotta, che vorrei chiamare dottrinale, contro
il complesso delle vostre dottrine, alle quali neghiamo il carattere
di verità e soprattutto di fatalità. Neghiamo
che esistano due classi, perché ne esistono molte di
più; neghiamo che si possa spiegare tutta la storia umana
col determinismo economico. Neghiamo il vostro internazionalismo,
perché è una merce di lusso, che può essere
praticata solo nelle alte classi, mentre il popolo è
disperatamente legato alla sua terra nativa. Non solo, ma noi
affermiamo, e sulla scorta di una letteratura socialista recentissima
che voi non dovreste negare, che comincia adesso la vera storia
del capitalismo, perché il capitalismo non è solo
un sistema di oppressione, ma è anche una selezione di
valori, una coordinazione di gerarchie, un senso più
ampiamente sviluppato della responsabilità individuale.
Tanto è vero che Lenin, dopo aver istituito i Consigli
di fabbrica, li ha aboliti e vi ha messo i dittatori; tanto
è vero che, dopo aver nazionalizzato il commercio, egli
lo ha ricondotto al regime di libertà; e (lo sapete voi,
che siete stati in Russia), dopo avere soppresso, anche fisicamente,
i borghesi, oggi li chiama da tutti gli orizzonti, perché
senza il capitalismo, senza i suoi sistemi tecnici di produzione,
la Russia non si rialzerebbe mai più. E permettetemi
che vi parli con franchezza, e vi dica quali sono stati gli
errori che avete commesso immediatamente dopo l'armistizio.
Errori fondamentali, che sono destinati a pesare sulla storia
della vostra politica: voi avete prima di tutto ignorato e disprezzato
le forze superstiti dell'interventismo. Il vostro giornale si
coprì di ridicolo, tanto che per mesi non ha mai fatto
il mio nome, come se con questo fosse possibile eliminare un
uomo dalla vita o dalla cronaca. Voi avete incanaglito nella
diffamazione della guerra e della vittoria. Avete agitato il
mito russo, suscitando una aspettazione messianica enorme. E
solo dopo, quando siete andati a vedere la realtà, avete
cambiato posizione con una ritirata strategica più o
meno prudente! Solo dopo due anni vi siete ricordati di mettere
accanto alla falce, nobilissimo strumento, e al martello, altrettanto
nobile, il libro, che rappresenta l'imponderabile, i diritti
dello spirito al disopra della materia, diritti che non si possono
sopprimere o negare, diritti che voi, che vi ritenete alfieri
di una nuova umanità, dovevate per i primi incidere nelle
vostre bandiere! E vengo al Partito Popolare. Ricordo ai popolari
che nella storia del fascismo non vi sono invasioni di chiese,
e non c'è nemmeno l'assassinio di quel frate Angelico
Galassi, finito a revolverate ai piedi di un altare. Vi confesso
che c'è qualche legnata e che c'è un incendio
sacrosanto di un giornale, che aveva definito il fascismo una
associazione a delinquere. Il fascismo non predica e non pratica
l'anticlericalismo. Il fascismo, anche questo si può
dire, non è legato alla massoneria, la quale in realtà
non merita gli spaventi da cui sembrano pervasi taluni del Partito
Popolare. Per me la massoneria è un enorme paravento
dietro al quale generalmente vi sono piccole cose e piccoli
uomini. Ma veniamo ai problemi concreti. Qui è stato
accennato al problema del divorzio. Io, in fondo in fondo, non
sono un divorzista, poiché ritengo che i problemi di
ordine sentimentale non si possono risolvere con formule giuridiche;
ma prego i popolari di riflettere se sia giusto che i ricchi
possano divorziare, andando in Ungheria, e che i poveri diavoli
siano costretti qualche volta a portare una catena per tutta
la vita. Siamo d'accordo con i popolari per quel che riguarda
la libertà della scuola; siamo molto vicini ad essi per
quel che riguarda il problema agrario, per il quale noi pensiamo
che, dove la piccola proprietà esiste, è inutile
sabotarla, che dove è possibile crearla, è giusto
crearla, che dove non è giusto crearla perché
sarebbe antiproduttiva, allora si possono adottare forme diverse,
non esclusa la cooperazione più o meno collettivista.
Siamo d'accordo per quel che riguarda il decentramento amministrativo,
con le dovute cautele: purché non si parli di federalismo
e di autonomismo, perché dal federalismo regionale si
andrebbe a finire al federalismo provinciale e così via
di seguito, per una catena infinita, l'Italia ritornerebbe a
quella che era un secolo fa. Ma vi è un problema che
trascende questi problemi contingenti e sul quale io richiamo
l'attenzione dei rappresentanti del Partito Popolare, ed è
il problema storico dei rapporti che possono intercedere, non
solo fra noi fascisti e il Partito Popolare, ma fra l'Italia
e il Vaticano. Tutti noi, che dai quindici ai venticinque anni,
ci siamo abbeverati di letteratura carducciana, abbiamo odiato
"una vecchia vaticana lupa cruenta", di cui parlava
Carducci, mi pare, nell'ode A Ferrara; abbiamo sentito parlare
di "un pontefice fosco del mistero", al quale faceva
contrapposto un poeta "sacerdote dell'augusto vero, vate
dell'avvenire"; abbiamo sentito parlare di una "tiberina,
vergin di nere chiome", che avrebbe insegnato "la
ruina di un'onta senza nome" al pellegrino avventuratosi
verso San Pietro. Ma tutto ciò che, relegato nel campo
della letteratura, può essere brillantissimo, oggi a
noi fascisti, spiriti eminentemente spregiudicati, sembra alquanto
anacronistico. Affermo qui che la tradizione latina e imperiale
di Roma oggi è rappresentata dal cattolicismo. Se, come
diceva Mommsen, venticinque o trenta anni fa, non si resta a
Roma senza una idea universale, io penso e affermo che l'unica
idea universale che oggi esista a Roma, è quella che
si irradia dal Vaticano. Sono molto inquieto quando vedo che
si formano delle Chiese nazionali, perché penso che sono
milioni e milioni di uomini, che non guardano più all'Italia
e a Roma. Ragione per cui io avanzo questa ipotesi; penso anzi
che, se il Vaticano rinunzia definitivamente ai suoi sogni temporalistici
- e credo che sia già su questa strada - l'Italia, profana
o laica, dovrebbe fornire al Vaticano gli aiuti materiali, le
agevolazioni materiali per scuole, chiese, ospedali o altro,
che una potenza profana ha a sua disposizione. Perché
lo sviluppo del cattolicismo nel mondo, l'aumento dei quattrocento
milioni di uomini, che in tutte le parti della terra guardano
a Roma, è di un interesse e di un orgoglio anche per
noi che siamo italiani. Il Partito Popolare deve scegliere:
o amico nostro o nostro nemico o neutrale. Dal momento che io
ho parlato chiaro, spero che qualche oratore del Partito Popolare
parlerà altrettanto chiaro. Quanto alla democrazia sociale,
essa ci appare molto equivoca. Prima di tutto non si capisce
perché si chiami sociale. Una democrazia è già
necessariamente sociale; pensiamo, perciò, che questa
democrazia sociale sia una specie di cavallo di Ulisse, che
rechi nei suoi fianchi un uomo che noi combatteremo continuamente.
Sono all'ultima parte del mio discorso, e voglio toccare un
argomento molto difficile, e che, dati i tempi, è destinato
a richiamare l'attenzione della Camera. Parlo della lotta, della
guerra civile in Italia. Non bisogna prima di tutto esagerare,
anche di fronte allo straniero, la vastità e le proporzioni
di questa lotta. I socialisti hanno pubblicato un volume di
trecento pagine; domattina ne esce uno nostro di trecento. D'altra
parte tutte le nazioni d'Europa hanno avuto un po' di guerra
civile. C'è stata in Ungheria, c'è stata in Germania,
c'è oggi in Inghilterra, sotto forma di un colossale
conflitto sociale. C'è stata anche in Francia, quando
Jouhaux lanciò le sue famose "ondate", che
furono infrante da un Governo che aveva più coraggio
degli uomini che sono ora a quel posto. È inutile che
Giolitti dica che vuole restaurare l'autorità dello Stato.
Il compito è enormemente difficile, perché ci
sono già tre o quattro Stati in Italia, che si contendono
il probabile, possibile esercizio del potere. D'altra parte,
per salvare lo Stato, bisogna fare un'operazione chirurgica.
Ieri l'onorevole Orano diceva che lo Stato è simile al
gigante Briareo, che ha cento braccia. Io credo che bisogna
amputarne novantacinque; cioè bisogna ridurre lo Stato
alla sua espressione puramente giuridica e politica. Lo Stato
ci dia una polizia, che salvi i galantuomini dai furfanti, una
giustizia bene organizzata, un esercito pronto per tutte le
eventualità, una politica estera intonata alle necessità
nazionali. Tutto il resto, e non escludo nemmeno la scuola secondaria,
deve rientrare nell'attività privata dell'individuo.
Se voi volete salvare lo Stato, dovete abolire lo Stato collettivista,
così come c'è stato trasmesso per necessità
di cose dalla guerra, e ritornare allo Stato manchesteriano.
La guerra civile si aggrava anche per questo fatto: che tutti
i partiti tendono a formarsi, a inquadrarsi in eserciti; quindi
l'urto, che se non era pericoloso quando si trattava di partiti
allo stato di nebulosa, è molto più pericoloso
oggi che gli uomini sono nettamente inquadrati, comandati e
controllati. D'altra parte è pacifico, ormai, che sul
terreno della violenza le masse operaie saranno battute. Lo
riconosceva molto giustamente Baldesi, ma non ne diceva la ragione
profonda; ed è questa: che le masse operaie sono naturalmente,
oserei dire santamente, pacifondaie, perché rappresentano
sempre le riserve statiche delle società umane, mentre
il rischio, il pericolo, il gusto dell'avventura sono stati
sempre il compito, il privilegio delle piccole aristocrazie.
E allora, o socialisti, se voi convenite e ammettete e confessate
che su questo terreno noi vi batteremo, allora dovete concludere
che avete sbagliato strada. (Interruzioni all'estrema sinistra).
La violenza non è per noi un sistema, non è un
estetismo, e meno ancora uno sport: è una dura necessità
alla quale ci siamo sottoposti. E aggiungo anche che siamo disposti
a disarmare, se voi disarmate a vostra volta, soprattutto gli
spiriti. Nell'Avanti! del 18 giugno, edizione milanese, è
detto: "Noi non predichiamo la vendetta, come fanno i nostri
avversari. Pensiamo all'ascesa maestosa dei popoli e delle classi
con opera pacifica e feconda pur nelle inevitabili, anzi necessarie,
lotte civili. Se questo è il vostro punto di vista, o
signori, sta a voi illuminare gli incoscienti e disarmare i
criminali. Noi abbiamo già detto la nostra parola, abbiamo
già compiuto la nostra opera". Ora io ribatto che
anche voi dovete illuminare gli incoscienti, che ritengono che
noi siamo degli scherani del capitalismo, degli agrari e dei
Governo; dovete disarmare anche i criminali, perché abbiamo
nel nostro martirologio 176 morti. Se voi farete questo, allora
sarà possibile segnare, la parola "fine" al
triste capitolo della guerra civile in Italia. Non dovete pensare
che in noi non vibrino sentimenti di umanità profonda.
Noi possiamo dire come Terenzio: siamo umani e niente di quanto
è umano ci è straniero. Ma il disarmo non può
essere che reciproco. Se sarà reciproco, si avvererà
quella condizione di cose che noi ardentemente auspichiamo,
perché, andando avanti di questo passo, la nazione corre
serio pericolo di precipitare nell'abisso. Siamo in un periodo
decisivo; lealtà per lealtà, prima di deporre
le nostre armi, disarmate i vostri spiriti. Ho parlato chiaro:
attendo che la vostra risposta sia altrettanto alta e chiara.
Ho finito.