Discorso
pronunciato nella cerimonia d'inaugurazione in Roma il 22 aprile
1930, tema:
il compito del Consiglio Nazionale delle Corporazioni
Camerati, signori,
Prima di tracciare le linee di questo discorso ho voluto rileggere
sulla Gazzetta Ufficiale il testo della legge 20 marzo 1930, n.
206, che istituisce il Consiglio nazionale delle Corporazioni.
L'ho voluto rileggere per definire nella maniera più sintetica
possibile l'istituto che ho il piacere e l'onore di inaugurare
in questo giorno: Natale di Roma e Festa del Lavoro. La definizione
può essere questa: il Consiglio nazionale delle Corporazioni
è, nell'economia italiana, quello che lo Stato Maggiore
è negli Eserciti: il cervello pensante che prepara e coordina.
La similitudine militare non vi dispiacerà, poiché
quella che l'economia italiana deve combattere è veramente
una rude, incessante guerra che richiede uno Stato Maggiore, dei
quadri, delle truppe che siano, per il loro compito, all'altezza
della situazione. L'economia italiana è qui rappresentata
nelle sette Sezioni specificate nell'articolo 4 della legge, che
certamente ognuno di voi conosce a memoria, anche perché
è stata, durante due anni, dibattutissima. Ma questo Stato
Maggiore ristretto si allarga nell'assemblea generale, quando
all'ordine del giorno ci siano questioni, appunto, di ordine generale.
È perfettamente logico che siano chiamati a partecipare
all'assemblea generale i dirigenti del P. N. F., il quale, avendo
fatto la Rivoluzione, non può essere mai straniato dagli
istituti che la Rivoluzione stessa realizza in ogni campo; taluni
direttori dei Ministeri interessati, utilissima innovazione per
approfondire e rendere costanti i contatti tra le forze vive della
Nazione e gli strumenti esecutivi delle amministrazioni dello
Stato; il presidente delle Associazioni dei Mutilati e dei Combattenti,
non solo per i problemi specifici interessanti quelle due categorie,
ma per un riconoscimento morale dei loro sacrifici in guerra e
della loro funzione in pace; e, finalmente, dieci persone che
chiamerò esperti o piuttosto "periti", affermazione
questa di notevole rilievo in quanto il Regime fascista non vuole
esiliare la dottrina e gli uomini di pensiero o rinchiuderli nei
loro studi o nei loro laboratori, ma desidera avere da essi un
apporto concreto per le risoluzioni dei problemi economici, problemi
che dopo le grandi guerre, dalle Puniche in poi, hanno sempre
gravemente tormentato i popoli. Le attribuzioni del Consiglio
nazionale delle Corporazioni sono chiaramente e analiticamente
fissate negli articoli 10 e 12. Soprattutto quest'ultimo articolo
caratterizza la legge e le dà il suo particolare sapore.
Senza questo articolo il Consiglio sarebbe un organo semplicemente
consultivo; con questo articolo la legge immette un fattore nuovo
nella vita economica e sociale italiana. I primi due paragrafi
dell'art. 12 sono importanti, ma non eccezionalmente. Il paragrafo
terzo, invece, è la chiave di volta di tutta la legge,
che solo per quelle tre righe merita l'appellativo di rivoluzionaria.
Le cautele che seguono nell'art. 12 sono la conferma che non si
tratta di un salto nel vuoto, come i soliti misoneisti dell'antifascismo
hanno tentato far credere, sibbene di un passo innanzi, misurato
ma deciso. Nell'art. 12 vi è tutta la corporazione, così
come l'intende e la vuole lo Stato fascista. È nella corporazione
che il sindacalismo fascista trova infatti la sua meta. Il sindacalismo,
di ogni scuola, ha un decorso che potrebbe dirsi comune, salvo
i metodi: s'incomincia con l'educazione dei singoli alla vita
associativa; si continua con la stipulazione dei contratti collettivi;
si attua la solidarietà assistenziale o mutualistica; si
perfeziona l'abilità professionale. Ma mentre il sindacalismo
socialista, per la strada della lotta di classe, sfocia sul terreno
politico, avente a programma finale la soppressione della proprietà
privata e dell'iniziativa individuale, il sindacalismo fascista,
attraverso la collaborazione di classe, sbocca nella corporazione,
che tale collaborazione deve rendere sistematica e armonica, salvaguardando
la proprietà, ma elevandola a funzione sociale, rispettando
l'iniziativa individuale, ma nell'ambito della vita e dell'economia
della Nazione. Il sindacalismo non può essere fine a se
stesso: o si esaurisce nel socialismo politico o nella corporazione
fascista. È solo nella corporazione che si realizza l'unità
economica nei suoi diversi elementi: capitale, lavoro, tecnica;
è solo attraverso la corporazione, cioè attraverso
la collaborazione di tutte le forze convergenti a un solo fine,
che la vitalità del sindacalismo è assicurata. È
solo, cioè, con un aumento della produzione, e quindi della
ricchezza, che il contratto collettivo può garantire condizioni
sempre migliori alle categorie lavoratrici; in altri termini,
sindacalismo e corporazione sono interdipendenti e si condizionano
a vicenda; senza sindacalismo non è pensabile la corporazione;
ma senza corporazione il sindacalismo stesso viene, dopo le prime
fasi, a esaurirsi in un'azione di dettaglio, estranea al processo
produttivo; spettatrice non attrice; statica e non dinamica. È
ciò che accade in tutti i Paesi dell'occidente dove il
sindacalismo, non potendo arrivare alla cosiddetta socializzazione
dei mezzi di produzione e di scambio, come in Italia alla corporazione,
segna il passo, o impegna battaglie che si concludono regolarmente
in disastri. Gli è che il sindacalismo giunge a un punto
in cui deve o tramutarsi in qualche altra cosa o ridursi all'ordinaria
amministrazione. È per quest'ordine di ragionamenti che
io attribuisco la massima importanza all'art. 12 della legge:
è per questo che io affermo l'originalità e la forza
di questo istituto, nel quale la corporazione trova la sua espressione
non soltanto economica, ma Politica e morale. Ciò precisato,
voglio aggiungere subito che non bisogna attendersi di punto in
bianco eventi portentosi e miracoli, inauditi dal funzionamento,
che oggi praticamente incomincia, del Consiglio nazionale delle
Corporazioni. L'azione che esso deve armonizzare e, se necessario,
stimolare, si svolge in un momento interessante dell'economia
mondiale. Ho detto interessante, nel senso che deve richiamare
l'attenzione del Governo e dei ceti dirigenti. Il fenomeno non
è italiano, ma universale e quindi anche italiano. È
una situazione di disagio, - più o meno acuto, - sulle
cui cause è perfettamente inutile di insistere, poiché
sono note a ogni mediocre osservatore della realtà economica
attuale. Mettetevi al lavoro, in questo nuovo istituto, nuovo
nell'Italia e nel mondo, con alto senso di responsabilità,
con visione non unilaterale ma globale dei problemi che saranno
sottoposti al vostro esame, con spirito di schietta, moderna,
fascistica collaborazione, e il Consiglio nazionale delle Corporazioni
risponderà agli obiettivi per cui fu creato: aumentare
la potenza e il benessere del popolo italiano.
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