Parole
pronunciate in un convegno a Roma il 22 giugno 1928 ai capitani
dell'industria
Voi vi adunate a Roma, mentre può dirsi giunta al termine,
e in un periodo di tempo che appare miracolosamente breve, l'ardua
e faticosa opera compiuta dal Regime per organizzare la società
nazionale. Anche nelle altre Nazioni esistono forze organizzate
nel terreno politico e in quello economico: ma queste forze, salvi
i sempre avvenuti e possibili e talora miserevoli compromessi
sotterranei, sono fuori dello Stato e spesso contro la Stato.
Per la prima volta nella storia dei mondo, non una piccola, ma
una grande società nazionale di ben 42 milioni è
organizzata nello Stato e dallo Stato. E, fenomeno più
singolare ancora, è che nessuno vuole rimanere estraneo
a questa organizzazione. L'Italiano del 1928 vuole essere una
unità di questo gigantesco inquadramento, poiché
sente che egli sarebbe un ilota qualora ne fosse un escluso. Quale
capovolgimento di posizioni mentali e politiche! Così,
la posizione vostra, o industriali italiani, è definita
sotto il suo triplice aspetto politico, professionale, morale,
quale risulta dalla legislazione fascista, dalla legge del 3 aprile
1926 in poi. La vostra posizione professionale è fissata
dalla Carta del Lavoro, quando vi attribuisce senza equivoci la
gestione e la responsabilità dell'azienda. Ma è
sulla vostra posizione "morale" che mi piace di soffermarmi.
Voi siete, oggi, balzati all'avanguardia di una grande trasformazione,
che viene effettuandosi nel tipo di economia capitalistica e che
prelude, forse non solo in Italia, al nuovo tipo di economia corporativa.
Ho l'orgoglio di avere previsto questo fatale andare nell'immediato
dopo guerra. Il capitalista, così come ci fu dipinto dalle
letterature presocialistiche, non esiste più. Si è
verificata una separazione tra capitale e gestione, tra industriale
e capitalista. Il capitale, col sistema delle società anonime
per azioni, si è dilatato, talora sino alla polverizzazione.
I possessori del capitale di un'azienda, attraverso il possesso
delle azioni, sono spesso innumerevoli. Mentre il capitale diventava
anonimo ed il capitalista del pari, balzava al primo piano dell'economia
il gestore dell'impresa, il capitano d'industria, il creatore
della ricchezza. Lo stesso impiego della terminologia militare
sta a provare che gli industriali possono essere definiti "i
quadri", sul terreno produttivo, del grande esercito dei
lavoratori. Da ciò discendono conseguenze che vedremo tra
poco. La produzione della ricchezza passa quindi dal piano dei
fini individuali a quello dei fini nazionali. Da questa nostra
nuova posizione politico-morale scaturiscono dei nuovi doveri,
delle vere necessità. La collaborazione, più ancora
che dalle leggi o dagli istituti o dalla volontà, è
imposta dalle cose, cioè dalla fase attuale della economia.
Questa collaborazione deve essere interpretata ed attuata nel
suo più vasto significato: gli operai, come le truppe,
sono gli elementi indispensabili per la battaglia, e la vittoria
è anche il risultato dei rapporti che si stabiliscono tra
ufficiali e soldati. La collaborazione deve essere aperta, senza
riserve o ripieghi. Ancora e sempre il fatto e l'esempio valgono
più delle verbali propagande. Così, nel sistema
fascista, gli operai non sono più degli "sfruttati",
secondo le viete terminologie, ma dei collaboratori, dei produttori,
il cui livello di vita deve essere elevato materialmente e moralmente,
in relazione ai momenti ed alle possibilità. Io affermo
che, in tempo di crisi, è nell'interesse degli operai di
accettare una decurtazione di salari; ma, a crisi superata, è
nell'interesse degli industriali di riaumentare i salari, riequilibrando
la situazione. Non è possibile, in Italia, per troppo ovvie
ragioni, la politica fordista degli alti salari, ma non è
nemmeno consigliabile politica dei bassi salari, la quale, deprimendo
i consumi di vaste masse, finisce per danneggiare l'industria
stessa. Per debito di lealtà e di verità, aggiungo
che gli industriali italiani, nella loro enorme maggioranza, condividono
queste idee, e lo dimostra l'ingente mole di contratti collettivi
firmati, nei quali sono state consacrate le clausole della Carta
del Lavoro. Né passerò sotto silenzio l'atteggiamento
d'aperta adesione che gli industriali hanno dato alle realizzazioni
della legislazione sociale, anche le più audaci, come l'assicurazione
obbligatoria contro la tubercolosi, o gli atti di munificenza
a favore dell'arte, della scienza o della pietà umana.
Questo dimostra che l'orizzonte degli industriali fascisti non
si limita a quello dell'officina, sibbene abbraccia altri aspetti
e altre manifestazioni della vita. Sulla crisi e sul suo andamento
vi ha parlato il vostro Presidente. Crisi vi sono state e vi saranno
sempre. È perfettamente comprensibile che, prima della
guerra, le crisi economiche raramente avessero carattere di universalità;
è perfettamente comprensibile che la guerra mondiale abbia
determinato una crisi mondiale. Ma io credo che siano già
in atto gli elementi risolutivi della crisi. Li voglio brevemente
accennare. Prima di tutto, la pace politica tra le Nazioni. Dopo
la guerra vi sono stati dei conflitti fra Stati, conflitti che,
come quello russo-polacco o greco-turco, possono dirsi periferici.
È da prevedere però che la pace non sarà
turbata fra le grandi Nazioni d'occidente, che sono quelle che
danno l'indirizzo alla civiltà del mondo. Dopo la pace
politica, la pace sociale. Assistiamo all'eclissi della lotta
di classe. Dopo l'ultimo sciopero dei minatori inglesi, le classi
europee sono entrate in un periodo di stasi. D'altra parte, ben
più irreparabile che l'eclissi della lotta di classe, è
l'eclissi del socialismo come dottrina e come pratica. Schematicamente
fissate, le vostre direttive di azione non possono essere che
queste: collaborazione solidale, vorrei dire fascisticamente schietta
e cordiale, coi tecnici e con gli operai, concentrazione delle
energie all'interno, fronte unico in faccia al mondo, valorizzazione
dell'artigianato, alleanza stretta con l'agricoltura, che è
la base dell'economia italiana. Come i Sindacati dei lavoratori,
così anche i vostri Sindacati devono sentire l'orgoglio
di collaborare a questa radicale trasformazione della vita nazionale,
per cui il popolo italiano sta compiendo, in perfetta disciplina
e con sempre più fiera consapevolezza, una ai quelle grandi
esperienze storiche che costituirono in ogni tempo l'alto privilegio
riservato alle Nazioni direttrici della civiltà umana.
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