DISCORSO DEL
23 ottobre 1933
Discorso pronunciato a Roma il 23 ottobre 1933 alle camicie nere fiorentine

La voce ardente che mi giunge da questa piazza è la stessa che udii nell'inobliabile maggio fiorentino presente sempre nella nostra memoria. Mi pare di essere ancora al balcone di Palazzo Vecchio. Con la vostra adunata, che supera per imponenza e per ardore tutte le precedenti, si chiude magnificamente l'Anno XI e si apre il XII. Voi vedrete nella Mostra della Rivoluzione Fascista ampiamente e solennemente documentato l'eroismo e il sacrificio fiorentino, che le Camicie nere di tutta Italia non dimenticheranno mai. Voglio anticipare a voi - Camicie nere di Firenze - la notizia che la Mostra non si chiuderà nemmeno il 21 aprile, perché diventerà permanente, come il tempio sacro, al quale le generazioni che salgono alla ribalta della vita e della storia trarranno nei decenni venturi, per conoscere quello che è stata la Rivoluzione delle Camicie nere. Vi troveranno inoltre motivi di meditazione quanti fossero ancora proclivi ai facili oblii. Dinanzi a voi, in questa impetuosa rassegna di forze, intendo rivendicare, nella maniera più perentoria, la priorità storica del movimento fascista e non meno perentoriamente la originalità inconfondibile della nostra dottrina. Siamo sorti nel marzo 1919, il primo Congresso fu tenuto a Firenze nell'autunno del 1919, non eravamo ancora Partito. Eravamo movimento. Non facciamo confusioni. Siamo ancora movimento. La Rivoluzione non è conclusa. Non può concludersi, poiché essa - e qui è un elemento della sua originalità - è e deve restare una creazione continua del nostro spirito e della nostra ansia di combattimento. La pace con onore e con giustizia è la pace romana, quella che dominò nei secoli dell'Impero, di cui vedete qui attorno le formidabili vestigia. Pace conforme al carattere e al temperamento della nostra razza latina e mediterranea, che voglio esaltare dinanzi a voi, perché è la razza che ha dato al mondo, fra i mille altri, Cesare, Dante, Michelangelo, Napoleone. Razza antica e forte di creatori e di costruttori, determinata ed universale ad un tempo, che ha dato tre volte nei secoli e darà ancora le parole che il mondo inquieto e confuso attende. Con la vostra adunata in massa a Roma, voi mi avete rivolto un invito. Lo raccolgo. Nell'Anno XII, inaugurandosi una grande opera destinata a sempre meglio riavvicinare gli italiani, verrò tra voi, a farvi riudire la mia non cambiabile voce. Levate, o Camicie nere fiorentine, verso il sole di Roma i vostri gagliardetti e le vostre armi e salutate la marcia fascista che dall'Italia continua sulle strade dell'Europa e del mondo. Il grido col quale avete accolto queste mie parole dimostra che in voi nulla vi è di cambiato e che la vostra tempra è sempre la stessa. Perché una generazione come la nostra che ha avuto la somma e drammatica ventura di vivere una guerra vittoriosa e una Rivoluzione trionfante non può invecchiare, è perennemente giovane, la sua anima è salda e lucente come l'acciaio delle vostre baionette. Nostra è la dottrina dello Stato, nostro è il concetto di popolo, che diventa arbitro del suo destino e soggetto della sua storia. Non dunque rivoluzione di piccole classi, o di piccoli circoli, non rivoluzione di conventicole intellettualoidi senza carattere, ma rivoluzione di popolo perché siete popolo, voi Camicie nere, autentico solido popolo, della città, dei paesi e dei villaggi, popolo pronto ad ogni sacrificio, popolo cui quattro anni di trincea e quindici di rivoluzione permettono di guardare negli occhi a qualsiasi forza nemica. Quello che è stato durante gli undici primi anni del Regime, è il tempo delle "opere", della gagliarda e quotidiana costruzione. Sarà anche il tempo della pace? Non dipende più e soltanto da noi. Noi abbiamo dimostrato nella maniera più ferma, più schietta e più reale che desideriamo la pace, ma con onore e giustizia per tutti.

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