GUERRA
Prefazione
Inaugurando la seconda Adunata Nazionale dei Fasci di Combattimento,
al Teatro Lirico di Milano,
il giorno del quinto anniversario della nostra entrata in guerra,
il 24 Maggio 1920,
il Duce pronunciava il seguente discorso
Le
parole, in determinati momenti, possono essere dei fatti. Supponiamo
dunque e facciamo sì che tutte le parole pronunziate qui
oggi siano delle azioni potenziali dell'oggi e reali del domani.
Cinque anni fa in questi giorni l'entusiasmo popolare prorompeva
in tutte le piazze e le strade d'Italia. Ed in questi giorni,
rivedendo i documenti dell'epoca, posso affermare, a tanta distanza
di tempo, con sicura e pura coscienza, che la causa dell'intervento,
nelle settimane del Maggio, non fu sposata dalla cosiddetta borghesia,
ma dalla parte più sana e migliore del popolo italiano.
E quando dico popolo intendo parlare anche del proletariato, perché
nessuno può pensare che le migliaia di cittadini che nelle
giornate di Maggio seguivano Corridoni, fossero tutti dei borghesi.
Ricordo che una Camera del lavoro agricola, quella di Parma, a
grande maggioranza, si dichiarò favorevole all'intervento
dell'Italia. Anche ammesso che la guerra sia stata un errore,
ed io non lo ammetto, di animo spregevole è colui che sputa
su questo sacrificio. Se si vuole ritornare ad un esame critico
io sono disposto ad affrontare in contraddittorio chiunque ed
a dimostrare: 1°) che la guerra fu voluta dagli Imperi centrali
come è stato confessato dagli uomini politici della repubblica
tedesca e come hanno confermato gli archivi dell'impero; 2°)
che l'Italia non poteva rimanere neutrale; 3°) che se fosse
rimasta neutrale oggi si troverebbe in una condizione peggiore
di quella in cui si trova. D'altra parte noi interventisti non
dobbiamo stupirci se il mare è in tempesta. Sarebbe assurdo
pretendere che un popolo uscente da una crisi così grave
si rimetta a posto nelle 24 ore successive. E quando voi pensate
che a due anni di distanza non abbiamo ancora la nostra pace,
quando voi pensate al trattamento fattoci dagli alleati, alla
deficienza dei nostri governanti, voi dovete comprendere certe
crisi di dubbio. Ma la guerra ha dato quello che doveva dare:
la vittoria.
Fischiando poco fa la evocazione della falce e del martello, voi
non avete certamente voluto spregiare questi che sono due strumenti
del lavoro umano, niente di più bello e di più nobile
della falce che ci dà il pane e del martello che forge
i metalli. Non dunque spregio al lavoro manuale. Dobbiamo comprendere
che questa sopravvalutazione odierna del lavoro manuale è
data dal fatto che la umanità soffre della mancanza dei
beni materiali ed è naturale che coloro che producono questi
elementi necessari abbiano una sopravvalutazione eccessiva. Noi
non rappresentiamo un punto di reazione. Diciamo alle masse di
non andare troppo oltre e di non pretendere di trasformare la
società attraverso un figurino che poi non conoscono. Se
trasformazioni devono verificarsi, devono avvenire tenendo conto
degli elementi storici e psicologici della nostra civiltà.
Non intendiamo osteggiare il movimento delle masse lavoratrici,
ma intendiamo smascherare la ignobile turlupinatura che ai danni
delle masse lavoratrici fa una accozzaglia di borghesi, semi borghesi
e pseudo borghesi, che per il solo fatto di avere la tessera credono
di essere diventati salvatori dell'umanità. Non contro
il proletariato, ma contro il partito socialista, fino a quando
continuerà ad essere anti-italiano. Il partito socialista
ha continuato, dopo la vittoria, a svalutare la guerra, a fare
la guerra all'intervento ed agli interventisti, minacciando rappresaglie
e scomuniche. Ebbene, io, per mio conto, non credo. Delle scomuniche
me ne rido, ma davanti alle rappresaglie risponderemo con le nostre
sacrosante rappresaglie. Noi non possiamo però andare contro
il popolo, perché il popolo è quello che ha fatto
la guerra. I contadini che oggi si agitano per risolvere il problema
terriero non possono essere guardati da noi con antipatia. Commetteranno
degli eccessi, ma vi prego di considerare che il nerbo delle fanterie
era composto di contadini, che chi ha fatto la guerra sono stati
i contadini. Noi non ci illudiamo di riuscire a silurare completamente
la ormai naufragante nave bolscevica. Ma io noto già dei
segni di resipiscenza. Credo che ad un dato momento la massa operaia,
stanca di lasciarsi mistificare, tornerà verso di noi,
riconoscendo che non l'abbiamo mai adulata, ma abbiamo sempre
detta la parola della brutale verità, facendo realmente
il suo interesse. Se oggi l'Italia non è precipitata nel
baratro ungherese lo si deve anche a noi che ci siamo nessi di
traverso con la nostra azione e con la nostra vita. Un solo dovere
abbiamo dunque: comprendere i fenomeni sociali che si svolgono
sotto i nostri occhi, combattere i mistificatori del popolo ed
avere una fede sicura e assoluta nell'avvenire della nazione.
All'indomani di tutte le grandi crisi storiche c'è sempre
stato un periodo di lassitudine. Ma poi a poco a poco i muscoli
stanchi riprendono. Tutto ciò che fu ieri trascurato e
vilipeso ritorna ad essere onorato ed ammirato. Oggi non si vuole
più sentire parlare di guerra ed è naturale. Ma
fra qualche tempo la psicologia del popolo sarà mutata
e tutto o gran parte del popolo italiano riconoscerà il
valore morale e materiale della vittoria; tutto il popolo onorerà
i suoi combattenti e combatterà quei governi che non volessero
garantire l'avvenire della nazione. Tutto il popolo onorerà
gli arditi. Sono gli arditi che andavano alle trincee cantando
e se siamo ritornati dal Piave all'Isonzo è merito degli
arditi; se teniamo ancora Fiume è merito degli arditi;
se siamo ancora nella Dalmazia lo dobbiamo agli arditi. Tre martiri
fra i mille che hanno consacrato la guerra italiana hanno voluto
fissare i destini della nazione: Battisti ci dice che il Brennero
dev'essere il confine d'Italia; Sauro ci dice che l'Adriatico
deve essere un mare italiano e commercialmente italo-slavo; Rismondo
ci dice che la Dalmazia è italiana. Ebbene, giuriamo davanti
al vessillo che porta le insegne della morte che infutura la vita,
e della vita che non teme la morte, di tener fede al sacrifico
di questi martiri.
|