DISCORSO DEL
24 ottobre 1932
Discorso pronunciato a Torino

Camicie nere! Popolo di Torino! Avevo promesso che non sarebbe trascorso l'anno X del Fascismo, senza che io avessi visitato la vostra città. Ecco che io mantengo la promessa. Sono fiero di essere tra voi e vi dichiaro, con tutta schiettezza, che la vostra accoglienza ardente ed entusiastica ha superata la mia aspettativa. Il popolo di Torino, che appartiene ad una razza di guerrieri e di lavoratori, ci è venuto incontro con tutti i palpiti di una fede veramente e profondamente sentita. Se nove anni or sono il nostro contatto fu vibrante, la moltitudine che oggi è dinanzi a me mi permette di affermare, in faccia al mondo, che il Piemonte sta per mettersi all'avarguardia del movimento fascista italiano. Come potrebbe essere altrimenti? Torino è una città Romana, non già e non soltanto perché fu ricostruita da Giulio Cesare, ma è Roma per la sua tenacia, è Roma per il valore che ha dimostrato durante i secoli, in assedii e battaglie memorabili, è Roma perché ha dato la fiamma e il sangue al risorgimento della Patria. Qui a Torino la squadrismo animoso non ha conosciuto limiti al suo sacrificio. Torino ha dato al Fascismo una figura di asceta. Parlo di Mario Gioda. Ha dato un ministro e un quadrunviro, che in pace e in guerra merita, e non per enfasi retorica, l'appellativo di eroe. Per disperdere ogni dubbio vi annunzio che d'ora innanzi i contatti fra voi e me saranno più frequenti, anche se mero solenni. Il contatto morale e la comunione degli spiriti ci sono stati sempre, e posso dire con tranquilla coscienza che nessuno dei problemi che interessano la vostra città mi ha lasciato indifferente. Io intendo che Torino, città cara al mio cuore, città cara al cuore di tutti gli Italiani che non dimenticano, conservi il suo posto, il suo prestigio, il suo rango di grande, industriosa, laboriosa città. Or è un anno, a Napoli, io tracciai le linee di quella che doveva essere l'azione fascista. Da allora la storia di Europa ha avuto degli avvenimenti di molto rilievo. Parlai allora della tragica contabilità della guerra e, in due articoli non dimenticati del Popolo l'Italia, affermai successivamente che su questa contabilità era tempo di passare la spugna. La Conferenza di Losanna è una delle poche che hanno avuto una conclusione. Pilotata energicamente dal Primo Ministro inglese, la navicella delle riparazioni e dei debiti è oggi nel porto di Losanna. Vorrà il grande popolo della Repubblica stellata ricacciare in alto mare questa navicella, dove è la speranza e l'ansia di tanti popoli ? Io vorrei che questo "no", che voi avete pronunciato con voce di tuono, valicasse l'Atlantico e giungesse a toccare il generoso cuore di quel popolo. Una conferenza che ha interessato tutte le genti del mondo civile è quella del disarmo. Taluno ha pensato che le nostre proposte pratiche e concrete fossero ispirate da calcoli di machiavellismo. Niente di più falso. C'era un mezzo molto semplice per saggiare la nostra sincerità: metterci alla prova. Ora gli uomini in buona fede devono aprire le orecchie, e soprattutto devono spalancarle quelli che sono in malafede. Da questa città di frontiera, che non ha mai temuto la guerra, io dichiaro, perché tutti intendano, che l'Italia segue una politica di pace, di vera pace, che non può essere dissociata dalla giustizia di quella pace che deve ridare l'equilibrio all'Europa, di quella pace che deve scendere nel cuore come una speranza e una fede! Eppure, oltre le frontiere, ci sono dei farneticanti, i quali non perdonano all'Italia fascista di essere in piedi. Per questi residui e residuati di tutte le logge, è veramente uno scandalo inaudito che ci sia l'Italia fascista, perché essa rappresenta una irrisione documentata ai loro principii, che il tempo ha superato. Essi hanno inventato il popolo, non già per andargli incontro alla nostra franca maniera; ma lo hanno inventato per mistificarlo, per dargli dei bisogni immaginari e dei diritti illusorii. Costoro non sarebbero alieni dal considerare quella che si potrebbe chiamare una guerra di dottrina tra principii opposti, poiché nessuno è nemico peggiore della pace di colui che fa di professione il panciafichista o il pacifondaio. Ebbene, se questa ipotesi dovesse verificarsi, la partita è decisa sin dall'inizio, poiché, tra i principii che sorgono e si affermano e i principii che declinano, la vittoria è per i primi, è per noi! Un voto del Gran Consiglio ha suscitato l'interesse di tutti i paesi: rimanere ancora nella Società delle Nazioni? Ora io vi dichiaro che noi rimarremo ancora nella Società delle Nazioni specialmente oggi che essa è straordinariamente malata, non bisogna abbandonarne il capezzale. Alla Società delle Nazioni, troppo universalistica, accade che le sue istruzioni perdano di efficacia con l'aumentare delle distanze. E se essa può avere qualche efficacia nelle vicende europee, quando siamo all'Estremo Oriente e nell'America meridionale, le parole restano parole, senza senso e senza significato. Vi sono stati dei tentativi di disincagliare l'Europa da questa costruzione troppo universalistica. Ma io penso che se domani, sulla base della giustizia, sulla base del riconoscimento dei nostri sacrosanti diritti, consacrati dal sangue di tante giovani generazioni italiane, si realizzassero le premesse necessarie e sufficienti per una collaborazione delle quattro grandi Potenze occidentali, l'Europa sarebbe tranquilla dal punto di vista politico e forse la crisi economica, che ci attanaglia, andrebbe verso la fine! Vi è un'altra questione: quella che concerne la domanda tedesca di parità. Anche qui il Fascismo ha avuto delle idee e delle direttive precise. La domanda tedesca della parità giuridica è pienamente giustificata. Bisogna riconoscerlo, quanto più presto, tanto meglio! Nello stesso tempo, finché dura la Conferenza del disarmo, la Germania non può chiedere di riarmarsi in nessuna misura, ma quando la Conferenza del disarmo sarà finita e se avrà dato un risultato negativo, allora la Germania non potrà rimanere nella Società delle Nazioni, se questo divario che l'ha diminuita sin qui non viene annullato. Non vogliamo egemonie in Europa. Noi saremo contro l'affermazione di qualsiasi egemonia, specialmente se essa vuole cristallizzare una posizione di patente ingiustizia. Quanto alla politica interna, voi sapete che il Partito ha riaperto le sue porte. Il bravo Gastaldi mi dice che le domande dei Torinesi ammontano alla cifra imponente di 20 mila. Superbo! Ma a costoro e a tutti debbo ricordare che l'organizzazione politica del Regime si chiama partito, perché è il partito che ha fatto la Rivoluzione. Tuttavia questa parola non ha niente di comune con il concetto dei vecchi partiti. Il Partito Nazionale Fascista è un esercito, o, se volete, è un ordine. In esso si entra soltanto per servire e per obbedire. Altra bussola che ci guida nel cammino: la collaborazione delle classi. In questa città, che ha così numerose maestranze, mi piace di solennemente affermare che le classi lavoratrici hanno compiuto il loro dovere dinanzi alla crisi e si sono caricate le spalle dell'inevitabile fardello. Debbo ancora aggiungere che le classi industriali italiane si muovono in questa atmosfera di concordia: tengono duro nella attesa di tempi migliori. Se la collaborazione è necessaria nei tempi facili, è indispensabile nei tempi difficili, quando ogni dispersione di energia, ogni controversia è un vero e proprio tradimento consumato ai danni della Patria. Torino è stata meravigliosa nell'opera di assistenza. Ci siamo già sganciati dal concetto troppo limitato di filantropia, per arrivare al concetto più vasto e più profondo di assistenza. Dobbiamo fare ancora un passo innanzi: dall'assistenza dobbiamo arrivare all'attuazione piena della solidarietà nazionale. Siamo contrari al sistema dei sussidi. Coloro che leggono le cronache di questi giorni vedono che essi non risolvono a nulla. Siamo anche contrari a tutte le misure oblique, a tutti i suggerimenti di alterare il valore della moneta, che io considero la bandiera intangibile della Nazione. Là dove essa è stata tosata, non si sono migliorate affatto le condizioni del popolo, se è vero che proprio in questo giorno, mentre siamo riuniti in questa piazza, da molti punti della Gran Bretagna muovono verso Londra le masse aumentate dei disoccupati. Finalmente Torino deve avere lavoro per le sue maestranze. E tutto quello che è stato creato dal coraggio, dalla tenacia e dalla genialità dei Torinesi, deve rimanere a Torino! Qualcuno pensa che noi ci preoccupiamo dell'inverno dal punto di vista politico. È falso. Dal punto di vista politico, potrebbero passare anche cinquanta inverni grigi, senza che nulla accada, tanto più che dopo gli inverni grigi verranno - a premiare il nostro coraggio - le primavere del benessere e della gloria. Ma è dal punto di vista umano che io mi preoccupo, perché il solo pensiero di una famiglia senza il necessario per vivere mi dà una acuta sofferenza fisica. Io so, per averlo provato, che cosa vuol dire la casa deserta e il desco nudo. Camerati Torinesi! Questa veramente magnifica comunione di spiriti, per cui noi in questo momento siamo un solo cuore e una sola anima, non potrebbe chiudersi senza rivolgere un pensiero pieno di profonda devozione alla Maestà del Re, che rappresenta la continuità, la vitalità, la santità della Patria. Quale dunque è la parola d'ordine per il nuovo decennio, verso il quale noi andiamo incontro con l'animo dei vent'anni? La parola è questa: Camminare, costruire, e, se è necessario, combattere e vincere!

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