Discorso
pronunciato a Torino
Camicie nere! Popolo di Torino! Avevo promesso che non sarebbe
trascorso l'anno X del Fascismo, senza che io avessi visitato
la vostra città. Ecco che io mantengo la promessa. Sono
fiero di essere tra voi e vi dichiaro, con tutta schiettezza,
che la vostra accoglienza ardente ed entusiastica ha superata
la mia aspettativa. Il popolo di Torino, che appartiene ad una
razza di guerrieri e di lavoratori, ci è venuto incontro
con tutti i palpiti di una fede veramente e profondamente sentita.
Se nove anni or sono il nostro contatto fu vibrante, la moltitudine
che oggi è dinanzi a me mi permette di affermare, in faccia
al mondo, che il Piemonte sta per mettersi all'avarguardia del
movimento fascista italiano. Come potrebbe essere altrimenti?
Torino è una città Romana, non già e non
soltanto perché fu ricostruita da Giulio Cesare, ma è
Roma per la sua tenacia, è Roma per il valore che ha dimostrato
durante i secoli, in assedii e battaglie memorabili, è
Roma perché ha dato la fiamma e il sangue al risorgimento
della Patria. Qui a Torino la squadrismo animoso non ha conosciuto
limiti al suo sacrificio. Torino ha dato al Fascismo una figura
di asceta. Parlo di Mario Gioda. Ha dato un ministro e un quadrunviro,
che in pace e in guerra merita, e non per enfasi retorica, l'appellativo
di eroe. Per disperdere ogni dubbio vi annunzio che d'ora innanzi
i contatti fra voi e me saranno più frequenti, anche se
mero solenni. Il contatto morale e la comunione degli spiriti
ci sono stati sempre, e posso dire con tranquilla coscienza che
nessuno dei problemi che interessano la vostra città mi
ha lasciato indifferente. Io intendo che Torino, città
cara al mio cuore, città cara al cuore di tutti gli Italiani
che non dimenticano, conservi il suo posto, il suo prestigio,
il suo rango di grande, industriosa, laboriosa città. Or
è un anno, a Napoli, io tracciai le linee di quella che
doveva essere l'azione fascista. Da allora la storia di Europa
ha avuto degli avvenimenti di molto rilievo. Parlai allora della
tragica contabilità della guerra e, in due articoli non
dimenticati del Popolo l'Italia, affermai successivamente che
su questa contabilità era tempo di passare la spugna. La
Conferenza di Losanna è una delle poche che hanno avuto
una conclusione. Pilotata energicamente dal Primo Ministro inglese,
la navicella delle riparazioni e dei debiti è oggi nel
porto di Losanna. Vorrà il grande popolo della Repubblica
stellata ricacciare in alto mare questa navicella, dove è
la speranza e l'ansia di tanti popoli ? Io vorrei che questo "no",
che voi avete pronunciato con voce di tuono, valicasse l'Atlantico
e giungesse a toccare il generoso cuore di quel popolo. Una conferenza
che ha interessato tutte le genti del mondo civile è quella
del disarmo. Taluno ha pensato che le nostre proposte pratiche
e concrete fossero ispirate da calcoli di machiavellismo. Niente
di più falso. C'era un mezzo molto semplice per saggiare
la nostra sincerità: metterci alla prova. Ora gli uomini
in buona fede devono aprire le orecchie, e soprattutto devono
spalancarle quelli che sono in malafede. Da questa città
di frontiera, che non ha mai temuto la guerra, io dichiaro, perché
tutti intendano, che l'Italia segue una politica di pace, di vera
pace, che non può essere dissociata dalla giustizia di
quella pace che deve ridare l'equilibrio all'Europa, di quella
pace che deve scendere nel cuore come una speranza e una fede!
Eppure, oltre le frontiere, ci sono dei farneticanti, i quali
non perdonano all'Italia fascista di essere in piedi. Per questi
residui e residuati di tutte le logge, è veramente uno
scandalo inaudito che ci sia l'Italia fascista, perché
essa rappresenta una irrisione documentata ai loro principii,
che il tempo ha superato. Essi hanno inventato il popolo, non
già per andargli incontro alla nostra franca maniera; ma
lo hanno inventato per mistificarlo, per dargli dei bisogni immaginari
e dei diritti illusorii. Costoro non sarebbero alieni dal considerare
quella che si potrebbe chiamare una guerra di dottrina tra principii
opposti, poiché nessuno è nemico peggiore della
pace di colui che fa di professione il panciafichista o il pacifondaio.
Ebbene, se questa ipotesi dovesse verificarsi, la partita è
decisa sin dall'inizio, poiché, tra i principii che sorgono
e si affermano e i principii che declinano, la vittoria è
per i primi, è per noi! Un voto del Gran Consiglio ha suscitato
l'interesse di tutti i paesi: rimanere ancora nella Società
delle Nazioni? Ora io vi dichiaro che noi rimarremo ancora nella
Società delle Nazioni specialmente oggi che essa è
straordinariamente malata, non bisogna abbandonarne il capezzale.
Alla Società delle Nazioni, troppo universalistica, accade
che le sue istruzioni perdano di efficacia con l'aumentare delle
distanze. E se essa può avere qualche efficacia nelle vicende
europee, quando siamo all'Estremo Oriente e nell'America meridionale,
le parole restano parole, senza senso e senza significato. Vi
sono stati dei tentativi di disincagliare l'Europa da questa costruzione
troppo universalistica. Ma io penso che se domani, sulla base
della giustizia, sulla base del riconoscimento dei nostri sacrosanti
diritti, consacrati dal sangue di tante giovani generazioni italiane,
si realizzassero le premesse necessarie e sufficienti per una
collaborazione delle quattro grandi Potenze occidentali, l'Europa
sarebbe tranquilla dal punto di vista politico e forse la crisi
economica, che ci attanaglia, andrebbe verso la fine! Vi è
un'altra questione: quella che concerne la domanda tedesca di
parità. Anche qui il Fascismo ha avuto delle idee e delle
direttive precise. La domanda tedesca della parità giuridica
è pienamente giustificata. Bisogna riconoscerlo, quanto
più presto, tanto meglio! Nello stesso tempo, finché
dura la Conferenza del disarmo, la Germania non può chiedere
di riarmarsi in nessuna misura, ma quando la Conferenza del disarmo
sarà finita e se avrà dato un risultato negativo,
allora la Germania non potrà rimanere nella Società
delle Nazioni, se questo divario che l'ha diminuita sin qui non
viene annullato. Non vogliamo egemonie in Europa. Noi saremo contro
l'affermazione di qualsiasi egemonia, specialmente se essa vuole
cristallizzare una posizione di patente ingiustizia. Quanto alla
politica interna, voi sapete che il Partito ha riaperto le sue
porte. Il bravo Gastaldi mi dice che le domande dei Torinesi ammontano
alla cifra imponente di 20 mila. Superbo! Ma a costoro e a tutti
debbo ricordare che l'organizzazione politica del Regime si chiama
partito, perché è il partito che ha fatto la Rivoluzione.
Tuttavia questa parola non ha niente di comune con il concetto
dei vecchi partiti. Il Partito Nazionale Fascista è un
esercito, o, se volete, è un ordine. In esso si entra soltanto
per servire e per obbedire. Altra bussola che ci guida nel cammino:
la collaborazione delle classi. In questa città, che ha
così numerose maestranze, mi piace di solennemente affermare
che le classi lavoratrici hanno compiuto il loro dovere dinanzi
alla crisi e si sono caricate le spalle dell'inevitabile fardello.
Debbo ancora aggiungere che le classi industriali italiane si
muovono in questa atmosfera di concordia: tengono duro nella attesa
di tempi migliori. Se la collaborazione è necessaria nei
tempi facili, è indispensabile nei tempi difficili, quando
ogni dispersione di energia, ogni controversia è un vero
e proprio tradimento consumato ai danni della Patria. Torino è
stata meravigliosa nell'opera di assistenza. Ci siamo già
sganciati dal concetto troppo limitato di filantropia, per arrivare
al concetto più vasto e più profondo di assistenza.
Dobbiamo fare ancora un passo innanzi: dall'assistenza dobbiamo
arrivare all'attuazione piena della solidarietà nazionale.
Siamo contrari al sistema dei sussidi. Coloro che leggono le cronache
di questi giorni vedono che essi non risolvono a nulla. Siamo
anche contrari a tutte le misure oblique, a tutti i suggerimenti
di alterare il valore della moneta, che io considero la bandiera
intangibile della Nazione. Là dove essa è stata
tosata, non si sono migliorate affatto le condizioni del popolo,
se è vero che proprio in questo giorno, mentre siamo riuniti
in questa piazza, da molti punti della Gran Bretagna muovono verso
Londra le masse aumentate dei disoccupati. Finalmente Torino deve
avere lavoro per le sue maestranze. E tutto quello che è
stato creato dal coraggio, dalla tenacia e dalla genialità
dei Torinesi, deve rimanere a Torino! Qualcuno pensa che noi ci
preoccupiamo dell'inverno dal punto di vista politico. È
falso. Dal punto di vista politico, potrebbero passare anche cinquanta
inverni grigi, senza che nulla accada, tanto più che dopo
gli inverni grigi verranno - a premiare il nostro coraggio - le
primavere del benessere e della gloria. Ma è dal punto
di vista umano che io mi preoccupo, perché il solo pensiero
di una famiglia senza il necessario per vivere mi dà una
acuta sofferenza fisica. Io so, per averlo provato, che cosa vuol
dire la casa deserta e il desco nudo. Camerati Torinesi! Questa
veramente magnifica comunione di spiriti, per cui noi in questo
momento siamo un solo cuore e una sola anima, non potrebbe chiudersi
senza rivolgere un pensiero pieno di profonda devozione alla Maestà
del Re, che rappresenta la continuità, la vitalità,
la santità della Patria. Quale dunque è la parola
d'ordine per il nuovo decennio, verso il quale noi andiamo incontro
con l'animo dei vent'anni? La parola è questa: Camminare,
costruire, e, se è necessario, combattere e vincere!
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