Onorevoli
Senatori,
Voglio prima di tutto rassicurarvi per quello che concerne le
proporzioni del mio odierno discorso. Non saranno quelle del discorso
che ho pronunziato nell'altro ramo del Parlamento, quantunque
mi debba trovare forse nella necessità di riferirmi al
discorso che ho pronunziato il 13 maggio. Pronunziato a tre mesi
di distanza dalla firma dei Patti Lateranensi, lo si è
trovato duro; io lo definirò crudo, ma necessario
* * *
Era necessario stabilire con una frase drastica quello che in
realtà era accaduto sul terreno politico, e precisare le
reciproche sovranità; il Regno d'Italia da una parte, la
Città del Vaticano dall'altra. Era utile aggiungere che
le distanze tra il Regno d'Italia e la Città del Vaticano
si numerano a migliaia di chilometri come la distanza che separa
Parigi dal Vaticano. Madrid dal Vaticano, Varsavia dal Vaticano.
Si doveva dissipare l'equivoco per cui si poteva pensare che il
Trattato del Laterano avrebbe vaticanizzato l'Italia o che il
Vaticano sarebbe stato italianizzato; o, per citare una vecchia
frase, che il Re sarebbe diventato il chierico del Papa o che
il Papa sarebbe diventato il cappellano del Re. Niente di tutto
ciò; distinzione precisa. La contiguità non significa
nulla, la distanza è giuridica e politica. È poi
assurdo ritenere che il mio discorso fosse rivolto a degli elementi
di sinistra, che nel Partito Fascista non esistono, (perché
il Partito Fascista ignora questa vieta terminologia), o fosse
destinato a placare le cellule massoniche che da noi non hanno
mai avuto e non avranno mai tregua. Nel discorso pronunciato dal
senatore Crispolti ci sono degli accenni che debbo raccogliere:
primo di essi, quello che riguarda l'origine del Cristianesimo.
La mia affermazione storica, fatta nell'altro ramo del Parlamento,
ha sollevato delle apprensioni che io reputo legittime. Io non
ho inteso di escludere, anzi l'ammetto, il disegno divino in tutto
ciò che è accaduto, in tutto quanto si è
svolto; ma sarà pur concesso di affermare che lo svolgimento
dei fatti si è verificato a Roma e non ad Alessandria d'Egitto
e nemmeno a Gerusalemme: sarà possibile dire che le prime
comunità, staccatesi dal paganesimo, erano formate da israeliti,
tanto che nei primi 64 anni dell'era attuale il fenomeno si chiamava
giudeo-cristiano, ed è nel 64, nel momento culminante delle
persecuzioni di Nerone, nell'anno del martirio di Pietro, che
si è prodotta la frattura definitiva tra il giudaismo che
si è rifugiato nei suoi confini etnici ed il Cristianesimo
che accettava in pieno la predicazione paolina dell'universalismo
e si metteva per le strade consolari alla conquista del mondo.
Del resto uomini di chiara dottrina cattolica, come Monsignor
Battifolle nel suo libro l'Eglise naissante et le catholicisme
ripudiano la tesi protestante concentrata nel trinomio: Cristianesimo,
cattolicesimo, romanesimo, tesi fatta sua con grande forza dal
Rénan; ma egli stesso ammette in questo libro, giunto alla
quinta edizione, che fu provvidenziale la cooperazione di Roma
alla missione della Cathedra Petri. "E noi - dice l'autore
- non avremo la cattiva grazia di contestarlo. Facciamo, egli
aggiunge, le nostre riserve sui termini politici che vengono impiegati
per descriverla, come anche sulla tendenza a trasformare in funzione
generatrice ciò che non fu che una circostanza". Un
altro autore cattolico, il Duchesne, nell' "Histoire ancienne
de I'Église" (debbo citare i francesi perché
da qualche tempo il cattolicismo italiano non è fecondo;
la produzione intellettuale in questa materia è altrove;
in questi ultimi tempi non abbiamo avuto che una traduzione, ancora
dal francese: "La primauté da spirituel" del
Maritain) comincia questo libro, scritto a Roma nel 1905, con
un capitolo così intitolato: "L'Impero Romano patria
del cristianesimo", e a pagina 10 aggiunge: "da quanto
si è detto si conclude che la propagazione del cristianesimo
ha trovato nella situazione dell'Impero Romano delle facilitazioni
e degli ostacoli. Fra le prime bisogna in primo luogo mettere
la pace universale, la uniformità delle lingue e delle
idee, la rapidità e la sicurezza delle comunicazioni. La
filosofia attraverso i colpi da essa inferti alle vecchie leggende,
e con la sua impotenza a creare qualche cosa che potesse sostituirle,
può essere considerata quale utile ausiliaria...".
Infine: "le religioni orientali, offrendo un alimento qualunque
al sentimento religioso, gli hanno impedito di morire, e gli hanno
permesso di attingere la rinascenza evangelica ". "Naturalmente,
aggiunge, ci furono degli ostacoli, e cioè le persecuzioni
intermittenti degli imperatori romani, lo spirito raziocinante
della filosofia greca, che si impadronì degli elementi
dottrinali dell'insegnamento cristiano e ne fece uscire cento
diverse eresie". Ai tempi degli Antonini, Roma era il crogiuolo
di tutto il mondo cristiano, lo dice lo stesso autore: "Tutti
i capi delle comunità si davano convegno a Roma, tutte
le figure più caratteristiche vi si trovavano". A
pag. 241 cita: "Policarpo, il patriarca di Asia; Marcione,
il feroce settario del Ponto; Valentino, il grande Maestro della
gnosi Alessandrina; Egesippo, il giudeo cristiano di Siria; Giustino
e Tazio, filosofi e apologisti. Era come un microcosmo, una sintesi
di tutto il cristianesimo d'allora". Non voglio abusare della
vostra pazienza con queste rievocazioni culturali, che però
giustificano in pieno, io ritengo, La mia affermazione puramente
storicistica e niente affatto di indole religiosa, che il cristianesimo
ha trovato l'ambiente più favorevole a Roma. Dicevo, infatti,
nel mio ultimo discorso: "Comunque su questa constatazione
possiamo essere concordi, che il Cristianesimo ha trovato il suo
ambiente favorevole a Roma ". Un altro punto è quello
dei diritti dello Stato sulla educazione e sulla istruzione. Non
vorrei che si creassero degli equivoci perché un conto
è l'istruzione e un conto è l'educazione. Siamo
noi fascisti in regime di feroce monopolio della istruzione? No.
Bisognerà dunque ricordare agli immemori che è in
Regime Fascista che si è aperta ed è stata riconosciuta
la prima Università cattolica italiana? Ma v'è un
lato della educazione nel quale noi siamo, se non si vuol dire
intrattabili, intransigenti. Intanto scendiamo dalle zone dell'accademia
e vediamo la realtà della vita. Dire che l'istruzione spetta
alla famiglia, è dire cosa al di fuori della realtà
contemporanea. La famiglia moderna, assillata dalle necessità
di ordine economico, vessata quotidianamente dalla lotta per la
vita, non può istruire nessuno. Solo lo Stato, con i suoi
mezzi di ogni specie, può assolvere questo compito. Aggiungo
che solo lo Stato può anche impartire la necessaria istruzione
religiosa, integrandola con il complesso delle altre discipline.
Quale è allora l'educazione che noi rivendichiamo in maniera
totalitaria? L'educazione del cittadino. Giustamente è
stato osservato che vi si potrebbe rinunziare, se uguale rinunzia
facessero tutti gli altri. Se il mondo contemporaneo non fosse
quel mondo di lupi feroci che conosciamo, tali anche se per avventura
portano il cilindro e la necroforica redingote, noi potremmo allora
rinunciare a questa nostra educazione, alla quale daremo finalmente
un nome, poiché le ipocrisie ci ripugnano: l'educazione
guerriera. La parola non vi deve spaventare. Necessaria è
questa educazione virile e guerriera in Italia, perché
durante lunghi secoli le virtù militari del popolo italiano
non hanno potuto rifulgere. È solo la guerra che va dal
1915 al 1918 che costituisce, dopo le guerre dell'Impero Romano,
la prima guerra combattuta e vinta dal popolo italiano. E poiché
abbiamo degli interessi da difendere giorno per giorno come esistenza
di popolo, non possiamo cedere alle lusinghe dell'universalismo,
che io comprendo nei popoli che sono arrivati, ma che non posso
ammettere nei popoli che debbono arrivare. Ci sarà veramente,
in tema di educazione e di insegnamento religioso nelle scuole
medie, quel conflitto tra filosofia e religione di cui ha parlato
la Rivista pedagogica? Se si rimarrà fedeli agli ordinamenti
e ai programmi, io non lo credo. Io credo che, più che
la filosofia, è interessante la storia della filosofia,
e, più ancora della storia della filosofia, la vita dei
filosofi; il conoscere come hanno lottato, come hanno sofferto,
come si sono sacrificati per conquistare la loro verità.
Questo è altamente educativo, per i giovani che si affacciano
alla vita dello spirito. Ma è poi vero che i cattolici
di questo secolo sono così lontani da quelle conquiste
di cui si parlava ieri, quando si accennava all'odierno mondo
operoso, pieno di vita e di calore? No. In una delle relazioni
che saranno presentate al VII Congresso Internazionale di Filosofia,
che io avrò il piacere e l'alto onore di inaugurare domani,
c'è qualcuno che si occupa di questo argomento e fa delle
constatazioni interessanti. "Siamo ben lontani oggi - egli
dice - dai tempi in cui il padre Cornaldi nel 1881 diceva che
tutta la filosofia moderna è la patologia della ragione
umana". Esagerato! Non bisogna credere che non vi siano ancora
degli individui che ciò pensano, ma vi sono anche di quelli
che sono venuti verso di noi. "Nell'elenco degli autori -
egli dice - da proscrivere, si deve evidentemente porre lo Spinoza".
Ma chi è oggi il maggiore studioso dello Spinoza? È
un gesuita di grande acume spirituale: il Dunin Bornowsky. E a
Kant l'Università Cattolica di Milano dedicò un
volume di studi e il Rettore di quella Università, che
è tanto cara alle supreme gerarchie cattoliche, propugna
lo studio di Kant ed ammette il riconoscimento della sua grandezza,
compatibilmente non solo col sentimento cristiano, ma anche con
la filosofia tomistica.
* * *
Né si dica che questi studi si fanno soltanto nell'Università
Cattolica di Milano, che è così cara a chi è
altissimo nella gerarchia. Non si potrebbe infatti dimenticare
che, tra le collezioni dei testi filosofici per le scuole secondarie
curate dai Padri Salesiani, anche così manifestamente cari
a quella suprema gerarchia, accanto alle opere dei santi e degli
ortodossi, vi sono anche quelle di Kant, di Bentham, e, o signori,
inorridite: anche di Jean Jacques Rousseau. Così stando
le cose, coi necessari contatti sarà possibile conciliare
l'insegnamento non obbligatorio delle discipline religiose con
la Filosofia e con le altre discipline. Ho ascoltato con emozione
il discorso pronunziato dal Senatore Boselli, il quale con la
sua relazione e col suo discorso odierno ha reso un alto, magnifico
servigio al Paese. L'onorevole Scialoja ha fatto l'apologia della
legge delle guarentigie. Si comprende che egli abbia altamente
difeso questa legge anche per ragioni familiari: uno degli artefici
di questa legge fu appunto il padre dell'attuale senatore. In
fondo, quanti di noi e di voi, o quanti degli italiani hanno riletto
in questi giorni i resoconti delle sedute che si tennero a Firenze
per discutere la leggi sulle guarentigie dal gennaio al marzo
1871? Pochi, pochissimi. E coloro che hanno avuto la pazienza
- per me è stato un dovere - di farlo, si saranno convinti
che la legge sulle guarentigie non merita né la polvere,
né gli altari. Una legge di compromesso e di transizione
che si votò dopo discussione lunga, spesso caotica e confusa,
durante la quale cozzarono gli opposti estremismi di coloro che
volevano espellere il Papa da Roma e di coloro che volevano dargli
almeno la città Leonina, più la ricorrente striscia
al mare. Ne venne una legge che non piaceva nemmeno a coloro che
l'avevano fabbricata, i quali furono i primi a decretarne il carattere
precario. Pur tuttavia era il meglio che si poteva fare in quelle
determinate circostanze; ma da ciò non si deve trarre la
conclusione che la legge delle guarentigie fu sempre rispettata,
né che la legge stessa determinò quello stato di
equilibrio, sul quale ritornerò fra poco. Non la legge
delle guarentigie in sé e per sé, ma piuttosto la
politica spesso accomodante delle due parti, fece sì che,
malgrado la legge, non si avessero delle crisi temibili e pericolose.
Ma il senatore Scialoja ha aggiunto che si sarebbe potuto fase
a meno di consacrare per diritto ciò che si aveva già
di fatto. Tutto - egli ha detto - aveva finito per adattarsi a
questa situazione, ed anche gli stranieri. È verissimo,
tutti, meno uno, il più interessato: il Papa. Ma anche
l'Italia non vi si era adattata, altrimenti non si comprenderebbero
gli innumeri tentativi fatti dai precedenti Governi per risolvere
nel diritto la situazione di fatto. Anche la frase del senatore
Scialoja, sul "non vastissimo territorio" non è
di mio completo gradimento. Non solo il territorio non è
vastissimo, ma non è nemmeno vasto. Non solo non è
vasto, ma non è nemmeno piccolo. È in realtà
minimo. Irrilevante. Padre Semeria a Trieste lo ha chiamato il
territorio "ti vedo e non ti vedo". Per farlo risultare
in una carta geografica ci vuole una "scala" eccezionale.
Ettari 44 di fronte alla Roma del 1929, anno VII, che conta un
milione di abitanti, di fronte all'Italia che, dal 1870 in poi,
ha ancora aumentato notevolmente il suo territorio metropolitano
e coloniale, ettari 44 sono veramente il "corpo ridotto al
minimo necessario per sostenere lo spirito". Sarebbe stato
veramente crudele, oserei dire assurdo, voler restringere ancora
questo territorio, a meno che non si pensasse di dover limitare
la sovranità al solo "studio" del Sommo Pontefice.
Ma ora debbo occuparmi del discorso del senatore Croce. Voglio
dir subito che io gli sono grato del suo voto contrario. Qui non
gioca la favola dell'uva acerba, perché non abbiamo bisogno
di quel voto. Tutte le volte che gli avversari vengono a me, la
cosa mi lascia molto dubitoso. Gli avversari devono o combatterci
o rassegnarsi. Intanto, che cosa ha detto il senatore Croce? Egli
ha detto: "Dichiaro anzitutto, perché non abbia luogo
equivoco, che nessuna ragionevole opposizione potrebbe sorgere
da parte nostra all'idea della conciliazione dello Stato italiano
con la Santa Sede. La dichiarazione è perfino superflua,
in quanto è troppo ovvia. La legge stessa delle guarentigie
avrebbe avuto il complemento della conciliazione se la Santa Sede
l'avesse accettata, o se, movendo da essa, avesse aperto trattative,
che non erano escluse e potevano essere coronate d'accordo. I
ripetuti tentativi, fatti nel corso di più decenni, dall'una
e dall'altra parte, comprovano la tendenza a metter fine ad un
dissidio che apportava danni o inconvenienti all'una e all'altra
parte, e non starò ora a cercare per minuto a quale delle
due li apportasse maggiori". Precisiamo dunque che c'era
un dissidio, che questo dissidio recava dei danni all'una ed all'altra
parte, che questo dissidio era componibile e che tentativi in
questo senso furono fatti. "La ragione - egli aggiunge -
che ci vieta di approvare questo disegno di legge, non è,
dunque, nell'idea della conciliazione, ma unicamente nel modo
in cui è stata attuata, nelle particolari convenzioni che
l'hanno accompagnata, e che formano parte del disegno di legge".
Dunque non è il fatto della conciliazione in sé,
è il modo che "ancor l'offende". Ma allora qual
è il suo "modo"? Perché non basta dire
"il vostro modo non mi piace". Perché l'Assemblea
potesse giudicare, bisognava che si trovasse davanti ad altro
"modo" con cui la questione doveva essere risolta. Ed
allora siccome il Protocollo Lateranense si compone di tre parti:
Trattato, Concordato e Convenzione finanziaria, bisogna scendere
al concreto. È il "modo" del Trattato che non
vi piace? Vi sembrano forse eccessivi quei 44 ettari, cioè
l'attuale Vaticano con qualche cosa in meno, passati in sovranità
al Sommo Pontefice, oppure vi sembra sterminato il numero di 400
sudditi volontari, non tutti italiani, che formeranno il popolo
della Città del Vaticano? Sono i 1500 milioni di lire carta
che feriscono la vostra sensibilità di cauti amministratori
delle vostre rendite, oppure è il Concordato, oppure tutte
le tre cose insieme? Non credo si tratti del Trattato, perché
il Trattato realizza, migliorandoli di gran lunga, quelli che
furono i progetti per i quali spasimarono uomini come il Cavour,
il Ricasoli ed il Lanza. Tutto ciò mi fa ricordare l'epoca
della guerra, quando c'erano due modi di fare la guerra: quello
dei generali e dei soldati che la facevano sul serio e quello
degli imboscati, i quali nelle sicure retrovie trovavano sempre
che con il loro modo avrebbero spostato gli eserciti e stravinto
le battaglie. Nessuna meraviglia, o signori, se accanto agli imboscati
della guerra esistono gli imboscati della storia, i quali, non
potendo per ragioni diverse e forse anche per la loro impotenza
creatrice, produrre l'evento, cioè fare la storia prima
di scriverla, si vendicano dopo, diminuendola spesso senza obiettività
e qualche volta senza pudore. Ma in realtà non si tratta
del Trattato e della Convenzione; si tratta del Concordato. Se
il senatore Croce si fosse degnato di gettare una sia pur vaga
e superficiale occhiata sul mio discorso del 13 maggio, avrebbe
visto fugati i fantasmi che sembra gli ossessionino lo spirito:
braccio secolare, roghi, manomorta e simili. Vi è una contraddizione
nel suo discorso che bisogna cogliere, ed è questa. Nella
prima parte si dice che la conciliazione era ovvia e che si doveva
fare, ma successivamente si dice: è con dolore che noi
constatiamo la rottura dell'equilibrio che si era stabilito. Ora
delle due l'una: o voi siete sinceri quando auspicate alla conciliazione,
e allora non dovete dolervi se un determinato equilibrio dovrà
essere per fatalità di cose rotto; o vi dolete della rottura,
e non siete sinceri quando invocate la conciliazione. Dai corni
piuttosto ferrei di questo dilemma non è facile uscire.
Ma poi a chi si dà ad intendere che si fosse realizzato
un equilibrio? Non siamo sul terreno della storia, siamo sul terreno
delle storielle! Un equilibrio dal 1870 al 1929? In questo modo
si fa un assegnamento piramidale sulla nostra ignoranza storica.
Ma noi sappiamo che cosa era questo equilibrio, quando non si
restituivano le visite al nostro Sovrano da parte dell'Imperatore
d'Austria, quando si ebbe una rottura tra la Santa Sede e la Francia
per via della visita di Loubet, e quando, per oltre 40 anni, i
cattolici furono assenti dal mondo politico italiano e venivano
chiamati "emigranti dell'interno". Se in un certo momento
essi vennero nella vita politica, non fu già per effetto
del liberalismo, ma per effetto del movimento socialista. Il quale,
avendo dal 1890 al 1904 e 1905 immesso nella vita della Nazione
enormi masse di contadini e di operai, aveva alterato la geografia
politica della Nazione. Il capolavoro del liberalismo dell'epoca
fu il famoso patto Gentiloni, un patto di compromessi, che oggi
si può dire di ipocrisia. Vi è un'altra affermazione
in questo discorso, grave, molto grave. Questi sacerdoti più
papisti del Papa, che si vanno a confessare al neo vescovo, vorrei
conoscerli, perché devono essere di una natura tutt'affatto
particolare. Ma io nego, per quel che mi riguarda, nella maniera
più risoluta, che Fascisti, degni di questo nome, siano
andati a comunicare le loro rivolte anticlericali al prof. Benedetto
Croce. Lo escludo nella maniera più assoluta, perché
la politica religiosa del Fascismo è stata fin dal principio
univoca e rettilinea; lo escludo perché al Gran Consiglio,
ove è possibile dire tutte le opinioni e manifestare un
pensiero anche discorde, con un triplice applauso fu approvata,
all'assoluta unanimità, la mia relazione sull'Accordo Lateranense.
E che cosa è questa fobia dei Concordati, di cui soffrivano
i giuristi napoletani della fine del 1700? Saranno stati luminari
di scienza, non lo escludo, ma sta di fatto che la Chiesa cattolica
apostolica romana ha mille anni di storia di Concordati, sta di
fatto che il primo Concordato, niente po' po' di meno, porta la
data del 5 luglio 1098 ed è un Concordato con cui Urbano
II dà diritto di legazia a Ruggero conte di Calabria e
Sicilia. Si va da quella data all'ultimo Concordato dell'anteguerra,
quello concluso con la Serbia. Passata la parentesi bellica, ecco
ancora una nuova teoria di Concordati con la Lettonia, con la
Lituania, con la Polonia, con la Baviera, oltre a un modus vivendi
con la Cecoslovacchia. Ve ne è uno in discussione con la
Prussia; non vi stupirete se domani qualche cosa di simile avverrà
con la Francia. La quale ruppe le relazioni diplomatiche con la
Santa Sede nel 1904, ma le ha ristabilite nel 1921 e nel 1929
fa uno strappo alla legislazione laica riconoscendo nove Congregazioni
missionarie. E da altra parte le grandi solennità che si
sono svolte in Francia per il centenario di Giovanna d'Arco, vi
dimostrano che l'atmosfera anche là è radicalmente
cambiata o sta radicalmente cambiando. Parigi e la Messa. Vi si
vorrebbe dare ad intendere che è per opportunismo che noi
ascoltiamo la Messa, la quale avrebbe per posta: Parigi; nel nostro
caso Roma. È una posta solerne tuttavia! Ma niente opportunismo,
perché noi non abbiamo aspettato il Patto del Laterano
per fare la nostra politica religiosa. Essa risale al 1922; anzi
al 1921! Vedi il mio discorso del giugno alla Camera dei deputati.
E fu conseguente e rettilinea, pur non cedendo mai, tutte le volte
che era in giuoco la dignità, il prestigio e l'autonomia
morale dello Stato. Ricordo anche a voi che le trattative subirono
una interruzione per la nota questione degli esploratori cattolici.
Il senatore Crispolti ha concluso il suo discorso con un interrogativo:
Durerà la pace? La pace durerà. Perché prima
di tutto questa pace non è un dono che abbiamo trovato
per strada, e per caso. È, il risultato di tre anni di
lunghe, difficili e delicate trattative. Ogni articolo, ogni parola,
si può dire ogni virgola, è stato oggetto di discussioni
leali, tranquille ma esaurienti. Ogni articolo rappresenta il
necessario punto d'incontro tra le esigenze dello Stato e le esigenze
della Chiesa. Non è dunque una costruzione miracolistica,
sbocciata improvvisamente; è una cosa lungamente, sapientemente
elaborata. Questo è uno degli attributi che ne garantiscono
la durata. Durerà, anche perché questa pace ha toccato
profondamente il cuore del popolo, perché noi non ci faremo
prendere al laccio né dai massoni né dai clericali,
che sono interdipendenti gli uni dagli altri. E d'altra parte,
di questi Protocolli lateranensi ve ne è uno che non può
essere oggetto di discussione; ed è il Trattato. Gli eventuali
dissidi avranno un altro terreno; quello del Concordato. Ebbene,
c'è dunque da dipingere l'orizzonte in nero se domani,
per avventura, in occasione della nomina di un vescovo, ci sarà
un punto di vista diverso tra noi e la Santa Sede? Ma questa è
la vita, signori! Avremo noi la viltà del padule, cioè
la viltà dell'uomo che vuole star fermo, immobile, pur
di non affrontare i necessari rischi che sono legati al fatto
di vivere ? Tanto vale rinunziare alla vita! Questa è la
nostra concezione della vita, sia che si riferisca agli individui,
come ai popoli e alle istituzioni nelle quali questi popoli trovano
la loro organizzazione giuridica e politica. Voi non vi spaventate,
né mi spavento io, dicendo che degli attriti vi saranno,
malgrado la separazione nettissima fra ciò che si deve
dare a Cesare e ciò che si deve dare a Dio, ma quando soccorrono
la buona fede e il senso d'italianità, questi dissidi saranno
superati, perché la Santa Sede sa d'altra parte che il
Regime Fascista è un regime leale, schietto, preciso, che
dà la mano aperta, ma che non dà il braccio a nessuno
e nessuno può pretenderlo, perché nessuno lo avrebbe.
Di fronte alla Città del Vaticano è oggi il Regime
Fascista, creatore di nuove forze economiche, politiche, morali,
che fanno di Roma uno dei centri più attivi della civiltà
contemporanea! Di fronte alla Santità dei Papi, sta la
Maestà dei Re d'Italia, discendenti di una dinastia millenaria!
Non vorrei, onorevoli senatori, che delle discussioni troppo minute
- la eterna ricerca delle farfalle sotto gli archi di Tito - obnubilassero
la grandiosità dell'evento. Pensate che dai tempi di Augusto,
Roma fu solo dal 1870 di nuovo Capitale d'Italia, e pensate che
dal 1870 in poi su questa nostra grande Roma c'era una riserva,
un'ipoteca. E colui che la metteva non era un Duca o un Principe
qualunque, di quelli che abbiamo spodestato quando l'Italia era
in pillole: era il Capo Supremo della Cattolicità; e coloro
che erano rappresentati presso di lui contavano su questa riserva.
E la riserva era posta non sopra un territorio lontano, periferico
o trascurabile, ma su Roma. C'erano delle potenze, lo si può
dire apertamente, che si compiacevano che nel fianco dell'Italia
fosse ancora confitta una spina... Non per niente sino al 1874
un bastimento francese stazionò nel porto di Civitavecchia!
Ora abbiamo tolto questa spina; le riserve sono cessate; Roma
appartiene di diritto e di fatto al Re d'Italia e alla Nazione
italiana. Questa, o Signori, è la grandiosità dell'evento,
e nessuna polemica, nessun giuoco dialettico, e meno ancora nessuna
stolta calunnia, può diminuirla dinanzi al popolo italiano
e dinanzi alla storia. Onorevoli senatori, io sono sicuro che
voi, che siete, come sempre, pensosi dei supremi interessi della
Nazione, non negherete in maggioranza il vostro suffragio favorevole
all'attuale disegno di legge.
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