Discorso
ai fascisti napoletani pronunciato il 25 ottobre 1931
Camicie Nere, popolo napoletano! Ecco che ancora una volta il
destino benevolo mi offre la ventura di sentir battere all'unisono
col mio il tuo vecchio, grande e generoso cuore, o popolo napoletano.
La prima volta, or son nove anni, quando convocai a Napoli la
generazione di Vittorio Veneto, in questa stessa piazza, posi
un dilemma supremo che metteva in gioco non la vita di un uomo,
evento trascurabile, ma le sorti di un movimento e l'avvenire
di un popolo. Dissi allora: "O cederanno il potere o lo prenderemo".
Dopo quattro giorni, la promessa fu rigorosamente mantenuta. Tornai
due anni dopo, quando un pugno di mistificatori, di mistificati,
di delusi e di illusi pretendeva con fiumi di parole inutili,
di fermare il passo alla Rivoluzione vittoriosa. Venni qui per
constatare la realtà dei problemi che più vi assillavano.
Il 2 gennaio 1925, vigilia di quel 3 gennaio che rimane una delle
date fondamentali della Rivoluzione fascista, l'organo che io
avevo creato per far riguadagnare in pochi anni il tempo perduto
in mezzo secolo, entrava in funzione. Nella mia rapida, ma tuttavia
molto attenta ispezione di questi giorni ho constatato che i miei
ordini sono stati eseguiti. Napoli è ora degna più
che mai di ricevere l'Ospite augusto che da Torino, baluardo d'Italia
durante il Risorgimento viene tra voi il 4 novembre, giorno memorabile
che fà balzare il cuore, nei nostri petti, di orgoglio
e di commozione; voi lo accoglierete col vostro più impetuoso
entusiasmo e gli ripeterete il vostro giuramento di devozione
indefettibile alla Monarchia e alla Dinastia di Casa Savoia. Io
ero sicuro che tornando qui per la terza volta avrei trovato la
stessa passione e lo stesso fervore. Il Fascismo sta diventando
qui un vero e proprio costume di vita e si disposa al vostro non
mai smentito patriottismo. Dovrò dunque ricordare agli
italiani più o meno immemori, che nel lontano luglio 1820,
nella vostra terra e fra la vostra gente, si ebbero i primi aneliti
per l'unità e la indipendenza della Patria? E non trovate
voi qualche cosa di arcano nel fatto che fosse un napoletano quel
conduttore di eserciti che ci condusse alla vittoria, sigillando,
dopo un secolo, il ciclo che avevano iniziato gli ardimentosi
di Nola? Durante questi nove anni molto abbiamo operato e la mole
della nostra opera è così schiacciante che ammutolisce
quelli che si abbandonano ancora alle vociferazioni sordide, inutili
e vili. Ma molto di più avremmo fatto se alla fine del
1929, quando la nostra nave era già in vista del porto,
non si fosse scatenata la bufera mondiale, che ci ha costretti
a rallentare il ritmo della nostra fatica. Quali sono le direttive,
in fatto di politica mondiale, della Rivoluzione fascista, sulla
soglia dell'anno X? Sono precise ed immutabili Non sono pochi
oggi nel mondo coloro che affrontano i problemi della ricostruzione
europea dal nostro punto di vista. Sono passati nove anni da quando
l'Italia fascista, a Londra, pose il problema delle riparazioni
e dei debiti, nei termini che oggi sono così ordine del
giorno. Mia noi ci domandiamo: Dovranno veramente passare sessanta
lunghissimi anni prima che si ponga la parola fine alla tragica
contabilità del dare e dell'avere spuntata sul sangue di
dieci milioni di giovani che non vedranno più il sole?
E si può dire che esista una uguaglianza giuridica tra
le nazioni, quando da una parte stanno gli armatissimi fino ai
denti e dall'altra vi sono Stati condannati ad essere inermi?
E come si può parlare di ricostruzione europea, se non
verranno modificate alcune clausole di alcuni trattati di pace,
che hanno spinto interi popoli sull'orlo del baratro materiale
e della disperazione morale? E quanto tempo dovrà ancora
passare per convincersi che nell'apparato economico del mondo
contemporaneo c'è qualche cosa che si è incagliato
e forse spezzato? Queste sono direttive precise, con le quali
si serve la vera pace, la quale non può essere dissociata
dalla giustizia, altrimenti è un protocollo dettato dalla
vendetta, dal rancore, o dalla paura! Nella politica interna la
parola d'ordine è questa: Andare decisamente verso il popolo,
realizzare concretamente la nostra civiltà economica, che
è lontana dalle aberrazioni monopolistiche del bolscevismo,
ma anche dalle insufficienze stradocumentate della economia liberale.
Non abbiamo nulla da temere; le plutocrazie degli altri paesi
hanno troppi disastri in casa loro per occuparsi delle nostre
questioni e dell'ulteriore sviluppo che vogliamo dare alla nostra
Rivoluzione. Se ci fossero dei diaframmi che volessero interrompere
questa comunione diretta del Regime col popolo, diaframmi di interessi,
di gruppi e di singoli, noi, nel supremo interesse della Nazione,
li spezzeremmo. La crisi mondiale che non è più
soltanto economica, ma è ormai, soprattutto, spirituale
e morale, non ci deve fermare in uno stato di abulia o di inerzia:
tanto maggiori sono gli ostacoli e tanto precisa e diritta deve
essere la nostra volontà di superarli. Napoli è
profondamente trasformata: ne fanno testimonianza gli italiani
e gli stranieri. Ma non basta: Napoli deve vivere; e, sin da questo
momento, deve segnare le sue direttive per l'azione del domani.
Sono cinque: prima di tutto l'agricoltura, che deve trovare sbocchi
per i prodotti delle vostre terre ubertose; poi l'industria, per
la quale devono esserci i lavori che le leggi hanno stabilito;
la navigazione, che nel vostro porto, completato e ammodernato,
deve fare rifiorire i vostri traffici; l'artigianato, che documenterà
al mondo la maestria e la genialità dei vostri artigiani;
finalmente il turismo, poiché voi potete offrire al mondo
panorami incantevoli e città dissepolte, che non hanno
uguali sulla faccia della terra. Se le vostre classi dirigenti
marceranno decisamente su queste direttive, Napoli avrà
il suo benessere e sarà anche aumentata l'efficienza generale
della Nazione. Camicie nere, quando nel 1935 saranno compiuti
molti altri lavori; e l'Ospedale e il Sanatorio e la Stazione
marittima e il monumentale palazzo delle poste, ed altri quartieri
della vostra città saranno risanati; il 24 maggio del 1935,
quando non solo voi, ma tutti i combattenti e tutti gli italiani,
assolveranno, inaugurando il monumento ad Armando Diaz, il debito
di riconoscenza verso l'artefice della Vittoria; voi mi riudirete
da questo balcone e troverete che non sarà cambiato nulla
in me: né lo spirito, né la voce, né la volontà,
e che tutte le mie promesse, ancora una volta, saranno state fedelmente
mantenute. Popolo napoletano, Camicie nere di Napoli e della Campania,
a chi i più alti doveri nell'Italia fascista?
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