Discorso
alle camicie nere milanesi pronunciato a Milano il 28 ottobre
1923.
Gloriose ed invitte, invincibili camicie nere! Il mio plauso anzitutto
ai vostri capi ed a voi che avete sfilato magnificamente in una
disciplina perfetta; mi pareva di vedere non delle centurie, ma
la nazione intera che marciava con il vostro ritmo gagliardo.
Dopo qualche anno, ecco che il destino mi concede di parlare ancora
una volta in questa piazza, sacra ormai nella storia del fascismo
italiano. Qui, infatti, nei tempi oscuri, nei tempi bastardi,
nei tempi che non tornano più, ci siamo riuniti in poche
centinaia di audaci e di fedeli che avevano il coraggio di sfidare
la bestia, che era allora trionfante. Eravamo piccoli manipoli,
siamo oggi delle legioni; eravamo allora pochissimi, oggi siamo
una moltitudine sterminata. Ad un anno di distanza da quella Rivoluzione
che deve costituire l'orgoglio indefettibile di tutta la vostra
vita, io rievoco dinanzi a voi, con sicura coscienza, con animo
tranquillo, il cammino percorso. E non parlo soltanto a voi, parlo
a tutte le Camicie Nere, a tutto il popolo italiano. E dichiaro
che il Governo fascista si è tenuto fedele alla sua promessa,
e dichiaro che la Rivoluzione fascista non ha mancato alla sua
meta. Noi avevamo detto, in tutte le manifestazioni che precedettero
la Marcia fatale, che la Monarchia è il simbolo sacro,
glorioso, tradizionale, millenario della Patria; noi abbiamo fortificato
la Monarchia, l'abbiamo resa ancora più augusta. Il nostro
lealismo è perfetto e devono ormai riconoscerlo anche gli
ipercritici, che amano arrampicarsi sugli specchi, dove si riflette
troppo spesso l'immagine della loro pervicace malafede e della
loro cronica stupidità. Avevamo detto che non avremmo toccato
un altro dei pilastri della Società Nazionale: la Chiesa.
Ebbene, la religione, che è patrimonio sacro dei popoli,
da noi non è stata toccata né diminuita. Ne abbiamo
anzi aumentato il prestigio. Avevamo assicurato il maggior rispetto
e la devozione più profonda per l'Esercito: ebbene, oggi
l'Esercito di Vittorio Veneto occupa un posto d'onore nello spirito
di tutti gli Italiani devoti alla patria. Se oggi gli ufficiali
possono portare sul petto i segni della gloria da loro conquistata
in guerra, se possono circolare a fronte alta, se i mutilati non
sono più costretti a piangere sui loro moncherini, lo si
deve in gran parte alle migliaia di morti dell'esercito delle
Camicie Nere, sacrificati in tempi difficili e quando la viltà
sembrava divenuta un'insegna. Oggi la Nazione può contare
pienamente sull'Esercito e questo lo si sa all'interno e lo si
sa benissimo anche oltre i confini. Né abbiamo toccato
l'altro pilastro, che chiamerò quello della istituzione
rappresentativa. Non abbiamo né invaso, né chiuso
il Parlamento, malgrado la nausea invincibile che ci ha provocato
in questi ultimi tempi. Non abbiamo fatto nessuna legge eccezionale,
o malinconici zelatori di una libertà che è stata
anche troppo rispettata, e non abbiamo creato tribunali straordinari,
che forse avrebbero potuto distribuire su certe schiene le razioni
di piombo necessarie! Ci sarebbe quasi da inquietarsi quando gli
uomini che si vantano di una tradizione liberale vanno gemendo
sulla mancanza di libertà, quando nessuno attenta alla
vera libertà del Popolo italiano. Ma, dico, o signori,
e dico a voi, Camicie Nere, se per la libertà s'intende
di sospendere ogni giorno il ritmo tranquillo, ordinato del lavoro
della Nazione, se per la libertà s'intende il diritto di
sputare sui simboli della Religione, della Patria e dello Stato,
ebbene, io - grida con grande forza, .scandendo le parole, il
Presidente - io, capo del Governo e Duce del Fascismo, dichiaro
che questa libertà non ci sarà mai! Non solo, ma
dichiaro che i nostri avversari, di tutti i colori, non devono
contare più oltre sulla nostra longanimità. Abbiamo
dato un anno di prova perché si ravvedano, perché
si rendano conto di questa nostra forza invincibile, perché
si rendano conto che quello che è stato è stato,
che non si torna più indietro, che siamo disposti a impegnare
le più dure battaglie pur di difendere la nostra rivoluzione.
Ebbene, o camicie nere, non notate una profonda trasformazione
nel clima di questa nostra adorata patria? (Grida elevatissime:
"Sì!"). Nell'anno che ha preceduto la nostra
marcia si sono perduti sette milioni di giornate di lavoro, uno
sciupìo enorme di ricchezza nazionale; da sette milioni
abbiamo ridotto queste giornate a duecentomila appena. Tutto quello
che rappresenta il ritmo della vita civile si svolge ordinatamente.
Nel settembre di quest'anno l'Italia ha vissuto, dal punto di
vista politico, l'esperienza più interessante e più
importante che essa abbia mai vissuto dal '60 in poi. Per la prima
volta nella vita politica italiana, l'Italia ha compiuto un gesto
di assoluta autonomia, ha avuto il coraggio di negare la competenza
dell'areopago ginevrino, che è una specie di premio di
assicurazione delle nazioni arrivate contro le nazioni proletarie.
Ebbene, in quei giorni, che sono stati assai più gravi
di quello che non sia apparso al nostro pubblico, in quei giorni,
che hanno avuto bagliori di tragedia, tutto il popolo italiano
ha dato uno spettacolo magnifico di disciplina. Se io avessi detto
al popolo italiano di marciare, non vi è dubbio che questo
meraviglioso, ardente popolo italiano avrebbe marciato. D'altra
parte vi prego di riflettere che la rivoluzione venne fatta coi
bastoni, voi che, cosa avete ora nei vostri pugni? (I fascisti
gridano: "fucili", "moschetti" e mostrano,
levandole in alto, le armi). Se coi bastoni è stato possibile
fare la rivoluzione, grazie al vostro eroismo e grazie anche all'incommensurabile
viltà di coloro che avevamo di fronte, ora la rivoluzione
si difende e si consolida con le armi, coi vostri fucili. E sopra
la camicia nera avete indossato oggi il grigio verde; non siete
più soltanto l'aristocrazia di un partito, siete qualche
cosa di più, siete l'espressione e l'anima della nazione
italiana. Voglio fare un dialogo con voi e sono sicuro che le
vostre risposte saranno intonate e formidabili. Le mie domande
e le vostre risposte non sono ascoltate soltanto da voi ma da
tutti gli italiani e da tutto il popolo, poiché oggi, a
distanza di secoli, ancora una volta è l'Italia che dà
una direzione al cammino della civiltà del mondo. Camicie
nere, io vi domando: se i sacrifici domani saranno più
gravi dei sacrifici di ieri, li sosterrete voi? (Urla immense
dei fascisti: "Sì!"). Se domani io vi chiedessi
quello che si potrebbe chiamare la prova sublime della disciplina,
mi dareste questa prova? ("Sì!", ripetono ad
alta voce i militi, con entusiasmo). Se domani dessi il segnale
dell'allarme, l'allarme delle grandi giornate, di quelle che decidono
del destino dei popoli; rispondereste voi? (Nuova esplosione entusiastica
di: "Sì! Lo giuriamo!"). Se domani io vi dicessi
che bisogna riprendere e continuare la marcia e spingerla a fondo
verso altre direzioni, marcereste voi? ("Sì! Sì!".
Ed il coro fascista si eleva al più alto diapason). Avete
voi l'animo pronto per tutte le prove che la disciplina esige,
anche per quelle umili, ignorate, quotidiane? (La Milizia grida
gran voce: "Si!"). Voi certamente siete ormai fusi in
uno spirito solo, in un cuore solo, in una coscienza sola. Voi
rappresentate veramente il prodigio di questa vecchia e meravigliosa
razza italica, che conosce le ore tristi ma non conobbe mai le
tenebre dell'oscurità. Se qualche volta appare oscurata,
ad un tratto ricompare in luce maggiore. Certo vi è qualche
cosa di misterioso in questo rifiorire della nostra passione romana,
certo vi è qualche cosa di religioso in questo esercito
di volontari che non chiede nulla ed è pronto a tutto.
Ora io vi dico che non sono altra cosa all'infuori di un umile
servitore della Nazione. Se qualche volta io sono duro, se qualche
volta io sono inflessibile, se qualche volta ho l'aria di comprimere
e di voler qualche cosa di più dello stretto necessario,
gli è perché le mie spalle portano un peso durissimo,
portano un peso formidabile, che spesso mi dà dei momenti
di angoscia profonda. È il destino di tutta la Nazione.
Voi avete l'obbligo di aiutarmi, avete l'obbligo di non appesantire
il mio fardello, ma di alleggerirlo. O fascisti degni di questo
glorioso nome, degni di questo movimento fatale, serbate intatta
negli animi la piccola fiaccola della purissima fede! E quanto
a voi, avversari di tutti i colori, rimettete le speranze e finitela
col vostro giuoco che non ha nemmeno il pregio della novità
e che è stato smentito solennemente in cinque anni di storia.
Quando siamo nati, i grandi magnati della politica italiana ed
i grandi pastori delle masse operaie avevano l'aria di considerarci
come quantità trascurabile. Poi hanno detto - filosofi
mancati che non riescono mai ad interpretare esattamente la storia
- hanno detto che questo era un movimento effimero; hanno detto
che noi non avevamo una dottrina - come se essi avessero delle
dottrine e non invece dei frammenti dove c'è tutto un miscuglio
impossibile delle cose più disparate; hanno detto - uno
di essi era un filosofo della storia, un malinconico masturbatore
della storia - hanno detto che il Governo fascista avrebbe durato
sei settimane appena. Sono appena dodici mesi. Pensate voi che
durerà dodici anni moltiplicato per cinque ? (Sì,
sì! - scattano ad una sola voce i militi e la folla). Durerà,
Camicie Nere, durerà perché noi, negatori della
dottrina del materialismo, non abbiamo espulsa la volontà
dalla storia umana; durerà perché vogliamo che duri,
durerà perché faremo tutto il possibile perché
duri, durerà perché sistematicamente disperderemo
i nostri nemici, durerà perché non è soltanto
il trionfo di un partito e di una crisi ministeriale: è
qualche cosa di più, molto di più, infinitamente
di più. È la primavera, è la resurrezione
della razza, è il Popolo che diventa nazione, la Nazione
che diventa Stato, è lo Stato che cerca nel mondo le linee
della sua espansione. Camicie Nere! Noi ci conosciamo; fra me
e voi non si perderà mai il contatto. Vi devono far ridere
ed anche suscitare qualche moto di disgusto coloro che vorrebbero
che io avessi già l'arteriosclerosi o la paralisi della
vecchiezza. Ben lungi da ciò, lo stare dieci o dodici ore
ad un tavolo, non mi ha impedito, il 24 maggio, di fare un volo
di guerra; lavorare indefessamente dal mattino alla sera, dalla
sera al mattino, non mi impedisce e non m'impedirà mai
di osare tutti gli ardimenti, e nemmeno io desidero che le Camicie
Nere invecchino anzi tempo; non voglio che diventino una specie
di società di mutuo soccorso; voi dovete mantenere bene
accesa nel vostro animo la fiamma del Fascismo, e chi dice Fascismo
dice prima di tutto bellezza, dice coraggio, dice responsabilità,
dice gente che è pronta a tutto dare ed a nulla chiedere
quando sono in gioco gli interessi della Patria. Con questi intendimenti,
o Camicie Nere di Lombardia, meravigliose Camicie Nere, io vi
saluto; voi potete contare su me; ed io posso contare su voi?
("Sì! Sì!", rispondono una volta ancora
tutte le migliaia di voci). A chi Roma? (E un urlo risponde; "A
noi!"). A chi l'Italia? ("A noi!"). A chi la vittoria?
("A noi!")
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