DISCORSO DEL
28 dicembre 1914

Discorso pronunciato a Genova nel salone dell'Università Popolare il 28 dicembre 1914

Dichiaro fin dal principio che accetto il contradittorio con chiunque, quindi è nell'interesse di tutti di ascoltarmi. Io comprendo perfettamente l'agitazione di questa assemblea; d'altra parte vi dichiaro che sono abituato alle assemblee tempestose per cui io ammetto la fischiata, ammetto l'"abbasso", ma dopo, se non si vuol diventare degli inquisitori rossi, dopo avete il dovere di lasciarmi parlare. E dopo, se oltre al fischio, ci sono degli argomenti e delle idee, qui è la libera tribuna affidata al libero cittadino; qui, dall'urto delle idee liberamente espresse, può vedersi quale sia la verità. Non è col fischio che si combattono le idee, com'era stolto per gli inquisitori del medioevo pretendere di combattere le idee con la ruota, con le carrucole e con le torture della inquisizione. Io faccio appello non per me, che io resterò qui fino a domani mattina, fino a quando non avrò detto tutto il mio pensiero; ma faccio appello al vostro spirito di tolleranza, o avversari, perché voi dovete dopo venire a contradirmi ed a dimostrarmi che le idee che io sostengo sono errate. D'altra parte vi dico che l'odio avversario non riuscirà mai ad impedirmi la libera manifestazione del mio pensiero. Voi potete esserne sicuri. Poiché se ad un dato momento della mia vita ho fatto liberamente e deliberatamente gettito di molte cose che possono lusingare l'amor proprio e le legittime ambizioni degli uomini più o meno politicanti, se io ad un certo momento della mia vita ho voluto sfidare l'impopolarità delle masse per annunciare loro quella che io ritenevo la verità nuova, la verità santa, questo è titolo sufficiente per garantirmi la tolleranza di tutti i cittadini che non vogliono rubare il mestiere ai settari ed agli intolleranti di tutte le epoche. D'altronde, sarò preciso e violento. Non risparmierò nessuno. È finito il periodo dei mezzi termini, delle restrizioni mentali, di tutto ciò che è servilità, di tutto ciò che è equivoco. Mi sento un po' imbarazzato a svolgere il tema che mi si è assegnato Il dovere dell'Italia. Il dovere dell'Italia? Ma, prima di tutto, di quale Italia? Di questa ancora triplicista, che ha nel Senato e nelle Università gli ultimi ruderi del triplicismo? A questa Italia io non so quale dovere è da assegnarsi. Parlo da socialista a socialisti: da socialista, perché nessuno in questo dinamico e movimentato periodo storico può asseverare di possedere la verità assoluta, può dichiarare di essere l'assertore del vero unico. Noi tutti siamo incerti, andiamo a tastoni: appunto perché tutto ciò che era il solido, il fisso, quello che noi credevamo il dogma, è andato in frantumi. In un certo senso si può dire che non vi sono partiti. Non più, in quanto che, lo dicevo polemizzando otto o nove mesi fa mi pare coll'on. Graziadei, ogni partito ha il suo programma, la sua bandiera, la sua inquisizione, la quale inquisizione necessariamente fa funzionare i roghi. Non si canta più oggi il Kyrie elèison, ma il rogo morale c'è ancora e manca solo il rogo materiale perché viviamo nel secolo XX e sono passati quattro secoli dal martirio di Giordano Bruno. Ci sono delle mentalità diverse, e difatti ci sono riformisti per la guerra e riformisti contro la guerra, ci sono rivoluzionari per la guerra e rivoluzionari contro la guerra, sindacalisti pro e sindacalisti contro la guerra. Nessun partito ha potuto sottrarsi a questa divisione che ripete le sue origini dalla diversa mentalità con cui gli uomini affrontano i problemi di una determinata epoca storica. E le mentalità sono queste, sono due: la mentalità dogmatica, fissa, eterna, immobile. Si è detta nel 1848 una verità e quella deve rimanere la verità per tutti i secoli. Questi uomini i quali si aggrappano a questo scoglio della verità e vi rimangono attaccati fino al giorno del naufragio, sanno qualche volta salvarsi per le vie equivoche della ritirata; e sarebbero certamente uomini ammirabili se sentissero questa verità, se non preparassero già fin d'adesso l'alibi prudente ed i tradimenti fin troppo astuti. E ci sono invece gli altri uomini i quali non possono nascondersi la realtà perché la realtà esiste. Si può fingere di ignorarla, si può imitare lo struzzo che nasconde il capo sotto la sabbia per evitare il pericolo; questo pacifico abitatore del deserto non vede più il pericolo, ma il pericolo incalza. Ora noi, dopo aver superata la crisi che proveniva dal fatto che volevamo rimanere fedeli a quelle che ci sembravano le verità assolute, ad un dato momento abbiamo visto che la realtà travolgeva queste verità. Allora abbiamo volute vedere, confrontale, sceverare, distinguere, vedere cioè se il vangelo era buono per tutte le età, per tutti i secoli, per tutti gli uomini, o se invece non sia più profondamente vero e umano che ogni generazione deve creare dal suo seno le verità, quando queste verità sono invocate per le generazioni che vogliono venire avanti. E allora ci siamo trovati, in un momento in cui nessuno ci pensava, alla guerra europea. Giovanni Jaurès il 30 luglio tornando da Bruxelles ottimista, pensava che la guerra non ci sarebbe stata. Si erano scritti dei volumi per dimostrare l'impossibilità della guerra europea; si era detto che gli uomini erano diventati buoni, e si trascurava il fattore psicologico. Ieri stesso Achille Loria, un uomo dinanzi al quale mi inchino, ha voluto dare spiegazioni puramente economiche di questo fenomeno. Non basta: c'è l'insopprimibile dissidio delle stirpi, ma anche qualche cosa di più che non possiamo nascondere a noi stessi; ed è che l'uomo è un animale bellicoso, forse l'animale più bellicoso di tutta la zoologia. Bisogna dunque tener conto di tutti questi diversi fattori ed elementi per spiegarci il fenomeno complesso della guerra, alla quale noi opponevamo la "Internazionale". Non ho mai avuto fiducia nel partito socialista tedesco. Quattro mesi prima della conflagrazione europea, in una polemica svoltasi sul Giornale d' Italia, all'avversario che mi magnificava la poderosa Sozialdemocratie tedesca, io ricordavo una sentenza di Roberto Michels che diceva: "Il partito socialista tedesco è simile al gigante capace di portare un quintale, e impotente a fecondare una vergine". La sua forza dunque era fisica sopratutto, ma non era energia fisiologica; per cui questo partito che aveva 92 quotidiani, 111 deputati, 5 milioni di elettori, 3 milioni di organizzati, ad un dato momento è scomparso dalla scena politica dell'impero come può crollare uno scenario invecchiato e Guglielmo II, dall'alto del suo balcone di Potsdam, ha potuto dire: "Cittadini (o meglio sudditi), non ci sono più partiti; ci sono semplicemente dei tedeschi!". Cosa faceva la Sozialdemocratie? Cresceva, ed io vedevo già in questa sua crescenza la ragione della sua immobilità. Questo partito cresceva. Ebbene, io dicevo, verrà il giorno in cui questo partito troverà nella sua stessa mole pachidermica la ragione della sua immobilità. Ed è quello che è avvenuto. I socialisti tedeschi che dovevano tener alta la bandiera della "Internazionale socialista" sono stati i primi a buttarla nel fango. E quando a Bruxelles, Jouhaux, il segretario della Confederazione Generale di Francia, chiese a Legien, deputato socialista al Reichstag, che cosa avrebbero fatto i socialisti tedeschi nel caso di uno sciopero generale francese, il Legien rispose, o meglio non rispose; fece capire che i tedeschi non potevano prendere impegni di questo genere. Ed il contegno dei socialisti tedeschi ha determinato automaticamente il contegno dei socialisti degli altri paesi. Hervé era quasi un profeta quando in uno dei tanti congressi internazionali in cui veniva alla superficie l'eterno dissidio fra latini e tedeschi, che fu causa della prima rovina della Internazionale, chiedeva a Bebel: "Cosa farete voi se noi risponderemo alla mobilitazione con l'insurrezione?". E Bebel rispondeva: "Prima di essere socialista, sono un tedesco". E Hervé replicava: "Ebbene, quel giorno in cui passerete il Reno, sappiate che troverete i fucili dei liberi cittadini francesi pronti a respingervi". Per cui è inutile voler ossigenare un cadavere. Certi neutralisti muovono questa obbiezione: "Ah! voi rimproverate ai socialisti tedeschi il loro tradimento della Internazionale? E voi, socialisti italiani, vi preparate a fare qualche cosa che rassomiglia molto all'atto dei socialisti tedeschi". Ma c'è una ragione assoluta che smantella questa obbiezione. Amici, l'amore si fa in due; la Internazionale si fa in molti. Quando uno per il primo, abbia ragione o torto, straccia il contratto, l'altro contraente non ha più il dovere di tener fede a questo patto, anzi non può più tenerla. Un'Internazionale unilaterale è un assurdo in termini. Se i socialisti tedeschi avessero tenuto fede al loro patto, potevano pretendere qualche cosa di più da noi. Sorgerà una nuova Internazionale; ma quella che aveva un ufficio a Bruxelles, il quale ufficio pubblicava un soporifero bollettino due o tre volte all'anno in tre lingue, esclusa l'italiana, quella Internazionale è finita. Starei per dire che il suo segretario Camillo Huysmann, quando mi ha mandato l'adesione di simpatia e di solidarietà, mi mandava con quel voto l'atto di decesso di quella Internazionale di cui egli era segretario. E allora noi socialisti italiani ci troviamo proiettati nell'ambito dei problemi nazionali. Ieri il Vorwaerts!, pubblicando un articolo sul Natale, prospettava, sia pure vagamente, la possibilità della creazione di un socialismo nazionale, o quasi. Non dovete dimenticare che nel partito socialista tedesco gli imperialisti ed i pangermanisti sono numerosissimi; non dovete dimenticare che infinito è il numero degli espansionisti che dicono "più terra", ed anche gli operai non sono estranei all'influsso di questa dottrina. E, del resto, la nazione non è scomparsa. Noi credevamo che fosse annientata; invece la vediamo sorgere vivente, palpitante dinanzi a noi! E si capisce: La realtà nuova non sopprime la verità; la classe non può uccidere la nazione. La classe è una collettività di interessi, ma la nazione è una storia di sentimenti, di tradizioni, di lingua, di cultura, di stirpi. Voi potete innestare la classe sulla nazione, ma l'una non elide l'altra. Ed allora, se questo è vero, molte altre verità saranno prospettate poi, quando questi avvenimenti avranno fatto il loro corso. Noi dobbiamo esaminare la questione da un punto di vista socialistico e nazionale. Già l'onorevole Claudio Treves, nella Critica Sociale di agosto, diceva che poiché il patto internazionale non esiste più, ognuno deve pensare ai propri casi, ognuno deve vedere che valore, che senso, che portata può dare alla neutralità. Ebbene noi ci troviamo al bivio. Questa neutralità deve durare sempre o deve finire? E se deve finire lo deve perché noi saremo forzati da motivi estranei a volerlo?
Socialismo e guerra. Si dice: "Ma la rottura della neutralità ci mette allo sbaraglio delle guerre!". La guerra è certamente un fenomeno orribile. Si pensa con un vivo strazio dell'animo a questi milioni di uomini che stanno nelle trincee, nel freddo, nel gelo, nella neve, mentre noi proletari italiani chiacchieriamo. C'è forse un'antitesi fra socialismo e guerra? Certamente se il socialismo vuole la fratellanza dei popoli, non può voler la guerra che di quella fratellanza è la violazione brutale, aperta, decisiva, assoluta. Ma ci sono guerre e guerre. Giorgio Sorel diceva che il socialismo è una cosa terribile, grave, sublime e non un esercizio di politicanti che fanno lo sconcio comodo dei loro mercati quotidiani. Se il socialismo è forza, è sacrificio, è tragedia, noi non possiamo seguire coloro che credono di spaventarci innanzi alla guerra coll'idea delle stragi, del sangue, del sacrificio. Mi inchino al dolore delle madri, mi inchino a chi soffre; ma ci sono dei doveri supremi e quando uno è un socialista rivoluzionario, sa che anche la rivoluzione sociale sarà sacrificio, sangue, pianto di madri. Anche Mazzini, quando sospingeva le generazioni italiane alla guerra, ben sapeva che essa era sacrificio, sangue, rovina, distruzione. Ma sapeva pure che ogni generazione ha i suoi ineluttabili doveri da compiere. Ora le generazioni che ci hanno preceduto hanno fatto il loro dovere; un altro però ne hanno legato a noi e noi dobbiamo compierlo perché le generazioni che verranno, i figli, i nipoti, ci chiederanno: "E voi? Nel 1914-15 quando l'Europa, anzi quando il mondo era in fiamme, che cosa avete fatto?". È comodo chiudersi nell'egoismo neutrale, nel sacro egoismo di Salandra, che è l'egoismo delle classi abbienti, del Senato triplicista, del papato temporalista, della borghesia contrabbandiera. No, non può essere questo il nostro egoismo. Non abbiamo egoismo nazionale noi; ma dei doveri imprescrittibili da compiere. Dite un po', o amici: è un quesito che vi pongo. Nel 1791 quando gli operai parigini al rullo dei tamburi, al suono della Marsigliese, si recavano nei quadrivi delle strade, scalzi, laceri, sol di rabbia armati, e dicevano "noi vogliamo combattere" e piantavano le bandiere della rivoluzione sui colli di Walmy, e Goethe diceva: "Oggi da questo luogo comincia una novella istoria"; questi proletari volevano la guerra, andavano ad uccidere degli altri proletari. Ma noi, noi che godiamo dei benefici di quel sangue, troviamo che essi erano i martiri, i precursori della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, documento memorabile del pensiero e della civiltà umana. Nel 1870 a Roma se ci fosse stato un Circolo socialista più o meno neutrale, avrebbe esso gridato abbasso la guerra quando attraverso la breccia si abbatteva il potere temporale dei papi? Osereste rinnegare Pisacane? Ma, amici, c'è il suo testamento. Ebbene, Pisacane con trecento idealisti - c'erano ancora degli idealisti - sbarcò a Sapri. C'erano forse le classi, c'era forse lo sciopero, una questione di contratto, di salari, di tariffe? No. C'era il governo dei Borboni, e Pisacane irredentista, precursore di Garibaldi, quindi più grande di Garibaldi, ha detto Victor Hugo, andava a compiere un'opera di redenzione nazionale. E chi erano i neutralisti d'allora? Poveri contadini del napoletano sobillati dai preti i quali amavano molto il governo del Borbone come i preti d'ora amano molto il governo di Francesco Giuseppe. Nel 1897, io ero giovinetto, mi ricordo che molti socialisti italiani s'armarono e corsero a combattere in Grecia. Ma forse che in Grecia c'era un conflitto fra capitale e lavoro? No, c'era un conflitto fra due nazioni. Essi andavano ad aiutare i borghesi greci! Ma che cosa importa questo? Essi vedevano in conflitto due nazioni: la Turchia che sopprimeva le nazionalità, la Grecia che voleva ricongiungere a sé Candia; e non distinguevano, e si battevano e morivano. Che più? Quando le ceneri di Antonio Fratti ritornarono in Italia, ricordo che una colonna imponente di socialisti romagnoli, quattro o sei mila, muniti del garofano rosso, si recarono a riverire questo martire del diritto delle nazionalità. È dunque solo adesso che siamo diventati degli egoisti, dei vigliacchi, dei poltroni? Solo adesso? Guardiamo alle rovine del Belgio e diciamo: poveri belgi, è veramente doloroso il loro calvario. Eppure ho sentito un socialista domandarsi perché, in fin dei conti, questi belgi hanno resistito; perché non hanno contrattato col Kaiser magari il prezzo del libero transito, offerto il loro pane, i loro alloggi.... fors'anche le loro donne agli ulani. Sarebbero stati risparmiati. Ebbene i belgi, al contrario, hanno avuto questa suprema ingenuità si sono difesi e si sono difesi egregiamente salvando la Francia. La Francia che non aveva alla frontiera che trentamila uomini da opporre ai tre milioni di baionette prussiane, la Francia che ha dovuto costituirsi un esercito oltre la Marna, la Francia odiata da tutti gli imperatori perché è una nazione repubblicana, perché ha tagliato la testa a un re. E se voi avete letto Arrigo Heine, ricorderete l'episodio in cui il poeta è entrato nella grotta dove riposa Barbarossa che ha la barba già fluente e gli cresce smisuratamente, Barbarossa che aspetta per scendere, o meglio per salire in armi. E il poeta scomunicato dalla Germania ufficiale, il poeta Heine che era troppo parigino per essere tedesco, si diverte a scherzare col Kaiser che distrusse molte castella dell'Alta Italia, e ad un certo punto gli dice: "Ma, caro imperatore, se non avete dei cavalli, provvedetevi degli asini". E siccome l'imperatore non aveva letto le cronache, domanda al poeta: "Che cosa è successo in questi secoli?". E il poeta gli risponde: "Sono successe cose sorprendenti: guerre, terremoti, pestilenze, carestie; e poi in Francia, sappiate, o imperatore, in Francia ad un certo momento hanno ghigliottinato Luigi XVI!". E il vecchio Kaiser: "Ghigliottinato? Che parola è? Ai miei tempi non era nel vocabolario". E il poeta gli risponde: "È una parola nuova. Si tratta di uno strumento inventato da un medico, il quale strumento taglia la testa dei re ed anche degli imperatori". E allora il Kaiser trema pensando a quest'epoca in cui non si ha più rispetto per le teste coronate. La Francia ne ha tagliato una, ma l'Inghilterra due secoli prima aveva tagliato la testa ad un altro re. Le monarchie sentono che quando si avanza il popolo, i re, i papi, gli imperatori devono retrocedere. È evidente che questa gente prega perché l'Italia si mantenga neutrale; ed i socialisti tedeschi, teneri della sorte dei loro Kaiser e della sorte del loro impero, mandano il messaggero Sudekum in Italia ed in Rumenia a fermare i proletari che volessero aiutare la triplice intesa. La guerra che noi vogliamo, e noi vogliamo la guerra, non ci carica la coscienza di nessun delitto. Noi guerrafondai? Nel 1911, a Forlì, abbiamo trattenuto i richiamati che stavano per partire per la Libia. Se da per tutto si fosse fatto così forse in Libia non si sarebbe andati. Guerrafondaio? No. Uomo che lotta in un determinato periodo, in un determinato spazio; lotta colle armi che sono a sua disposizione. Se voi volete abbattere i mortai da 420 e se volete demolire la prepotenza del militarismo prussiano, vorrete dunque portare il ramoscello d'olivo, vorrete portare gli ordini del giorno, i bei discorsi con relative invocazioni pacifiste? Bethmann-Hollweg ha avuto il coraggio di dire al Reichstag: "Abbiamo violata la neutralità belga? Ebbene, necessità non conosce legge. Abbiamo distrutte le città, abbiamo seminato il terrore? Non importa: daremo un'indennità, oppure ci annetteremo il Belgio per farlo partecipe dei benefici della civiltà tedesca". E i socialisti neutrali d'Italia, dopo cinque mesi di neutralità, trovano tutto ciò legittimo, giusto, umano! La mentalità socialista, nei suoi primordi, aveva un chiaro significato. Abbiamo detto cioè: c'è il pericolo di due guerre, una a fianco dell'Austria e un'altra a fianco della Francia. Per la prima noi dichiarammo che ci saremmo opposti collo sciopero generale e colla insurrezione, ma per la seconda avremmo lasciato fare. Si sono chiamate tre classi e i socialisti non hanno protestato. Se il Governo avesse voluto mobilitare avrebbe mobilitato senza proteste da parte dei socialisti perché questi capivano, e ci voleva poco, che quando tutta l'Europa era in fiamme, e tutti armavano, dalla Svizzera degli albergatori (da tenere d'occhio, specie la Svizzera tedesca) all'Olanda dei formaggi, alla Danimarca, era ridicolo, era idiota, era sopratutto criminoso aprire le frontiere e dire: Austriaci venite, le porte sono aperte. E fin da allora che il socialismo italiano ha distinto tre guerre e per ognuna di queste guerre ha specificato un determinato atteggiamento pratico. E non più tardi di ieri, l'on. Rigola, il quale è un personaggio importante perché è un uomo molto acuto e perché è segretario della Confederazione generale del lavoro la quale dovrebbe fare quel famoso sciopero generale, ha distinto tre guerre e tre ipotesi. Ha detto: "Per la guerra a fianco dell'Austria, faremmo la rivoluzione; una guerra con finalità puramente nazionaliste, la subiremmo; in una guerra di difesa, in caso d'invasione, per indipendenza nazionale, saremmo in prima linea". Ora è perfettamente assurdo subire una guerra, disinteressarsi di una guerra. Io mi disinteresso di una cosa che non mi riguarda, che avviene nell'altro emisfero, nel mondo della luna; ma una guerra fatta con me, per me, colla mia pelle, non posso subirla non curandomene, bisogna che io dica se la voglio o non la voglio. E poi voi accettate la guerra di difesa. Ma allora vi faccio una questione pratica che taglia la testa al toro. Si tratta di vedere se deve essere fatta prima o dopo; adesso con minore dispendio di vite umane e di denaro, domani in condizioni difficilissime e con la prospettiva del disastro nazionale. Perché la triplice intesa non verrà ad aiutarci, specie dopo gli scandalosi esempii che abbiamo dato. I russi ci danno i prigionieri, ed il Presidente del Consiglio va in biblioteca a sfogliare i volumi del diritto internazionale per sapere se li può accettare. Non solo: l'Inghilterra ci dà il carbone; e noi ne approfittiamo per fare il contrabbando in Germania! Ma tutta questa gente, naturalmente, domani quando ci troverà nell'imbarazzo, dirà: "Signori italiani, fate come potete". Voi mi direte che la Germania e l'Austria non ci aggrediranno subito. Ma ci disonoreranno diplomaticamente e non tarderanno a punirci. Poiché, non vi dovete fare illusione dello stato d'animo che regna in Germania. In Germania passiamo per dei traditori, dei vigliacchi. C'è una cartolina diffusissima in tutta la Germania nella quale è rappresentato un coniglio colla bandierina tricolore ed il cappello da bersagliere. C'è una lettera di Sassenbach, organizzatore tedesco, cui Rigola ha brillantemente risposto, nella quale dice: "Italiani, operai italiani! Voi ci avete lasciati in asso nel momento buono. Vi perdoniamo; ma guai a voi se osaste, dopo essere rimasti neutrali, di attaccarci, perché sareste odiati da tutte le generazioni tedesche per tutti i secoli, e contro di voi proclameremmo la guerra allo sterminio". Cose da meditare. Ed ora, se volete fare una politica di isolamento, dovrete armare, armare, armare, poiché dovrete contare sulle sole vostre forze. Il socialismo non potrà opporsi quando il governo chiederà dei miliardi, perché il governo dirà: "Ma socialisti, non avete voluto la guerra; adesso voi dovete almeno tollerare che io mi difenda, che prepari la mia difesa; specie quando abbiamo il Trentino che è un cuneo conficcato fra la Lombardia e il Veneto, il Trentino che è a quattro ore da Verona, Verona che forse è destinata a subire la sorte di Lovanio se i tedeschi si potessero precipitare alla chiusa dell'Adige". Sono cose che impongono un po' di meditazione. Non si può rispondere a queste argomentazioni col grido di "abbasso la guerra". Abbasso la guerra! Sì, ci sto anch'io, come a gridare abbasso il colera, l'omicidio, tutte le cose orribili, ripugnanti. Ma adesso la guerra c'è e noi non possiamo ignorare questo incendio che è alle porte d'Italia. Non possiamo non vedere se la guerra debba essere fatta dalla monarchia nel solo interesse della monarchia o se invece il popolo non debba asservire questa ai suoi interessi per fiaccare il militarismo prussiano ed anche per fiaccare quella monarchia degli Absburgo, di Francesco Giuseppe l'impiccatore, che in 66 anni di regno ha non poche decine di impiccati al suo passivo. Noi dobbiamo veder quale deve essere la nostra condotta, e la nostra condotta pratica è nettamente determinata. Dire che i borghesi vogliono la guerra è dire una stupidaggine. Più la borghesia è evoluta e più è pacifista. La Vossische Zeitung e la Frankfurter Zeitung, due organi capitalisti tedeschi, prima della guerra erano più pacifondai del Vorwaerts. Dove sono questi ceti che vorrebbero la guerra? Io non li trovo. La borghesia italiana, l'ho detto, è luridamente pacifista. Il Senato? È l'asilo dove si raccolgono tutte le vecchie cariatidi. Giuseppe Ferrari ha avuto il torto di finire senatore e così pure Giosuè Carducci. Ma se Enotrio fosse stato presente al discorso austriacante di Barzellotti gli avrebbe scaraventato un calamaio sulla testa. I senatori che rappresentano l'élite reazionaria sono tutti triplicisti per la pelle, austriacanti. E i deputati che sono andati in delirio, per l'evviva di De Felice a Trento e Trieste, li credete intervenzionisti? Non bisogna dimenticare che 253 di essi sono deputati gentilonizzati, cioè a dire preti, cioè austriacanti. La borghesia, infine, fa ottimi affari colla neutralità: lo sapete voi di Genova. Né può essere guerrafondaio il contadino che ha un orizzonte mentale limitatissimo. E il proletariato delle grandi città, il proletariato di Genova, di Milano, di Roma, di Napoli che può essere per la guerra come lo è stato quello del 1791, come lo è stato quello della gloriosa Comune che chiedeva armi e armi per abbattere il Prussiano. Come lo fu Blanqui nel suo giornale, che era tutto uno squillo, una diana guerresca ai socialisti di Parigi, autore di quella famosa intimazione al governo nella quale diceva: "Voi, governo, siete andato al potere dicendo che non un pollice di territorio sarebbe caduto in mano ai tedeschi. Ora è tempo di mantenere questa promessa; altrimenti noi vi frantumeremo il potere nelle mani". Non conoscete la storia della Comune? Non sapete che quello fu un moto patriottico? Farete bene a leggerla, la storia. Il popolo di Parigi si raccoglieva in assemblee. E di che cosa discuteva? Forse della concentrazione del capitale? Ma che! Discuteva sui mille modi per abbattere i prussiani. I comunardi parigini volevano la guerra perché volevano salvare Parigi. E se Jaurès, l'apostolo, il martire della pace, caduto veramente nell'ora critica, che è stato il Cristo spentosi sul calvario con tutti i suoi sogni, tutte le sue illusioni, tutte le sue bontà, se Jaurès fosse vivo, sarebbe oggi al posto di Guesde e di Sembat, sarebbe al ministero della difesa nazionale, perché ogni nazione ha il diritto di vivere nei suoi confini, perché voi non potete pretendere di fare la "Internazionale" finché ci saranno dei popoli oppressi e dei popoli oppressori, non potete ritornare all'esercizio della lotta di classe finché non sarà finita la guerra fra le nazioni. Si dice: " Perché non vi agitate per Nizza, per la Corsica, per la Savoia? ". Ma questa è un'obbiezione buffa. Ve lo dimostro subito. Voi mi dovete fare una statistica: di tutti i disertori nizzardi, corsi e savoiardi che sono venuti in Italia. Non ne è venuto nessuno. E questo vi dimostra che queste popolazioni stanno volentieri sotto la Francia, come i ticinesi sotto la Svizzera. - Quante migliaia, invece, di irredenti trentini e triestini sono venuti in Italia! Chi non ricorda l'entusiasmo per l'insurrezione cubana? E per il Transvaal chi non si è entusiasmato? Chi di noi si è entusiasmato per l'insurrezione candiota? Chi di noi per i piccoli giapponesi che abbattendo il colosso russo, provocarono la rivoluzione in Russia? E per la Macedonia! E per l'Armenia! Noi socialisti italiani abbiamo questo singolare privilegio: ci entusiasmiamo per chi è lontano e quando alle porte d'Italia c'è un Trentino che spasima, che sanguina, ci chiudiamo nel sacro egoismo! Per noi socialisti non sarebbe ragione sufficiente spingere alla guerra i popoli se la posta del giuoco non fosse che quella delle terre irredente. Noi potremmo dire ai borghesi italiani: Quello è vostro compito; assolvetelo, o altrimenti noi vi destituiremo, vi condanneremo. Non è per voi che le monarchie hanno giuocato la loro esistenza sul tradimento delle nazioni? Napoleone III è caduto perché sconfitto a Sedan. Ma ci sono altre ragioni più profonde, più socialistiche. Noi ci troviamo dinnanzi a due gruppi di potenze; noi dobbiamo scegliere. Dobbiamo fare tre ipotesi. Da questo cozzo tremendo voi credete che uscirà un'Europa uguale a quella di ieri? Allora ammetto che siate neutralisti. Ma questa ipotesi è assurda perché sarebbe spaventevole che venti milioni di uomini si fossero scannati per mesi e mesi senza un risultato. E allora o l'Europa di domani è migliore o è peggiore, o c'è più militarismo o meno, o c'è più libertà o più autorità. Dei due aggruppamenti di Potenze senza dubbio è la triplice intesa quella che dà maggiori garanzie per un assetto migliore dell'Europa. Mi fa ridere la Stampa di Torino quando dice che la Francia di domani sarà clericale, reazionaria. Ma la Francia ha due ministri socialisti, la Francia ha due milioni e mezzo di voti socialisti; la Francia ha la Confederazione generale del lavoro; la Francia è una repubblica che si avvia al cinquantennio di vita, e ciò è già un prodigio. E la Francia di domani sarà più democratica, e per una ragione semplicissima. Che cosa hanno detto i reazionari, monarchisti, realisti di tutte le specie? Hanno detto: "Vedete la disorganizzazione del regime francese? La democrazia non sa combattere; la democrazia condurrà alla disfatta". Ebbene, la democrazia sa combattere. È veramente meraviglioso quel soldatino francese! Pensate ad un popolo che si è svegliato per essere un popolo, che ha dato tutto il suo sangue per tutti gli imperi, ovunque, un popolo raffinato, che sta sulle trincee da cinque mesi ed ha spezzato l'urto della barbarie prussiana. Ebbene, questa Francia democratica, questa Francia repubblicana vi dimostra che quando la causa è giusta, sa combattere anche la repubblica. Del resto c'è una prova anche più evidente. Ma forse che nel '70 la Francia era repubblica? No; era impero, e cadde. C'era la profezia di Victor Hugo, impressionante. Nel 1871 all'assemblea di Parigi, Victor Hugo diceva: "La Prussia forse ci ha reso un servigio, ci ha mutati, ma ci ha liberati da Napoleone". E Mussolini pronto: Non ho difficoltà ad ammettere che il regime czarista è obbrobrioso. Ma sapete voi chi è stata l'anima dannata della reazione russa? Guglielmo II. Sapete voi quali siano stati i ministri più reazionari di Russia, taluno dei quali giustiziato dalle bombe terroriste? Erano tutti di origine tedesca. La Russia si libera adesso della influenza preponderante dei tedeschi i quali avevano tedeschizzato perfino la capitale. Lo zarismo russo è detestabile ma il caporalismo prussiano non lo è meno. Con questa differenza: che la Russia è un vasto crogiuolo di energie e di fede. Noi ci intenderemo coi russi. La loro psicologia è la nostra. Essi sono capaci di fare la rivoluzione; in Germania il proletariato non si è mai ribellato. E, del resto, nell'interesse stesso della causa rivoluzionaria che noi vogliamo la partecipazione dell'Italia al conflitto. Ma voi pensate sul serio che la Russia potrà restare almeno immune dal contagio democratico quando ci sia una repubblica dalla Vistola al Reno. Mai più. Domani la Russia sarà travolta - intendo la Russia nella sua impalcatura feudale e czarista - e dall'interno e dall'esterno. Ma coloro che ci agitano lo spauracchio russo per farci dimenticare le forche di Francesco Giuseppe ed il militarismo prussiano, fanno un giuoco polemico che non vale certamente la candela. Noi abbiamo dimostrato che è nell'interesse appunto delle democrazie occidentali di far sì che all'atto della liquidazione dei conti ci siano molte nazioni democratiche contro le nazioni feudali, perché solo a questo patto l'Europa di domani non sarà una copia di quella di ieri. Vi dicevo che ci sono le ragioni di classe, le ragioni tipiche del proletariato. Ma il proletariato non può rimanere estraneo a questo conflitto; non lo può perché il proletariato non è già una collettività di straccioni, di elemosinanti; è una collettività di soldati, di combattenti, di gente che quando l'ora suona, accetta il sacrificio. Ma come? Voi ammettete la rivoluzione per sbarazzarvi di una monarchia o di una aristocrazia all'interno, e non volete la guerra solo perché le aristocrazie o le monarchie da spazzare via sono all'esterno? Ma allora siete degli egoisti! C'è anche una ragione umana. È ormai dimostrato che coll'intervento dell'Italia e della Rumenia gli austro-tedeschi saranno fiaccati. E allora noi diciamo: O madri che tremate per i figli che dovranno andare sulle trincee, voi combattenti da una parte e dall'altra, è finita. Veniamo a dare il colpo di grazia. Sacrificheremo centomila dei nostri ma salveremo un milione dei vostri. Sarà questa la prova suprema della Internazionale proletaria. Ed è nelle nostre tradizioni. Io sono per temperamento, per abitudine di studi, un antitradizionalista perché le tradizioni sono dei ruderi; ma qualche volta sono dei ruderi intorno ai quali bisogna andare per ispirarsi. Ebbene, noi riprendiamo le tradizioni italiane. Oh! erano belli i tempi, quando il socialismo idealista che non si era corrotto, il socialismo italiano teneva nei suoi circoli la veneranda figura di Garibaldi! Il socialismo italiano dunque, riconosceva in Garibaldi un uomo che aveva fatto qualche cosa per noi tutti, per il proletariato mondiale. Ah! Garibaldi era un guerrafondaio! Sicuro! Quaranta battaglie, dieci guerre in tutti i continenti; ma chi di voi sarebbe così stolto, così pazzo da dire che Garibaldi era un guerrafondaio? Ma no: qualche volta la spada bisogna sguainarla per sciogliere il nodo gordiano di tutte le tirannie; qualche volta bisogna saper versare fino all'ultima stilla il nostro sangue, perché è il sangue che dà il movimento della storia, perché il sangue - è così - è la tragica necessità di questa specie umana che da 254.000 anni è venuta sul pianeta. È destino che ogni creazione, che ogni passo in avanti sia segnato da macchie di sangue. Voi non comprenderete la storia se non vi introdurrete l'elemento della violenza. Qualche volta le cose sono così aggravate che i mercati diplomatici, le trattative mercantili, i compromessi politici non bastano a risolverle. E allora viene dal popolo l'ignoto colla bomba, colla dinamite, o viene il popolo coi suoi fucili e le sue spade. Questo il dovere d'Italia nel momento attuale. Chi siete voi piccoli, voi che pretendete alzando il dito del cittadino che protesta, di fermare gli avvenimenti che rotolano con fragore di uragano nelle linee della storia? Ma no, voi sarete travolti; voi dovete comprendere questo fenomeno, voi dovete introdurvi la vostra volontà se siete dei socialisti e se siete dei rivoluzionari. E allora, o per amore o per forza, colla parola prima o con qualche gesto di sangue e di fiamma, noi spingeremo tutta l'Italia a spezzare il nodo che la lega ancora all'impero della forca e la spingeremo là dove il nostro destino ci chiama per l'interesse della nazione, per interesse di classe, per interesse di umanità. E coloro che in questo momento tragico della storia si rinchiudono nel loro guscio di egoismo che non è sano ma abbietto, che non vogliono sentire il grido dei popoli oppressi, che restano freddi dinanzi allo spettacolo terribile del Belgio, dinanzi alle stragi scatenate dal militarismo prussiano, costoro saranno ancora dei socialisti, se per essere socialisti occorre essere muniti della tessera. Ma io ho concepito il socialismo sempre come una lotta diuturna, instancabile, violenta, contro tutti i tiranni, quei di dentro e quei di fuori; io ho concepito il socialismo come un'aspirazione di giustizia, di umanità, di fratellanza. Una pagina del vangelo socialista sarà quella in cui si dice, prendendo a prestito il verso di Terenzio: "Io sono un uomo e nulla di ciò che è umano mi è straniero". Ebbene, io sono uomo, uomo di questa Italia e non mi è straniero il sacrificio del Belgio, non mi è straniero il sacrificio della Francia, non mi è straniero il sacrificio della Serbia e vedo dietro alle borghesie il proletariato che sanguina, che soffre, che invoca, che dice: Proletari d'Italia, avanti: ancora uno sforzo, liberateci voi!

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