Discorso
pronunciato a Genova nel salone dell'Università Popolare
il 28 dicembre 1914
Dichiaro fin dal principio che accetto il contradittorio con
chiunque, quindi è nell'interesse di tutti di ascoltarmi.
Io comprendo perfettamente l'agitazione di questa assemblea;
d'altra parte vi dichiaro che sono abituato alle assemblee tempestose
per cui io ammetto la fischiata, ammetto l'"abbasso",
ma dopo, se non si vuol diventare degli inquisitori rossi, dopo
avete il dovere di lasciarmi parlare. E dopo, se oltre al fischio,
ci sono degli argomenti e delle idee, qui è la libera
tribuna affidata al libero cittadino; qui, dall'urto delle idee
liberamente espresse, può vedersi quale sia la verità.
Non è col fischio che si combattono le idee, com'era
stolto per gli inquisitori del medioevo pretendere di combattere
le idee con la ruota, con le carrucole e con le torture della
inquisizione. Io faccio appello non per me, che io resterò
qui fino a domani mattina, fino a quando non avrò detto
tutto il mio pensiero; ma faccio appello al vostro spirito di
tolleranza, o avversari, perché voi dovete dopo venire
a contradirmi ed a dimostrarmi che le idee che io sostengo sono
errate. D'altra parte vi dico che l'odio avversario non riuscirà
mai ad impedirmi la libera manifestazione del mio pensiero.
Voi potete esserne sicuri. Poiché se ad un dato momento
della mia vita ho fatto liberamente e deliberatamente gettito
di molte cose che possono lusingare l'amor proprio e le legittime
ambizioni degli uomini più o meno politicanti, se io
ad un certo momento della mia vita ho voluto sfidare l'impopolarità
delle masse per annunciare loro quella che io ritenevo la verità
nuova, la verità santa, questo è titolo sufficiente
per garantirmi la tolleranza di tutti i cittadini che non vogliono
rubare il mestiere ai settari ed agli intolleranti di tutte
le epoche. D'altronde, sarò preciso e violento. Non risparmierò
nessuno. È finito il periodo dei mezzi termini, delle
restrizioni mentali, di tutto ciò che è servilità,
di tutto ciò che è equivoco. Mi sento un po' imbarazzato
a svolgere il tema che mi si è assegnato Il dovere dell'Italia.
Il dovere dell'Italia? Ma, prima di tutto, di quale Italia?
Di questa ancora triplicista, che ha nel Senato e nelle Università
gli ultimi ruderi del triplicismo? A questa Italia io non so
quale dovere è da assegnarsi. Parlo da socialista a socialisti:
da socialista, perché nessuno in questo dinamico e movimentato
periodo storico può asseverare di possedere la verità
assoluta, può dichiarare di essere l'assertore del vero
unico. Noi tutti siamo incerti, andiamo a tastoni: appunto perché
tutto ciò che era il solido, il fisso, quello che noi
credevamo il dogma, è andato in frantumi. In un certo
senso si può dire che non vi sono partiti. Non più,
in quanto che, lo dicevo polemizzando otto o nove mesi fa mi
pare coll'on. Graziadei, ogni partito ha il suo programma, la
sua bandiera, la sua inquisizione, la quale inquisizione necessariamente
fa funzionare i roghi. Non si canta più oggi il Kyrie
elèison, ma il rogo morale c'è ancora e manca
solo il rogo materiale perché viviamo nel secolo XX e
sono passati quattro secoli dal martirio di Giordano Bruno.
Ci sono delle mentalità diverse, e difatti ci sono riformisti
per la guerra e riformisti contro la guerra, ci sono rivoluzionari
per la guerra e rivoluzionari contro la guerra, sindacalisti
pro e sindacalisti contro la guerra. Nessun partito ha potuto
sottrarsi a questa divisione che ripete le sue origini dalla
diversa mentalità con cui gli uomini affrontano i problemi
di una determinata epoca storica. E le mentalità sono
queste, sono due: la mentalità dogmatica, fissa, eterna,
immobile. Si è detta nel 1848 una verità e quella
deve rimanere la verità per tutti i secoli. Questi uomini
i quali si aggrappano a questo scoglio della verità e
vi rimangono attaccati fino al giorno del naufragio, sanno qualche
volta salvarsi per le vie equivoche della ritirata; e sarebbero
certamente uomini ammirabili se sentissero questa verità,
se non preparassero già fin d'adesso l'alibi prudente
ed i tradimenti fin troppo astuti. E ci sono invece gli altri
uomini i quali non possono nascondersi la realtà perché
la realtà esiste. Si può fingere di ignorarla,
si può imitare lo struzzo che nasconde il capo sotto
la sabbia per evitare il pericolo; questo pacifico abitatore
del deserto non vede più il pericolo, ma il pericolo
incalza. Ora noi, dopo aver superata la crisi che proveniva
dal fatto che volevamo rimanere fedeli a quelle che ci sembravano
le verità assolute, ad un dato momento abbiamo visto
che la realtà travolgeva queste verità. Allora
abbiamo volute vedere, confrontale, sceverare, distinguere,
vedere cioè se il vangelo era buono per tutte le età,
per tutti i secoli, per tutti gli uomini, o se invece non sia
più profondamente vero e umano che ogni generazione deve
creare dal suo seno le verità, quando queste verità
sono invocate per le generazioni che vogliono venire avanti.
E allora ci siamo trovati, in un momento in cui nessuno ci pensava,
alla guerra europea. Giovanni Jaurès il 30 luglio tornando
da Bruxelles ottimista, pensava che la guerra non ci sarebbe
stata. Si erano scritti dei volumi per dimostrare l'impossibilità
della guerra europea; si era detto che gli uomini erano diventati
buoni, e si trascurava il fattore psicologico. Ieri stesso Achille
Loria, un uomo dinanzi al quale mi inchino, ha voluto dare spiegazioni
puramente economiche di questo fenomeno. Non basta: c'è
l'insopprimibile dissidio delle stirpi, ma anche qualche cosa
di più che non possiamo nascondere a noi stessi; ed è
che l'uomo è un animale bellicoso, forse l'animale più
bellicoso di tutta la zoologia. Bisogna dunque tener conto di
tutti questi diversi fattori ed elementi per spiegarci il fenomeno
complesso della guerra, alla quale noi opponevamo la "Internazionale".
Non ho mai avuto fiducia nel partito socialista tedesco. Quattro
mesi prima della conflagrazione europea, in una polemica svoltasi
sul Giornale d' Italia, all'avversario che mi magnificava la
poderosa Sozialdemocratie tedesca, io ricordavo una sentenza
di Roberto Michels che diceva: "Il partito socialista tedesco
è simile al gigante capace di portare un quintale, e
impotente a fecondare una vergine". La sua forza dunque
era fisica sopratutto, ma non era energia fisiologica; per cui
questo partito che aveva 92 quotidiani, 111 deputati, 5 milioni
di elettori, 3 milioni di organizzati, ad un dato momento è
scomparso dalla scena politica dell'impero come può crollare
uno scenario invecchiato e Guglielmo II, dall'alto del suo balcone
di Potsdam, ha potuto dire: "Cittadini (o meglio sudditi),
non ci sono più partiti; ci sono semplicemente dei tedeschi!".
Cosa faceva la Sozialdemocratie? Cresceva, ed io vedevo già
in questa sua crescenza la ragione della sua immobilità.
Questo partito cresceva. Ebbene, io dicevo, verrà il
giorno in cui questo partito troverà nella sua stessa
mole pachidermica la ragione della sua immobilità. Ed
è quello che è avvenuto. I socialisti tedeschi
che dovevano tener alta la bandiera della "Internazionale
socialista" sono stati i primi a buttarla nel fango. E
quando a Bruxelles, Jouhaux, il segretario della Confederazione
Generale di Francia, chiese a Legien, deputato socialista al
Reichstag, che cosa avrebbero fatto i socialisti tedeschi nel
caso di uno sciopero generale francese, il Legien rispose, o
meglio non rispose; fece capire che i tedeschi non potevano
prendere impegni di questo genere. Ed il contegno dei socialisti
tedeschi ha determinato automaticamente il contegno dei socialisti
degli altri paesi. Hervé era quasi un profeta quando
in uno dei tanti congressi internazionali in cui veniva alla
superficie l'eterno dissidio fra latini e tedeschi, che fu causa
della prima rovina della Internazionale, chiedeva a Bebel: "Cosa
farete voi se noi risponderemo alla mobilitazione con l'insurrezione?".
E Bebel rispondeva: "Prima di essere socialista, sono un
tedesco". E Hervé replicava: "Ebbene, quel
giorno in cui passerete il Reno, sappiate che troverete i fucili
dei liberi cittadini francesi pronti a respingervi". Per
cui è inutile voler ossigenare un cadavere. Certi neutralisti
muovono questa obbiezione: "Ah! voi rimproverate ai socialisti
tedeschi il loro tradimento della Internazionale? E voi, socialisti
italiani, vi preparate a fare qualche cosa che rassomiglia molto
all'atto dei socialisti tedeschi". Ma c'è una ragione
assoluta che smantella questa obbiezione. Amici, l'amore si
fa in due; la Internazionale si fa in molti. Quando uno per
il primo, abbia ragione o torto, straccia il contratto, l'altro
contraente non ha più il dovere di tener fede a questo
patto, anzi non può più tenerla. Un'Internazionale
unilaterale è un assurdo in termini. Se i socialisti
tedeschi avessero tenuto fede al loro patto, potevano pretendere
qualche cosa di più da noi. Sorgerà una nuova
Internazionale; ma quella che aveva un ufficio a Bruxelles,
il quale ufficio pubblicava un soporifero bollettino due o tre
volte all'anno in tre lingue, esclusa l'italiana, quella Internazionale
è finita. Starei per dire che il suo segretario Camillo
Huysmann, quando mi ha mandato l'adesione di simpatia e di solidarietà,
mi mandava con quel voto l'atto di decesso di quella Internazionale
di cui egli era segretario. E allora noi socialisti italiani
ci troviamo proiettati nell'ambito dei problemi nazionali. Ieri
il Vorwaerts!, pubblicando un articolo sul Natale, prospettava,
sia pure vagamente, la possibilità della creazione di
un socialismo nazionale, o quasi. Non dovete dimenticare che
nel partito socialista tedesco gli imperialisti ed i pangermanisti
sono numerosissimi; non dovete dimenticare che infinito è
il numero degli espansionisti che dicono "più terra",
ed anche gli operai non sono estranei all'influsso di questa
dottrina. E, del resto, la nazione non è scomparsa. Noi
credevamo che fosse annientata; invece la vediamo sorgere vivente,
palpitante dinanzi a noi! E si capisce: La realtà nuova
non sopprime la verità; la classe non può uccidere
la nazione. La classe è una collettività di interessi,
ma la nazione è una storia di sentimenti, di tradizioni,
di lingua, di cultura, di stirpi. Voi potete innestare la classe
sulla nazione, ma l'una non elide l'altra. Ed allora, se questo
è vero, molte altre verità saranno prospettate
poi, quando questi avvenimenti avranno fatto il loro corso.
Noi dobbiamo esaminare la questione da un punto di vista socialistico
e nazionale. Già l'onorevole Claudio Treves, nella Critica
Sociale di agosto, diceva che poiché il patto internazionale
non esiste più, ognuno deve pensare ai propri casi, ognuno
deve vedere che valore, che senso, che portata può dare
alla neutralità. Ebbene noi ci troviamo al bivio. Questa
neutralità deve durare sempre o deve finire? E se deve
finire lo deve perché noi saremo forzati da motivi estranei
a volerlo?
Socialismo e guerra. Si dice: "Ma la rottura della neutralità
ci mette allo sbaraglio delle guerre!". La guerra è
certamente un fenomeno orribile. Si pensa con un vivo strazio
dell'animo a questi milioni di uomini che stanno nelle trincee,
nel freddo, nel gelo, nella neve, mentre noi proletari italiani
chiacchieriamo. C'è forse un'antitesi fra socialismo
e guerra? Certamente se il socialismo vuole la fratellanza dei
popoli, non può voler la guerra che di quella fratellanza
è la violazione brutale, aperta, decisiva, assoluta.
Ma ci sono guerre e guerre. Giorgio Sorel diceva che il socialismo
è una cosa terribile, grave, sublime e non un esercizio
di politicanti che fanno lo sconcio comodo dei loro mercati
quotidiani. Se il socialismo è forza, è sacrificio,
è tragedia, noi non possiamo seguire coloro che credono
di spaventarci innanzi alla guerra coll'idea delle stragi, del
sangue, del sacrificio. Mi inchino al dolore delle madri, mi
inchino a chi soffre; ma ci sono dei doveri supremi e quando
uno è un socialista rivoluzionario, sa che anche la rivoluzione
sociale sarà sacrificio, sangue, pianto di madri. Anche
Mazzini, quando sospingeva le generazioni italiane alla guerra,
ben sapeva che essa era sacrificio, sangue, rovina, distruzione.
Ma sapeva pure che ogni generazione ha i suoi ineluttabili doveri
da compiere. Ora le generazioni che ci hanno preceduto hanno
fatto il loro dovere; un altro però ne hanno legato a
noi e noi dobbiamo compierlo perché le generazioni che
verranno, i figli, i nipoti, ci chiederanno: "E voi? Nel
1914-15 quando l'Europa, anzi quando il mondo era in fiamme,
che cosa avete fatto?". È comodo chiudersi nell'egoismo
neutrale, nel sacro egoismo di Salandra, che è l'egoismo
delle classi abbienti, del Senato triplicista, del papato temporalista,
della borghesia contrabbandiera. No, non può essere questo
il nostro egoismo. Non abbiamo egoismo nazionale noi; ma dei
doveri imprescrittibili da compiere. Dite un po', o amici: è
un quesito che vi pongo. Nel 1791 quando gli operai parigini
al rullo dei tamburi, al suono della Marsigliese, si recavano
nei quadrivi delle strade, scalzi, laceri, sol di rabbia armati,
e dicevano "noi vogliamo combattere" e piantavano
le bandiere della rivoluzione sui colli di Walmy, e Goethe diceva:
"Oggi da questo luogo comincia una novella istoria";
questi proletari volevano la guerra, andavano ad uccidere degli
altri proletari. Ma noi, noi che godiamo dei benefici di quel
sangue, troviamo che essi erano i martiri, i precursori della
Dichiarazione dei diritti dell'uomo, documento memorabile del
pensiero e della civiltà umana. Nel 1870 a Roma se ci
fosse stato un Circolo socialista più o meno neutrale,
avrebbe esso gridato abbasso la guerra quando attraverso la
breccia si abbatteva il potere temporale dei papi? Osereste
rinnegare Pisacane? Ma, amici, c'è il suo testamento.
Ebbene, Pisacane con trecento idealisti - c'erano ancora degli
idealisti - sbarcò a Sapri. C'erano forse le classi,
c'era forse lo sciopero, una questione di contratto, di salari,
di tariffe? No. C'era il governo dei Borboni, e Pisacane irredentista,
precursore di Garibaldi, quindi più grande di Garibaldi,
ha detto Victor Hugo, andava a compiere un'opera di redenzione
nazionale. E chi erano i neutralisti d'allora? Poveri contadini
del napoletano sobillati dai preti i quali amavano molto il
governo del Borbone come i preti d'ora amano molto il governo
di Francesco Giuseppe. Nel 1897, io ero giovinetto, mi ricordo
che molti socialisti italiani s'armarono e corsero a combattere
in Grecia. Ma forse che in Grecia c'era un conflitto fra capitale
e lavoro? No, c'era un conflitto fra due nazioni. Essi andavano
ad aiutare i borghesi greci! Ma che cosa importa questo? Essi
vedevano in conflitto due nazioni: la Turchia che sopprimeva
le nazionalità, la Grecia che voleva ricongiungere a
sé Candia; e non distinguevano, e si battevano e morivano.
Che più? Quando le ceneri di Antonio Fratti ritornarono
in Italia, ricordo che una colonna imponente di socialisti romagnoli,
quattro o sei mila, muniti del garofano rosso, si recarono a
riverire questo martire del diritto delle nazionalità.
È dunque solo adesso che siamo diventati degli egoisti,
dei vigliacchi, dei poltroni? Solo adesso? Guardiamo alle rovine
del Belgio e diciamo: poveri belgi, è veramente doloroso
il loro calvario. Eppure ho sentito un socialista domandarsi
perché, in fin dei conti, questi belgi hanno resistito;
perché non hanno contrattato col Kaiser magari il prezzo
del libero transito, offerto il loro pane, i loro alloggi....
fors'anche le loro donne agli ulani. Sarebbero stati risparmiati.
Ebbene i belgi, al contrario, hanno avuto questa suprema ingenuità
si sono difesi e si sono difesi egregiamente salvando la Francia.
La Francia che non aveva alla frontiera che trentamila uomini
da opporre ai tre milioni di baionette prussiane, la Francia
che ha dovuto costituirsi un esercito oltre la Marna, la Francia
odiata da tutti gli imperatori perché è una nazione
repubblicana, perché ha tagliato la testa a un re. E
se voi avete letto Arrigo Heine, ricorderete l'episodio in cui
il poeta è entrato nella grotta dove riposa Barbarossa
che ha la barba già fluente e gli cresce smisuratamente,
Barbarossa che aspetta per scendere, o meglio per salire in
armi. E il poeta scomunicato dalla Germania ufficiale, il poeta
Heine che era troppo parigino per essere tedesco, si diverte
a scherzare col Kaiser che distrusse molte castella dell'Alta
Italia, e ad un certo punto gli dice: "Ma, caro imperatore,
se non avete dei cavalli, provvedetevi degli asini". E
siccome l'imperatore non aveva letto le cronache, domanda al
poeta: "Che cosa è successo in questi secoli?".
E il poeta gli risponde: "Sono successe cose sorprendenti:
guerre, terremoti, pestilenze, carestie; e poi in Francia, sappiate,
o imperatore, in Francia ad un certo momento hanno ghigliottinato
Luigi XVI!". E il vecchio Kaiser: "Ghigliottinato?
Che parola è? Ai miei tempi non era nel vocabolario".
E il poeta gli risponde: "È una parola nuova. Si
tratta di uno strumento inventato da un medico, il quale strumento
taglia la testa dei re ed anche degli imperatori". E allora
il Kaiser trema pensando a quest'epoca in cui non si ha più
rispetto per le teste coronate. La Francia ne ha tagliato una,
ma l'Inghilterra due secoli prima aveva tagliato la testa ad
un altro re. Le monarchie sentono che quando si avanza il popolo,
i re, i papi, gli imperatori devono retrocedere. È evidente
che questa gente prega perché l'Italia si mantenga neutrale;
ed i socialisti tedeschi, teneri della sorte dei loro Kaiser
e della sorte del loro impero, mandano il messaggero Sudekum
in Italia ed in Rumenia a fermare i proletari che volessero
aiutare la triplice intesa. La guerra che noi vogliamo, e noi
vogliamo la guerra, non ci carica la coscienza di nessun delitto.
Noi guerrafondai? Nel 1911, a Forlì, abbiamo trattenuto
i richiamati che stavano per partire per la Libia. Se da per
tutto si fosse fatto così forse in Libia non si sarebbe
andati. Guerrafondaio? No. Uomo che lotta in un determinato
periodo, in un determinato spazio; lotta colle armi che sono
a sua disposizione. Se voi volete abbattere i mortai da 420
e se volete demolire la prepotenza del militarismo prussiano,
vorrete dunque portare il ramoscello d'olivo, vorrete portare
gli ordini del giorno, i bei discorsi con relative invocazioni
pacifiste? Bethmann-Hollweg ha avuto il coraggio di dire al
Reichstag: "Abbiamo violata la neutralità belga?
Ebbene, necessità non conosce legge. Abbiamo distrutte
le città, abbiamo seminato il terrore? Non importa: daremo
un'indennità, oppure ci annetteremo il Belgio per farlo
partecipe dei benefici della civiltà tedesca". E
i socialisti neutrali d'Italia, dopo cinque mesi di neutralità,
trovano tutto ciò legittimo, giusto, umano! La mentalità
socialista, nei suoi primordi, aveva un chiaro significato.
Abbiamo detto cioè: c'è il pericolo di due guerre,
una a fianco dell'Austria e un'altra a fianco della Francia.
Per la prima noi dichiarammo che ci saremmo opposti collo sciopero
generale e colla insurrezione, ma per la seconda avremmo lasciato
fare. Si sono chiamate tre classi e i socialisti non hanno protestato.
Se il Governo avesse voluto mobilitare avrebbe mobilitato senza
proteste da parte dei socialisti perché questi capivano,
e ci voleva poco, che quando tutta l'Europa era in fiamme, e
tutti armavano, dalla Svizzera degli albergatori (da tenere
d'occhio, specie la Svizzera tedesca) all'Olanda dei formaggi,
alla Danimarca, era ridicolo, era idiota, era sopratutto criminoso
aprire le frontiere e dire: Austriaci venite, le porte sono
aperte. E fin da allora che il socialismo italiano ha distinto
tre guerre e per ognuna di queste guerre ha specificato un determinato
atteggiamento pratico. E non più tardi di ieri, l'on.
Rigola, il quale è un personaggio importante perché
è un uomo molto acuto e perché è segretario
della Confederazione generale del lavoro la quale dovrebbe fare
quel famoso sciopero generale, ha distinto tre guerre e tre
ipotesi. Ha detto: "Per la guerra a fianco dell'Austria,
faremmo la rivoluzione; una guerra con finalità puramente
nazionaliste, la subiremmo; in una guerra di difesa, in caso
d'invasione, per indipendenza nazionale, saremmo in prima linea".
Ora è perfettamente assurdo subire una guerra, disinteressarsi
di una guerra. Io mi disinteresso di una cosa che non mi riguarda,
che avviene nell'altro emisfero, nel mondo della luna; ma una
guerra fatta con me, per me, colla mia pelle, non posso subirla
non curandomene, bisogna che io dica se la voglio o non la voglio.
E poi voi accettate la guerra di difesa. Ma allora vi faccio
una questione pratica che taglia la testa al toro. Si tratta
di vedere se deve essere fatta prima o dopo; adesso con minore
dispendio di vite umane e di denaro, domani in condizioni difficilissime
e con la prospettiva del disastro nazionale. Perché la
triplice intesa non verrà ad aiutarci, specie dopo gli
scandalosi esempii che abbiamo dato. I russi ci danno i prigionieri,
ed il Presidente del Consiglio va in biblioteca a sfogliare
i volumi del diritto internazionale per sapere se li può
accettare. Non solo: l'Inghilterra ci dà il carbone;
e noi ne approfittiamo per fare il contrabbando in Germania!
Ma tutta questa gente, naturalmente, domani quando ci troverà
nell'imbarazzo, dirà: "Signori italiani, fate come
potete". Voi mi direte che la Germania e l'Austria non
ci aggrediranno subito. Ma ci disonoreranno diplomaticamente
e non tarderanno a punirci. Poiché, non vi dovete fare
illusione dello stato d'animo che regna in Germania. In Germania
passiamo per dei traditori, dei vigliacchi. C'è una cartolina
diffusissima in tutta la Germania nella quale è rappresentato
un coniglio colla bandierina tricolore ed il cappello da bersagliere.
C'è una lettera di Sassenbach, organizzatore tedesco,
cui Rigola ha brillantemente risposto, nella quale dice: "Italiani,
operai italiani! Voi ci avete lasciati in asso nel momento buono.
Vi perdoniamo; ma guai a voi se osaste, dopo essere rimasti
neutrali, di attaccarci, perché sareste odiati da tutte
le generazioni tedesche per tutti i secoli, e contro di voi
proclameremmo la guerra allo sterminio". Cose da meditare.
Ed ora, se volete fare una politica di isolamento, dovrete armare,
armare, armare, poiché dovrete contare sulle sole vostre
forze. Il socialismo non potrà opporsi quando il governo
chiederà dei miliardi, perché il governo dirà:
"Ma socialisti, non avete voluto la guerra; adesso voi
dovete almeno tollerare che io mi difenda, che prepari la mia
difesa; specie quando abbiamo il Trentino che è un cuneo
conficcato fra la Lombardia e il Veneto, il Trentino che è
a quattro ore da Verona, Verona che forse è destinata
a subire la sorte di Lovanio se i tedeschi si potessero precipitare
alla chiusa dell'Adige". Sono cose che impongono un po'
di meditazione. Non si può rispondere a queste argomentazioni
col grido di "abbasso la guerra". Abbasso la guerra!
Sì, ci sto anch'io, come a gridare abbasso il colera,
l'omicidio, tutte le cose orribili, ripugnanti. Ma adesso la
guerra c'è e noi non possiamo ignorare questo incendio
che è alle porte d'Italia. Non possiamo non vedere se
la guerra debba essere fatta dalla monarchia nel solo interesse
della monarchia o se invece il popolo non debba asservire questa
ai suoi interessi per fiaccare il militarismo prussiano ed anche
per fiaccare quella monarchia degli Absburgo, di Francesco Giuseppe
l'impiccatore, che in 66 anni di regno ha non poche decine di
impiccati al suo passivo. Noi dobbiamo veder quale deve essere
la nostra condotta, e la nostra condotta pratica è nettamente
determinata. Dire che i borghesi vogliono la guerra è
dire una stupidaggine. Più la borghesia è evoluta
e più è pacifista. La Vossische Zeitung e la Frankfurter
Zeitung, due organi capitalisti tedeschi, prima della guerra
erano più pacifondai del Vorwaerts. Dove sono questi
ceti che vorrebbero la guerra? Io non li trovo. La borghesia
italiana, l'ho detto, è luridamente pacifista. Il Senato?
È l'asilo dove si raccolgono tutte le vecchie cariatidi.
Giuseppe Ferrari ha avuto il torto di finire senatore e così
pure Giosuè Carducci. Ma se Enotrio fosse stato presente
al discorso austriacante di Barzellotti gli avrebbe scaraventato
un calamaio sulla testa. I senatori che rappresentano l'élite
reazionaria sono tutti triplicisti per la pelle, austriacanti.
E i deputati che sono andati in delirio, per l'evviva di De
Felice a Trento e Trieste, li credete intervenzionisti? Non
bisogna dimenticare che 253 di essi sono deputati gentilonizzati,
cioè a dire preti, cioè austriacanti. La borghesia,
infine, fa ottimi affari colla neutralità: lo sapete
voi di Genova. Né può essere guerrafondaio il
contadino che ha un orizzonte mentale limitatissimo. E il proletariato
delle grandi città, il proletariato di Genova, di Milano,
di Roma, di Napoli che può essere per la guerra come
lo è stato quello del 1791, come lo è stato quello
della gloriosa Comune che chiedeva armi e armi per abbattere
il Prussiano. Come lo fu Blanqui nel suo giornale, che era tutto
uno squillo, una diana guerresca ai socialisti di Parigi, autore
di quella famosa intimazione al governo nella quale diceva:
"Voi, governo, siete andato al potere dicendo che non un
pollice di territorio sarebbe caduto in mano ai tedeschi. Ora
è tempo di mantenere questa promessa; altrimenti noi
vi frantumeremo il potere nelle mani". Non conoscete la
storia della Comune? Non sapete che quello fu un moto patriottico?
Farete bene a leggerla, la storia. Il popolo di Parigi si raccoglieva
in assemblee. E di che cosa discuteva? Forse della concentrazione
del capitale? Ma che! Discuteva sui mille modi per abbattere
i prussiani. I comunardi parigini volevano la guerra perché
volevano salvare Parigi. E se Jaurès, l'apostolo, il
martire della pace, caduto veramente nell'ora critica, che è
stato il Cristo spentosi sul calvario con tutti i suoi sogni,
tutte le sue illusioni, tutte le sue bontà, se Jaurès
fosse vivo, sarebbe oggi al posto di Guesde e di Sembat, sarebbe
al ministero della difesa nazionale, perché ogni nazione
ha il diritto di vivere nei suoi confini, perché voi
non potete pretendere di fare la "Internazionale"
finché ci saranno dei popoli oppressi e dei popoli oppressori,
non potete ritornare all'esercizio della lotta di classe finché
non sarà finita la guerra fra le nazioni. Si dice: "
Perché non vi agitate per Nizza, per la Corsica, per
la Savoia? ". Ma questa è un'obbiezione buffa. Ve
lo dimostro subito. Voi mi dovete fare una statistica: di tutti
i disertori nizzardi, corsi e savoiardi che sono venuti in Italia.
Non ne è venuto nessuno. E questo vi dimostra che queste
popolazioni stanno volentieri sotto la Francia, come i ticinesi
sotto la Svizzera. - Quante migliaia, invece, di irredenti trentini
e triestini sono venuti in Italia! Chi non ricorda l'entusiasmo
per l'insurrezione cubana? E per il Transvaal chi non si è
entusiasmato? Chi di noi si è entusiasmato per l'insurrezione
candiota? Chi di noi per i piccoli giapponesi che abbattendo
il colosso russo, provocarono la rivoluzione in Russia? E per
la Macedonia! E per l'Armenia! Noi socialisti italiani abbiamo
questo singolare privilegio: ci entusiasmiamo per chi è
lontano e quando alle porte d'Italia c'è un Trentino
che spasima, che sanguina, ci chiudiamo nel sacro egoismo! Per
noi socialisti non sarebbe ragione sufficiente spingere alla
guerra i popoli se la posta del giuoco non fosse che quella
delle terre irredente. Noi potremmo dire ai borghesi italiani:
Quello è vostro compito; assolvetelo, o altrimenti noi
vi destituiremo, vi condanneremo. Non è per voi che le
monarchie hanno giuocato la loro esistenza sul tradimento delle
nazioni? Napoleone III è caduto perché sconfitto
a Sedan. Ma ci sono altre ragioni più profonde, più
socialistiche. Noi ci troviamo dinnanzi a due gruppi di potenze;
noi dobbiamo scegliere. Dobbiamo fare tre ipotesi. Da questo
cozzo tremendo voi credete che uscirà un'Europa uguale
a quella di ieri? Allora ammetto che siate neutralisti. Ma questa
ipotesi è assurda perché sarebbe spaventevole
che venti milioni di uomini si fossero scannati per mesi e mesi
senza un risultato. E allora o l'Europa di domani è migliore
o è peggiore, o c'è più militarismo o meno,
o c'è più libertà o più autorità.
Dei due aggruppamenti di Potenze senza dubbio è la triplice
intesa quella che dà maggiori garanzie per un assetto
migliore dell'Europa. Mi fa ridere la Stampa di Torino quando
dice che la Francia di domani sarà clericale, reazionaria.
Ma la Francia ha due ministri socialisti, la Francia ha due
milioni e mezzo di voti socialisti; la Francia ha la Confederazione
generale del lavoro; la Francia è una repubblica che
si avvia al cinquantennio di vita, e ciò è già
un prodigio. E la Francia di domani sarà più democratica,
e per una ragione semplicissima. Che cosa hanno detto i reazionari,
monarchisti, realisti di tutte le specie? Hanno detto: "Vedete
la disorganizzazione del regime francese? La democrazia non
sa combattere; la democrazia condurrà alla disfatta".
Ebbene, la democrazia sa combattere. È veramente meraviglioso
quel soldatino francese! Pensate ad un popolo che si è
svegliato per essere un popolo, che ha dato tutto il suo sangue
per tutti gli imperi, ovunque, un popolo raffinato, che sta
sulle trincee da cinque mesi ed ha spezzato l'urto della barbarie
prussiana. Ebbene, questa Francia democratica, questa Francia
repubblicana vi dimostra che quando la causa è giusta,
sa combattere anche la repubblica. Del resto c'è una
prova anche più evidente. Ma forse che nel '70 la Francia
era repubblica? No; era impero, e cadde. C'era la profezia di
Victor Hugo, impressionante. Nel 1871 all'assemblea di Parigi,
Victor Hugo diceva: "La Prussia forse ci ha reso un servigio,
ci ha mutati, ma ci ha liberati da Napoleone". E Mussolini
pronto: Non ho difficoltà ad ammettere che il regime
czarista è obbrobrioso. Ma sapete voi chi è stata
l'anima dannata della reazione russa? Guglielmo II. Sapete voi
quali siano stati i ministri più reazionari di Russia,
taluno dei quali giustiziato dalle bombe terroriste? Erano tutti
di origine tedesca. La Russia si libera adesso della influenza
preponderante dei tedeschi i quali avevano tedeschizzato perfino
la capitale. Lo zarismo russo è detestabile ma il caporalismo
prussiano non lo è meno. Con questa differenza: che la
Russia è un vasto crogiuolo di energie e di fede. Noi
ci intenderemo coi russi. La loro psicologia è la nostra.
Essi sono capaci di fare la rivoluzione; in Germania il proletariato
non si è mai ribellato. E, del resto, nell'interesse
stesso della causa rivoluzionaria che noi vogliamo la partecipazione
dell'Italia al conflitto. Ma voi pensate sul serio che la Russia
potrà restare almeno immune dal contagio democratico
quando ci sia una repubblica dalla Vistola al Reno. Mai più.
Domani la Russia sarà travolta - intendo la Russia nella
sua impalcatura feudale e czarista - e dall'interno e dall'esterno.
Ma coloro che ci agitano lo spauracchio russo per farci dimenticare
le forche di Francesco Giuseppe ed il militarismo prussiano,
fanno un giuoco polemico che non vale certamente la candela.
Noi abbiamo dimostrato che è nell'interesse appunto delle
democrazie occidentali di far sì che all'atto della liquidazione
dei conti ci siano molte nazioni democratiche contro le nazioni
feudali, perché solo a questo patto l'Europa di domani
non sarà una copia di quella di ieri. Vi dicevo che ci
sono le ragioni di classe, le ragioni tipiche del proletariato.
Ma il proletariato non può rimanere estraneo a questo
conflitto; non lo può perché il proletariato non
è già una collettività di straccioni, di
elemosinanti; è una collettività di soldati, di
combattenti, di gente che quando l'ora suona, accetta il sacrificio.
Ma come? Voi ammettete la rivoluzione per sbarazzarvi di una
monarchia o di una aristocrazia all'interno, e non volete la
guerra solo perché le aristocrazie o le monarchie da
spazzare via sono all'esterno? Ma allora siete degli egoisti!
C'è anche una ragione umana. È ormai dimostrato
che coll'intervento dell'Italia e della Rumenia gli austro-tedeschi
saranno fiaccati. E allora noi diciamo: O madri che tremate
per i figli che dovranno andare sulle trincee, voi combattenti
da una parte e dall'altra, è finita. Veniamo a dare il
colpo di grazia. Sacrificheremo centomila dei nostri ma salveremo
un milione dei vostri. Sarà questa la prova suprema della
Internazionale proletaria. Ed è nelle nostre tradizioni.
Io sono per temperamento, per abitudine di studi, un antitradizionalista
perché le tradizioni sono dei ruderi; ma qualche volta
sono dei ruderi intorno ai quali bisogna andare per ispirarsi.
Ebbene, noi riprendiamo le tradizioni italiane. Oh! erano belli
i tempi, quando il socialismo idealista che non si era corrotto,
il socialismo italiano teneva nei suoi circoli la veneranda
figura di Garibaldi! Il socialismo italiano dunque, riconosceva
in Garibaldi un uomo che aveva fatto qualche cosa per noi tutti,
per il proletariato mondiale. Ah! Garibaldi era un guerrafondaio!
Sicuro! Quaranta battaglie, dieci guerre in tutti i continenti;
ma chi di voi sarebbe così stolto, così pazzo
da dire che Garibaldi era un guerrafondaio? Ma no: qualche volta
la spada bisogna sguainarla per sciogliere il nodo gordiano
di tutte le tirannie; qualche volta bisogna saper versare fino
all'ultima stilla il nostro sangue, perché è il
sangue che dà il movimento della storia, perché
il sangue - è così - è la tragica necessità
di questa specie umana che da 254.000 anni è venuta sul
pianeta. È destino che ogni creazione, che ogni passo
in avanti sia segnato da macchie di sangue. Voi non comprenderete
la storia se non vi introdurrete l'elemento della violenza.
Qualche volta le cose sono così aggravate che i mercati
diplomatici, le trattative mercantili, i compromessi politici
non bastano a risolverle. E allora viene dal popolo l'ignoto
colla bomba, colla dinamite, o viene il popolo coi suoi fucili
e le sue spade. Questo il dovere d'Italia nel momento attuale.
Chi siete voi piccoli, voi che pretendete alzando il dito del
cittadino che protesta, di fermare gli avvenimenti che rotolano
con fragore di uragano nelle linee della storia? Ma no, voi
sarete travolti; voi dovete comprendere questo fenomeno, voi
dovete introdurvi la vostra volontà se siete dei socialisti
e se siete dei rivoluzionari. E allora, o per amore o per forza,
colla parola prima o con qualche gesto di sangue e di fiamma,
noi spingeremo tutta l'Italia a spezzare il nodo che la lega
ancora all'impero della forca e la spingeremo là dove
il nostro destino ci chiama per l'interesse della nazione, per
interesse di classe, per interesse di umanità. E coloro
che in questo momento tragico della storia si rinchiudono nel
loro guscio di egoismo che non è sano ma abbietto, che
non vogliono sentire il grido dei popoli oppressi, che restano
freddi dinanzi allo spettacolo terribile del Belgio, dinanzi
alle stragi scatenate dal militarismo prussiano, costoro saranno
ancora dei socialisti, se per essere socialisti occorre essere
muniti della tessera. Ma io ho concepito il socialismo sempre
come una lotta diuturna, instancabile, violenta, contro tutti
i tiranni, quei di dentro e quei di fuori; io ho concepito il
socialismo come un'aspirazione di giustizia, di umanità,
di fratellanza. Una pagina del vangelo socialista sarà
quella in cui si dice, prendendo a prestito il verso di Terenzio:
"Io sono un uomo e nulla di ciò che è umano
mi è straniero". Ebbene, io sono uomo, uomo di questa
Italia e non mi è straniero il sacrificio del Belgio,
non mi è straniero il sacrificio della Francia, non mi
è straniero il sacrificio della Serbia e vedo dietro
alle borghesie il proletariato che sanguina, che soffre, che
invoca, che dice: Proletari d'Italia, avanti: ancora uno sforzo,
liberateci voi!