Discorso
pronunciato in Senato il 30 marzo 1938 - anno XVI
Camerati! Senatori! Signori!
Sono esattamente passati tredici anni dal giorno in cui - 2 aprile
del 1925 - io ebbi l'onore di parlare dinanzi a voi su problemi
di carattere militare. In quell'ormai lontano ma forse non del
tutto dimenticato discorso io inquadrai nei suoi aspetti essenziali
il problema della nostra difesa e quello dei nostri ordinamenti;
oso dire che da quel giorno ci fu una bussola che guidò
il nostro cammino, una mèta verso la quale indirizzammo
quotidianamente le nostre energie, mèta che si sintetizza
in questo enunciato: rendere sempre più efficienti e sempre
più temibili le Forze Armate della Nazione. Dopo tredici
anni io desidero ragguagliarvi nella maniera più riassuntiva
ed esauriente possibile e con indispensabile riservatezza per
taluni dati, su quanto si è fatto per l'Esercito, per la
Marina per l'Aviazione. Comincerò dall'Esercito, al quale
spetta il compito della difesa delle frontiere terrestri. Aggiungo
subito che la difesa non deve essere interpretata in senso limitativo:
spesso la miglior difesa è l'offesa. Ora in fatto di frontiere
la natura ha provveduto a garantire all'Italia considerevoli coefficienti
di sicurezza. Quando siano resi ermetici alcuni passi - il che
si sta facendo - per tutto il rimanente della grande cerchia,
le Alpi sono invalicabili e non soltanto nei mesi invernali. Al
riparo di questa gigantesca fortificazione segnata da Dio per
i millenni vive e si sviluppa un popolo la cui massa numerica
lo pone già, esclusa la Russia, al terzo posto in Europa,
mentre è uno fra i più omogenei della terra. Entro
l'anno solare corrente l'Italia supererà i 44 milioni di
abitanti: fra dieci anni attingerà nel solo territorio
della Madre Patria i cinquanta. Di questo dato fondamentale bisogna
tenere conto quando si parla di armi e di armati. Senza gli uomini
non si fanno i battaglioni e ci vogliono molti uomini per formare
i grossi battaglioni. Chiamando gli uomini dai 21 ai 55 anni,
l'Italia può arrivare a 8 milioni di mobilitati; aggiungendovi
i giovani di 18, 19 e 20 anni si oltrepassano i 9 milioni. Calcolando
che il 50 per cento di questa massa sia destinato ai servizi delle
retrovie - importanti, specie per il carattere che va assumendo
la guerra moderna - restano sempre da 4 a 5 milioni di combattenti
di prima linea. Non potete non convenire, onorevoli camerati,
che è una massa imponente. Alla data del 1° marzo dell'anno
corrente noi possiamo mobilitare al completo e in un breve termine
di tempo un numero di unità superiore a quello che fu impegnato
nella battaglia di Vittorio Veneto. Questo dimostra quanto sia
ridicola la polemica di taluni ambienti d'oltre Alpe secondo la
quale la guerra africana ci avrebbe indebolito: così come
l'istituzione di due Corpi d'Armata in Libia o la partecipazione
dei volontari alla guerra di Spagna. Tutto ciò ci ha invece
formidabilmente rafforzati e, non soltanto dal punto di vista
morale, come sempre avviene quando si vince, ma nei mezzi che
abbiamo a mano a mano sostituito e, quindi, aggiornato e perfezionato
nei quadri e negli uomini, che hanno potuto, unico esercito dalla
guerra mondiale in poi, fare la grande esperienza di una guerra
vissuta e vinta. Accanto ai grandi Capi che si chiamano Badoglio,
De Bono, Graziani, vi sono decine di generali che hanno fatto
o rifatto la guerra: si sono cioè ancora una volta cimentati
in questo evento supremo nella vita dei popoli. Vi sono migliaia
di ufficiali di ogni grado che hanno guidato gli uomini al combattimento
contro un nemico guerriero e crudele come l'abissino, o in una
guerra a carattere ormai classicamente europeo come la spagnola.
Vi sono infine centinaia di migliaia di soldati che hanno marciato,
combattuto, sofferto facendo una guerra, che anche nel caso dell'Etiopia,
presentò difficoltà eccezionali e assunse carattere
continentale. È mio intendimento che tutti questi uomini,
i quali hanno la esperienza di una, due, talora tre guerre, costituiscano
al momento opportuno una o più armate e di manovra e di
assalto. Non insisterò sul morale di queste truppe né
di quelle di leva. Esso è semplicemente superbo ed è
destinato a migliorare ancora, mano mano che la G.I.L., da me
voluta, preparerà moralmente e fisicamente e politicamente
le nuove generazioni per i nuovi sempre più alti compiti.
Così, mentre declinano i gloriosi veterani della guerra
mondiale, che si misurarono vittoriosamente con razze tradizionalmente
guerriere, quali l'austriaca e la magiara, sorgono i figli e i
nipoti, capaci di raccogliere l'esempio dei maggiori con l'ansia
palese di superarli. Gli ufficiali dell'Esercito italiano di tutte
le armi e corpi, per il loro alto senso del dovere, per il loro
coraggio fisico e morale, per la loro dirittura e cavalleria,
per il cameratismo e lo spirito di sacrificio, costituiscono veramente
una gerarchia di valori nazionali, degna del più incondizionato
rispetto. I problemi che li riguardano si tende risolverli in
modo che le esigenze dei singoli si concilino con le superiori
esigenze collettive dell'Esercito e della Nazione. Non meno degni
di elogio sono i sottufficiali delle cui condizioni il Ministero
si sta particolarmente occupando. Per mobilitare un milione di
uomini occorrono mezzi materiali ingenti, il cui ordine di grandezza
va dal milione al miliardo, come per le cartucce per armi portatili.
Il C.G.F.G., o, più intelligibilmente, Comitato Generale
per le Fabbricazioni di Guerra, istituito nel 1935 e diretto con
superiore competenza dal senatore Dall'Olio, è l'organo
che coordina, controlla, sospinge tutti gli stabilimenti che lavorano
ininterrottamente per le Forze Armate. Tali stabilimenti, che
si chiamano appunto ausiliari, sono 876, con una massa di operai
di 580.033, sottoposti alla disciplina militare. Aggiungo subito
che la disciplina degli operai negli stabilimenti ausiliari è
perfetta. Non è questa la sede più adatta per esporvi
la nostra dottrina di guerra, così come l'abbiamo elaborata
e aggiornata alla luce delle esperienze antiche e recenti, nostre
e altrui. Vi dirò solo che noi tendiamo a preparare uomini
e mezzi per una guerra di rapido corso. Per questo non sarà
mai abbastanza curato l'addestramento individuale del soldato
e collettivo dei reparti, nell'ordine chiuso e nell'ordine sparso.
Non sarà mai abbastanza appoggiata dai cannoni e dotata
di cannoni la Fanteria che fu e sarà sempre la Regina delle
battaglie. Non sarà mai abbastanza iperalimentato l'attacco
con riserve innumeri, onde il successo tattico si tramuti in quello
che è lo scopo della battaglia: il successo strategico.
La motorizzazione non deve essere spinta oltre un certo limite,
sotto pena di comprometterne i vantaggi. La divisione, se divisione
deve chiamarsi, non può avere meno di 9 battaglioni. I
quadri superiori e inferiori devono possedere in sommo grado il
senso di responsabilità e lo spirito d'iniziativa e di
decisione. Non sarà mai abbastanza coordinato il lavoro
delle diverse armi e l'apprestamento dei mezzi logistici nonché
- sulla scala globale - l'armonizzazione dell'azione unitaria
dell'Esercito, della Marina e dell'Aria per attuare quella che
io chiamo la condotta unitaria della guerra integrale, cioè
rapida e implacabile. Nell'Italia fascista il problema del comando
unico, che tormenta altri Paesi, è risolto. Le direttive
politico-strategiche della guerra vengono stabilite dal Capo del
Governo. La loro applicazione è affidata al Capo di Stato
Maggiore Generale e agli organi dipendenti. La storia - anche
la nostra - ci dimostra che fu sempre fatale il dissidio tra la
condotta politica e quella militare della guerra. Nell'Italia
del Littorio questo pericolo non esiste. In Italia, la guerra,
come lo fu in Africa, sarà guidata, agli ordini del Re,
da uno solo: da chi vi parla, se, ancora una volta, questo grave
compito gli sarà riservato dal destino. La guerra terrestre
è facilitata o meno dal dominio maggiore o minore del mare.
Che cosa rappresenti il dominio del mare nello sviluppo della
potenza dei popoli vi è manifesto attraverso i lumi della
storia e le nostre stesse esperienze nazionali. L'Italia, soprattutto
l'Italia, ha il dovere più che il diritto di possedere
una Marina da guerra degna di questo nome. La stiamo facendo.
Anche qui il problema ha dei termini semplici: costruzioni, quadri,
navi. Le discussioni del dopoguerra fra i sostenitori delle navi
da battaglia e gli altri favorevoli ad un innumerevole naviglio
minore si sono esaurite come tutte le discussioni a carattere
piuttosto teoretico. È positivo che non bastano le navi
da battaglia a formare una marina, ma è più positivo
ancora che con il famoso "pulviscolo" navale non si
fa una Marina. Anche senza la facoltà che ci era stata
concessa dalla Conferenza di Washington, noi avremmo finito per
costruire delle corazzate. Decidemmo nel primo tempo di rinnovare
le vecchie: ciò accadde durante la gestione Sirianni. La
cosa fu attentamente esaminata, anche perché, bisogna riconoscerlo,
i precedenti del genere nella nostra Marina non erano stati felici.
In realtà il nostro Genio navale ha risolto il problema
nel più brillante dei modi; le vecchie unità sono
state più che ringiovanite, rifatte. Due di esse, la "Cavour"
e la "Cesare" sono già entrate in Squadra. Le
altre due, la "Duilio" e la " Doria " sono
in cantiere. Per le altre quattro navi di linea abbiamo utilizzato
il tonnellaggio massimo di Washington: 35.000 tonnellate; la "Vittorio
Veneto " e la "Littorio" sono state varate; le
altre due, la "Roma" e l'"Impero" si lavora
a impostarle. Tra il 1940 e il 1941 e anche prima, se possibile,
il nerbo della nostra Flotta sarà costituito da 8 navi
di linea di complessive 240.000 tonnellate circa. Dopo le navi
di linea segue il minor naviglio di superficie, il cui tonnellaggio
va dalle 10.000 tonnellate della "Trento" alle 600 delle
torpediniere. È una massa notevole di unità bene
armate, veloci, manovrabili, tutte, o quasi, costruite durante
la nostra Era. Viene, quindi, il naviglio subacqueo. Confermo
al Senato che l'Italia ha oggi la flotta sottomarina più
potente del mondo. Abbiamo distanziato tutti e in modo tale che
sarà molto difficile, se non impossibile, raggiungerci
e toglierci questo primato. I quadri della Marina sono all'altezza
del loro compito. La preparazione morale e professionale nell'Accademia
di Livorno si fa sempre più accurata.
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