Don
Tullio Calcagno
Terni 10 -4-1899 - Milano 29-4-1945
Nacque a Terni il 10 aprile del 1899 da una famiglia povera. Entrò
in seminario a 10 anni e nel 1924 tornato a Terni divenne parroco
della cattedrale. Fu contrario al Concordato del 1929 e solo dopo
un'attenta e lunga meditazione si persuase che la conciliazione
fosse l'avvenimento che segnava il punto di partenza per un grande
risveglio religioso che si sarebbe propagato in tutto il mondo.
Dopo la vittoriosa campagna d'Etiopia divenne anche lui un grande
ammiratore di Mussolini e sposò senza riserve la causa
del regime. Fu favorevole all'ingresso dell'Italia in guerra nel
giugno del 1940, e chiese alle autorità competenti di essere
arruolato. La sua richiesta venne addirittura pubblicata su"
Regime Fascista", il giornale di Farinacci. Don Calcagno
non venne accontentato e dovette accontentarsi di combattere,
meno eroicamente, solo sulla carta stampata. Nel giugno del 1942
pubblicò a proprie spese il volume "Guerra di giustizia",
un inno al fascismo. L'opera evidenziava il disprezzo per i nemici
dell'Italia e della Germania e sosteneva l'importanza della guerra
di Mussolini che egli definiva "santa". Il libro era
stato pubblicato senza l'Imprimatur, un visto della chiesa allora
imposto dal can. 1386 del codice di diritto canonico. Don Calcagno
venne convocato presso la Congregazione del S. Ufficio il 30 giugno
1943, dove gli furono contestati duramente alcuni punti di "Guerra
di giustizia", soprattutto dove affermava; "Quando è
lecito o doveroso uccidere, è lecito o doveroso odiare".
Gli venne imposto di non occuparsi più di tali argomenti,
ma il suo silenzio durò poco. Dopo l'8 settembre diventa
sempre più audace ed invia ad alcuni giornali una lettera
dove ribadisce con ancora più forza le sue posizioni. A
causa della sua intemperanza incorse nella sospensione "a
divinis". Questo provvedimento invece di portarlo sulla strada
della redenzione, lo convinse invece di essere vittima di accuse
ingiustificate da parte delle alte gerarchie ecclesiastiche. Dopo
capendo la gravità della condanna subita chiede perdono.
Da Roma gli fanno sapere che sono disposti ad un gesto di clemenza
purché si impegni a non scrivere mai più di guerra
egli testardamente si rifiuta e risponde no. Il 16 settembre 1943
lascia Terni e si reca a Bologna in cerca di protezione da amici
guardandosi bene però dal raccontare la sua rottura con
la Chiesa, anche perché la precarietà delle comunicazioni
impedivano che il suo provvedimento di sospensione venisse conosciuto
fuori dalla zona di Terni. A Bologna si unì con altri sacerdoti
ideologicamente a lui vicini. Fallito il tentativo di dar vita
ad un movimento cattolico, si recò a Cremona e cominciò
a collaborare con "Regime Fascista" dove realizzò
articoli di fuoco contro il Re traditore e Badoglio. Inoltre realizzò
un manifesto del clero fascista dove chiedeva alla chiesa il riconoscimento
solenne del nuovo Stato Repubblicano Sociale come unico e legittimo
successore dell'ormai ex Regno d'Italia; la collaborazione col
governo repubblicano rispetto e fraternità verso quelli
che lui definiva "leali e generosi alleati germanici".
Farinacci rimase molto colpito da questo sacerdote dalla prosa
violenta ma accattivante, in lui vedeva la persona adatta per
riavvicinare la gente delle campagne e i giovani a Mussolini mescolando
fascismo e religiosità. Decise di affidargli la direzione
di un nuovo settimanale che si sarebbe chiamato "Crociata
Italica". Prima ancora che il giornale uscisse con il suo
primo numero il vescovo di Cremona, Monsignor Cazzani, intervenne
invitando i fedeli a diffidare di quel prete sospeso da ogni sacro
ministero, e lo fece pubblicamente attraverso le pagine del giornale
"L'Italia", organo ufficiale della curia milanese. Questo
messaggio venne successivamente ripreso da tutta la stampa cattolica,
dai bollettini parrocchiali, venne affisso alle porte delle chiese
e dei ritrovi diocesani e commentato durante le prediche. Un attacco
di questa portata avrebbe spaventato chiunque, invece in Don Calcagno
servì a rafforzare ancora di più la convinzione
di essere perseguitato dalle istituzioni ecclesiastiche. Con una
tattica già collaudata in precedenza invia una lettera
supplichevole a Monsignor Cazzani, che però non accettò.
Il giornale riuscì comunque ad essere pubblicato dal suo
primo numero il 9 gennaio 1944, e per tutta la durata della guerra
ribadirà la necessità che il clero fiancheggi con
tutte le sue forze la lotta che avrebbe dovuto ridare all'Italia
il suo prestigio e la sua unità. Era costituito da quattro
pagine e ogni numero riportava, con commenti ironici, immagini
della distruzione di chiese ed edifici religiosi compiuta dagli
anglo - americani. Le 100.000 copie stampate vennero tutte rapidamente
esaurite. La causa di questo clamoroso successo era dovuta alla
chiesa che, senza volerlo, aveva fatto di Don Calcagno un personaggio,
lo dimostra anche il fatto che "Crociata Italica" fu
il giornale più diffuso della RSI. Gli attacchi più
duri li ricevette dal cardinale Idelfonso Schuster, arcivescovo
di Milano. Egli invitava tutti i credenti, durante le omelie,
a non credere alle parole di quel prete e del suo giornale. L'atteggiamento
di Mussolini a riguardo invece fu ambiguo. Pubblicamente dirà
di non essere mai stato messo al corrente delle iniziative di
Don Calcagno, invece sappiamo che già nella primavera del
1944 lo incontrò e lodò la sua opera (quello che
più colpiva in lui era la cieca adesione al fascismo, senza
preoccuparsi della guerra, dell'odio che imperversava ovunque,
dei tanti morti). Oltre al settimanale sorse anche un vero e proprio
movimento con lo stesso nome, dotato anche di uno statuto, inoltre
"Crociata Italica" divenne così audace da proporre
una riforma non solo della Chiesa ma anche del Cattolicesimo.
I "crociati" si mostravano contrari alla figura del
Papa che, nella sua posizione di capo della chiesa universale,
non poteva dare priorità agli interessi di una singola
nazione perché doveva essere neutrale, inoltre era pur
sempre il capo di uno stato estero nel territorio italiano. Si
rendeva quindi necessaria la presenza di un primate nazionale,
eletto da un vescovo italiano, non vincolato ad una politica neutrale.
Il cardinale Schuster tornò nuovamente all'attacco e definì
le idee di Don Calcagno una strana eresia. "Regime Fascista",
che finanziava "Crociata Italica", non perse l'occasione
di manifestare al cardinale tutto il suo disprezzo attraverso
articoli quotidiani. Lo si accusava di essere un personaggio ambiguo
perché in passato aveva aderito al fascismo ed era stato
un ammiratore di Mussolini, e gli si chiedeva come mai, essendo
primate della Lombardia, aveva minacciato quei sacerdoti di "Crociata
Italica" che volevano solo salvare la Patria e la Chiesa
dagli ebrei e dai comunisti. Ma il cardinale Schuster non era
il solo ad attaccare Crociata Italica gli si aggiunsero
l'arcivescovo di Torino, Maurilio Fossati, e il patriarca di Venezia,
Cardinale Piazza. Il colpo decisivo a Don Calcagno però
non giunse da nessuno di questi sacerdoti, ma dal decreto di scomunica
del 24 marzo 1945 che non colpiva solo lui ma anche l'intero giornale
che fu costretto a chiudere. Sempre fedele al suo personaggio,
Don Calcagno fece credere che tale decisione fosse dovuta ad un
suo richiamo alle armi, in realtà si trattava solo di una
menzogna escogitata per facilitare la sua fuga. A Crema trova
ospitalità presso amici, ma riconosciuto dai partigiani
decide di chiedere aiuto al vescovo della città che lo
nasconde presso il Seminario Comboniano. Qui tentano inutilmente
di ricondurlo sulla retta via ma viene nuovamente trovato dai
partigiani che lo arrestano. La sera del 27 aprile 1945 Don Calcagno
viene condotto a Milano e rinchiuso nei sotterranei del Palazzo
di Giustizia. Il 29 mattina, presso una scuola di viale Romagna,
un tribunale del popolo lo condanna a morte. Caricato su di un
camioncino è condotto a piazzale Susa, luogo dell'esecuzione.
Prima che partano gli spari si pente e chiede umilmente che un
prete lo conforti, ma ormai è troppo tardi per tornare
indietro, gli resta solo il tempo di inginocchiarsi e fare il
segno della croce. Dalla vicina chiesa di Santa Croce accorre
un sacerdote che ha udito gli spari. Vede a terra il cadavere
del confratello e gli somministra l'estrema unzione sub conditione.
Su un carretto della nettezza urbana, la salma di Don Calcagno
viene trasferita a Musocco e sepolta nel campo dei fucilati. Nel
1945 la salma verrà riesumata e risepellita nel cimitero
di Terni.
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