LO SQUADRISMO FASCISTA SI ESTENDE DALLA VENEZIA GIULIA VERSO L'EMILIA

Proprio quando sembrava che il fascismo fosse stato sconfitto definitivamente e che sarebbe quindi scomparso dalla storia d'Italia, dove per la verità sino ad allora aveva contato ben poco, proprio allora il fascismo riprese il suo ruolo ed in breve tempo, cioè tra la seconda metà del 20 ed il 21, divenne una grande forza nella politica italiana, ed in breve tempo l'unica forza in grado d'imporsi definitivamente all'intero popolo italiano. Come può essere accaduto ciò? Sembrava che Giolitti stesse riportando lo stato verso la normalizzazione, e proprio allora iniziò il trionfo del "partito della violenza". Ebbene per comprendere il meccanismo psicologico e materiale che permise un simile trionfo, occorre ricordare lo stato d'animo, che si era pian piano, ma in modo inesorabile, incuneato nella mente di tanti italiani. Ricorderemo già lo strascico d'odio degli industriali per gli operai occupanti le fabbriche; ricorderemo le frustrazioni e le umiliazioni subite da tanta parte delle forze armate, beffeggiate e umiliate da un proletariato pseudo-rivoluzionario, che nella realtà dei fatti si limitava a comportamenti scorretti e fastidiosi, che esasperavano gli animi; aggiungiamo adesso per finire il quadro, il grande sciopero dei braccianti e mezzadri, sciopero durato diversi mesi del 1920, con danni immensi per l'agricoltura. Anche quest'ultimo sciopero si concluse con un accordo che accoglieva tutte le richieste della Federterra, ma che generò negli animi degli agrari di Bologna e dell'Emilia, odio e sentimento di vendetta. Nel campo agrario si erano avute delle importanti trasformazioni: al termine della guerra tanti proprietari terrieri, spaventati dai discorsi comunistoidi di tanta parte dei socialisti italiani, aveva venduto o o anche svenduto i possedimenti. I neo-proprietari, che spesso erano essi stessi coltivatori, erano ben decisi a difendere anche con la vita la loro "conquista"; ebbene essi invece si accorsero di essere alla mercè di un bracciantato indisciplinato, turbolento, tavolta con incarichi politici nelle amministrazioni locali, e contro di essi si resero conti di non aver quasi nessuna difesa; sicchè dovettero subire per anni i loro lazzi, le loro rivendicazioni, la loro promessa di una rivoluzione ormai imminente, che avrebbe spazzato via tutti i borghesi ed i proprietari, per consentire l'instaurazione della dittatura del proletariato. Questo della rivoluzione era ormai il ritornello continuo e perenne dei socialisti, e seppure in pratica non vi fossero molte probabilità che essi riuscissero ad attuare la loro rivoluzione, tuttavia i loro continui discorsi spaventarono i borghesi piccoli e grandi, gli agrari ed alla fine ne determinarono il sentimento di vendetta, che fu quello che consentì al fascismo di trionfare. Tutti questi uomini spaventati, incominciarono a sperare in un uomo forte, in grado di rimettere le cose a posto, di sistemare i "rossi" fargliela loro pagare. Sicchè quando i fascisti incominciarono ad organizzare le loro prime squadre ed a picchiare, a da olio di ricino, e talvolta ad ammazzare, vennero seguiti da costoro con simpatia; gli agrari dell'Emilia corsero ad iscriversi ai fasci, spesso per partecipare anche essi alle spedizioni punitive contro i "rossi". Ecco allora il fascismo diventare fenomeno di massa: di una massa che intendeva vendicarsi, apprezzava le squadre d'azione, apprezzava il nuovo movimento-partito che non si limitava a predicare ma agiva con energia contro i loro nemici. Certo da parte di Mussolini fu necessario operare una svolta a destra; egli dovette abbandonare le sue posizioni filo-socialiste, i suoi programmi rivoluzionari, e sostituire questi con programmi di ordine e di restaurazione. Allora incontrò l'appoggio dei ceti medi, dei ceti industriali, ma soprattutto dei ceti agrari. Mussolini non aveva mai pensato alla possibilità di trovare appoggio tra gli agrari; ma i fatti gli presero la mano, ed egli si ritrovò con un appoggio insperato del quale all'inizio trovò finanche imbarazzo a servirsi. Adesso non predicò più per la terra ai contadini; divenne un perfetto conservatore e restauratore d'ordine. Il primo grave episodio, che dette il via all'estendersi dello squadrismo, avvenne a Bologna alla fine del 1920. Già nell'ottobre era terminato lo sciopero dei contadini e dei mezzadri: questo sciopero aveva lasciato uno strascico di odio, tuttavia i socialisti continuavano ad avere la maggioranza nelle amministrazioni locali di diversi capoluoghi emiliani. A Bologna in particolare i socialisti avevano ottenuta la maggioranza ed il 21 novembre essi si sarebbero insediati nel palazzo del comune per celebrare la loro vittoria. Essi avevano ottenuto, dopo lunghe insistenze, il permesso di esporre nel palazzo del Comune la bandiera rossa. Il Fascio della città annunciò allora che sarebbe intervenuto di forza per impedire che venisse esposta nel palazzo del Comune la bandiera dei "bolscevichi": Questa l'atmosfera che si era venuta preparando. I socialisti dal loro canto decisero di prepararsi alla difesa: se i fascisti avessero attaccato, essi si sarebbero difesi, e quindi sarebbero andati in aula armati e pronti alla lotta. Il questore della città aveva predisposto comunque un imponente servizio d'ordine per evitare incidenti e scontri armati tra fascisti e socialisti. Guardie regie e carabinieri a cavallo presidiavano in massa la piazza sulla quale s'affacciava il palazzo comunale. Alle tre del pomeriggio ebbe inizio con regolarità la cerimonia dell'insediamento dei neo-eletti. Fu quindi eletto nuovo sindaco della città l'operaio delle ferrovie Enio Gnudi. A questo punto il sindaco si recò verso il balcone del palazzo per salutare la folla, che si accalcava sotto il palazzo, e per rivolgere un breve discorso a tutti i suoi compagni, che erano lì sotto ad attendere. A questo punto si verificarono nella piazza disordini. Il cordone della polizia sembrò spezzarsi, spinto da squadre fasciste; si sentì il rumore di colpi d'arma da fuoco; la gente si spaventò ed iniziò a sbandarsi ed a fuggire. A questo punto gli uomini preposti dall'amministrazione comunale a difesa del palazzo perdettero la testa ed iniziarono a gettare bombe a mano, mentre gli spari si moltiplicavano. Dall'alto del balcone diverse bombe si abbatterono sulla folla: nove persone furono uccise, circa un centinaio ferite. Frattanto all'interno del salone del Consiglio si levarono grida di spavento e di rabbia. Anche lì si incominciò a sparare. I consiglieri fuggirono. L'avvocato Giulio Giordani, consigliere della minoranza, rimase ucciso, l'avvocato Colliva gravemente ferito. Questo gravissimo incidente provocò l'immediata reazione di tutti i fascisti e di tutti i borghesi ed agrari d'Italia. Essi accusarono i socialisti di aver voluto provocare l'eccidio. In effetti è indubbio che le bombe furono lanciate dai socialisti, e che a sparare furono soprattutto i socialisti, ma occorreva comprendere il meccanismo di paura che aveva provocato la reazione inconsulta, reazione che aveva portato al lancio delle bombe ed all'uccisione di nove persone, tutte socialiste. Da questo momento le squadre si moltiplicarono a vista d'occhio. A Ferrara organizzate da Italo Balbo; a Bologna da Dino Grandi, che attraverso il suo settimanale "L'Assalto", con accenti violenti accusò i socialisti di volere la guerra civile: ebbene questa guerra adesso essi l'avrebbero avuta. Anche a Ferrara, dopo l'eccidio di Bologna presso il Palazzo d'Accursio, si ebbero episodi di violenza con numerosi morti da entrambe le parti. Così il 20 dicembre, nel corso di uno scontro tra una colonna di fascisti ed una di socialisti in piazza Castello, dall'alto del Castello partirono dei colpi che uccisero tre fascisti ed un socialista, mentre i feriti furono una trentina. L'allora ministro della Guerra Ivanoe Bonomi, nel suo libro, pubblicato postumo nel 1953, cioè "La politica italiana dopo Vittorio Veneto", così sintetizza l'improvvisa ascesa del fascismo agrario: "D'improvviso, dopo la tragedia di Bologna, i ceti agrari si muovono, si adunano, si organizzano. Nei borghi della valle padana giovani ufficiali reduci di guerra, chiamano a raccolta i loro amici e parenti agricoltori e dicono loro che bisogna difendersi contro coloro che non volevano la guerra e che oggi non riconoscono la vittoria, contro quelli che incitano alle violenze violenze e al disordine, contro le correnti che vogliono instaurare la dittatura del proletariato e ripetere in Italia l'esperimento di Russia. Un'aria di battaglia aleggia nelle campagne. In cerimonie patriottiche la gente d'ordine non sta più tappata in casa timorosa di violenza, ma espone la bandiera tricolore e va a gridare in piazza i suoi "Evviva". Le molte scritte sui muri - così care al costume politico italiano - non sono più soltanto quelle comuniste. Ai molti "Viva Lenin", "Viva la dittatura proletaria", si contrappongono altre scritte che inneggiano alla patria e alla vittoria". In ogni caso il contatto tra fascismo e ceti agrari e ceti industriali avvenne in modo del tutto spontaneo ed inaspettato. Lo stesso Mussolini non aveva affatto pensato ad un simile trionfo, anche se seppe intelligentemente approfittare della situazione, per consolidare la sua posizione politica. Il problema che ha sino ad oggi impegnato gli storici, è quello di comprendere il perché del comportamento passivo, quando addirittura non di aperta connivenza con le Firenze, nel Veneto ed in Umbria. Pian piano si venne creando la leggenda che il ministro della guerra Bonomi avesse garantito buona parte dello stipendio agli ufficiali in congedo che avessero assunto il comando delle squadre fasciste; ed ancora si è lungamente parlato di una circolare di Bonomi, nella quale si sarebbe raccomandato ai comandi di divisione di aiutare le varie organizzazioni fasciste. Questa voce, che ebbe tra i suoi autorevoli divulgatori, forse anche in buona fede, uomini come Gramsci, benchè ripetutamente smentita dallo stesso Bonomi e dall'allora capo di Stato maggiore Badoglio, -dicevamo - questa voce, ha trovato e trova tuttora un certo credito. Ormai essa si è dimostrata priva di qualsiasi fondamento. Scrittori certamente antifascisti, quali Paolo Alatri, Luigi Salvatorelli e Giovanni Mira, dopo approfondite ricerche del famigerato documento, dopo infruttuose indagini, hanno dovuto concludere che si trattò di una montatura, che aveva tuttavia la parvenza della verità. E' invece provata la connivenza di forze di polizia, prefetture e magistrati, i quali finirono con l'assicurare la impunità ai fascisti, agendo invece con il massimo rigore contro le intemperanze socialiste; in altri termini queste autorità mancarono al loro dovere, adoperando sempre due pesi e due misure. In Toscana il fascismo trovò terreno favorevole al suo propagarsi. Lo squadrismo assunse aspetti molto organizzati e portò questa regione, tradizionalmente socialista, sull'orlo della guerra civile. Alla fine del marzo 1921 a Firenze scoppiarono gravi disordini; dapprima venne lanciata una bomba su di un corteo fascista, provocando la morte di due persone ed il ferimento di altre trenta; per reazione i fascisti organizzarono rappresaglie, distruggendo alcuni circoli sindacali ed uccidendo a sangue freddo il segretario del sindacato ferrovieri Spartaco Lavagnini; la reazione socialista sembrò per un momento portare il paese verso la guerra civile, con barricate, diversi altri morti e violenze d'ogni tipo. Tra questi episodi ebbe particolare noto-rietà l'uccisione di Giovanni Berta; inseguito dai socialisti, gettato in Arno, tentò disperatamente di tenersi con le mani alle spallette del ponte, ma fu spinto con freddezza giù nel fiume, dopo di che i suoi uccisori assistettero con cinismo all'annegamento, avvenuto sotto i loro occhi, del malcapitato. Poi insorse Scandicci; intervenne l'esercito per sgomberare le strade dalle barricate, e subito dopo arrivarono i fascisti, comandati da Dumini e da Banchelli a "mettere a posto i rossi". Ad Empoli avvenne un fatto, sia pure nella sua diversità, molto simile a quanto avvenuto a Bologna a Palazzo d'Accursio. Si era infatti sparsa la voce che i fascisti stessero preparandosi a compiere una delle loro spedizioni punitive ad Empoli. La cittadinanza, quasi tutta di sentimenti socialisti, si preparò alla difesa. Lungo la strada si appostarono uomini armati, pronti a respingere l'attacco dei fascisti. Infine giunse un uomo in motocicletta preannunciando l'arrivo dei camion fascisti. Pochi minuti dopo ecco i due mezzi avanzare. Non appena a tiro, iniziò il fuoco spietato dei socialisti. Il primo camion, sia pure con morti e feriti a bordo, riuscì a sfuggire all'agguato accelerando; ma il secondo mezzo, costretto a fermarsi perchè l'autista era rimasto gravemente ferito, fu letteralmente preso d'assalto. Invano gli uomini a bordo del mezzo, chiedevano pietà, dicendo di non essere fascisti, la folla inferocita non capiva più nulla; infine compresero di avere sparato su due camion pieni di macchinisti delle ferrovie e di meccanici della marina, che si recavano verso Livorno, per sostituire i ferrovieri in sciopero. Un carabiniere, che ferito e terrorizzato era fuggito verso la campagna, fu inseguito; respinto da un casolare dove aveva chiesto soccorso, fu infine raggiunto dalla folla e ucciso a bastonate. Innumerevoli furono le devastazioni, effettuate da squadre fasciste, di Camere del Lavoro, Case del Popolo, sedi del Partito Socialista. Innanzi a tanto sfacelo, che ormai stava degenerando in vera e propria guerra civile, Giolitti restava inerte; attendeva che le acque si calmassero da sole, così come aveva sempre fatto per il passato. Egli non comprese che ormai dopo la guerra la violenza era nella mente di tutti. Tutti avevano imparato a farsi ragione da soli: occorreva quindi intervenire con energia, prima che fosse troppo tardi e la lotta degenerasse in guerra civile. Le violenze di Fiume, di Trieste, eppoi di Bologna, Ferrara, Firenze, avrebbero dovuto far comprendere la vera essenza del problema, e spingere il governo verso una azione di forza e di tutela della legge. Invece Giolitti rimase inerte, attendendo che tutto tornasse come prima. Non aveva compreso che la sua inazione, nel corso dell'occupazione delle fabbriche prima, e nel corso dello sciopero agrario poi, aveva portato l'opinione pubblica a nutrire una completa sfiducia nell'opera del governo e quindi a cercare attraverso nuovi mezzi di tutelare i propri interessi e difendersi dagli attacchi degli avversari.





Manganellatore
fascista




Autocarro di squadristi in partenza
per una spedizione punitiva




L'avvocato Giuliani assasinato Bologna




Benito Mussolini sfila a capo del
Fascio milanesedi Combattimento




Dino Grandi





Italo Balbo





Squadraccia fascista del 1921





Barricate contro l'assalto dei fascsti
di Italo Balbo




Giovanni Berta


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