Gian
Galeazzo Ciano
Ministro degli Esteri
Livorno 1903 - Verona 1944
Galeazzo Ciano era nato a Livorno il 18 marzo 1903. Figlio d'arte;
suo padre, Costanzo, conte di Cortellazzo, era un eroe della Grande
Guerra e fascista della primissima ora, intimo di Mussolini. Il
giovane Galeazzo si laurea in giurisprudenza a 22 anni ed entra
in carriera diplomatica; addetto all'ambasciata di Rio de Janeiro,
poi a Pechino, quindi a Buenos Aires e infine nell'ambasciata
presso la Santa Sede, scala velocemente i gradini della gerarchia,
divenendo primo segretario d'ambasciata a soli ventisei anni.
Naturalmente a una carriera così veloce fu possibile grazie
all'illustre ascendenza, anche se il giovanotto era comunque brillante
e preparatissimo, nonché fascistissimo. Ma la frequentazione
tra la famiglia Ciano e la famiglia Mussolini costituì
il trampolino di lancio per traguardi ben maggiori; Galeazzo iniziò
a corteggiare Edda, la figlia primogenita del Duce. I due giovani
si sposarono il 24 aprile 1930, Edda non aveva che vent'anni,
ma aveva già molta influenza sul padre, che ne ammirava
il carattere forte e l'intelligenza. Il genero del Duce fece ancora
tre anni di servizio diplomatico in Cina, divenendo ministro plenipotenziario
in quella nazione. Nel 1933, rientrato in Italia, Galeazzo Ciano
inizia un'ascesa eccezionale. Mussolini lo vuole accanto a sé
e il brillante giovanotto viene nominato capo ufficio stampa del
Duce, e successivamente ministro per la stampa e la propaganda.
Nel 1935 entra nel Gran Consiglio del Fascismo e ottiene anche
la promozione al grado di ambasciatore; parte volontario per la
guerra d'Etiopia, comandando, insieme al suo grande amico Pavolini,
la squadriglia La Disperata del 4° stormo da bombardamento.
Rientra in Italia col petto ornato da due medaglie d'argento al
valore, e il 9 giugno del 1936 tocca il traguardo più alto
della sua carriera con la nomina a ministro degli esteri. Mussolini
non accettava certamente che un ministro elaborasse una propria
linea, proprio in materia di politica estera, aveva già
avuto come ministro un altro dei giovanotti brillanti del fascismo,
Dino Grandi, che gli aveva dato non pochi problemi. Bolognese,
avvocato, combattente eroico nella Grande Guerra, capo di Stato
Maggiore del Quadrunvirato della Marcia su Roma, anch'egli divenuto
ministro giovanissimo (a 34 anni, nel 1929), era stato destituito
tre anni dopo e spedito a fare l'ambasciatore a Londra proprio
perché si era mostrato troppo indipendente, cercando di
instaurare rapporti di collaborazione con le democrazie e con
la Società delle Nazioni, mostrando un volto morbido del
fascismo, e rischiando quindi di far compiere all'Italia delle
scelte di campo ben precise, in contrasto con le intenzioni del
Duce, che, in un'Europa tutt'altro che stabilizzata, voleva mantenersi
libero per sfruttare le sue indubbie doti di grande opportunista.
La nomina di Galeazzo Ciano a ministro degli esteri poteva quindi
apparire come la quadratura del cerchio. Il dittatore, assegnando
la titolarità del dicastero al genero dava a quest'ultimo
(e quindi alla figlia Edda) la soddisfazione di una posizione
di enorme prestigio, con la sicurezza di non avere un elemento
centrifugo alla direzione della politica estera. E in effetti
Ciano fu un fedele esecutore delle direttive mussoliniane, fintanto
che queste ebbero una certa coerenza. Ma ebbe anche l'intelligenza
e la lucidità per capire che l'alleanza col nazismo spingeva
l'Italia in un'avventura senza ritorno, proprio quando Mussolini
si mostrava sempre più smarrito e confuso di fronte all'incalzare
della piovra tedesca. E la dichiarazione di quella strana cosa
all'italiana, la non belligeranza, che non era neutralità,
non era appoggio militare, ma che comunque aveva l'effetto di
mantenere l'Italia fuori dalla guerra, fu in gran parte frutto
dell'azione di Ciano. Infatti dopo il colpo di stato in Austria
e l'assasinio del ministro Dolfuss, il 23 settembre del 36 giunse
a Roma il ministro tedesco senza portafoglio Hans Frank, latore
di un invito in Germania sia per il Duce che per il ministro degli
esteri, nonché di rassicurazioni da parte di Hitler che
il Führer non aveva mire territoriali sulla Spagna, alla
quale prestava aiuto per motivi di solidarietà politica,
e inoltre considerava sistemata la questione austriaca, dopo che
gli accordi con il cancelliere Schuschnigg avevano cancellato
le misure antinaziste di Dolfuss. Mussolini rispose che accettava
con piacere gli inviti, e infatti Ciano si recò in Germania
dal 20 al 24 ottobre di quell'anno. La data del 20 ottobre 1936,
si può considerare come l'inizio di una politica avventurista
condotta dall'Italia, con l'illusione di poter mantenere rapporti
corretti con Gran Bretagna e Francia, di poter contemporaneamente
flirtare in modo diffidente con il nazismo, Mussolini aveva in
quel momento un interesse preciso, che era il riconoscimento dell'Impero,
e per questo non poteva prescindere dai buoni rapporti con gli
inglesi, ai quali però giocò un colpo basso, portando
a conoscenza di Hitler, tramite Ciano, un documento riservato
stilato da Eden, ministro degli esteri inglese, in cui si trattava
del "pericolo tedesco", e in cui il Führer stesso
e il suo governo venivano bollati come "una banda di avventurieri".
Contro tutti, contro nessuno, in attesa di scegliere quale fosse
il nemico e quale l'amico, questo comportamento aveva permesso
a Mussolini di scalare il potere in Italia con la solo linea politica
rivolta alla conquista e il consolidamento del potere stesso.
Lo stesso stile si applicava ora, con grave illusione, in politica
estera. Hitler iniziò le conversazioni con Ciano tessendo
una lode eccezionale per il Duce ("autore di un'opera immane
per il suo paese"), ricordando come la Germania non fosse
stata tra le nazioni sanzioniste ed esprimendo il convincimento
che un'unione italo-tedesca in funzione antibolscevica avrebbe
portato, per forza di cose, molti paesi, timorosi del pangermanismo
o dell'imperialismo italiano, a schierarsi con le due dittature,
proprio perché ancora più intimoriti dal pericolo
del bolscevismo. L'incontro di Berlino fu poi consacrato da Mussolini
che, in lungo discorso tenuto a Milano in piazza Duomo, domenica
1° novembre 36, coniò la parola "Asse". Peraltro
il 2 gennaio del 37 Italia e Gran Bretagna firmarono l'accordo
(gentlemen's agreement) con cui garantivano reciprocamente la
libertà di circolazione nel Mediterraneo e la sovranità
nazionale di tutti gli stati affacciati sul quel bacino. Pochi
giorni dopo, il 13 gennaio, giunse in visita in Italia Hermann
Goering, allora presidente del Reichstag e primo ministro della
Prussia, che si andava affermando come uno dei più importanti
collaboratori di Hitler, e fu rassicurato sulla solidità
dell'amicizia italo-tedesca e sul fatto che, al momento, l'interesse
precipuo dell'Italia era la conclusione vittoriosa del conflitto
in Spagna e la prosecuzione della politica antibolscevica in Europa.
L'Italia insomma era in piena frenesia diplomatica e il giovane
ministro degli esteri si mostrava, come era nei voti di Mussolini,
un ottimo e brillante esecutore di ordini. Il Duce si sentiva
sempre più portato a un ruolo di grande mediatore in Europa,
ma nel contempo si sentiva attratto dalla potenza della Germania;
durante la sua visita in quel paese, tra il 25 e il 29 settembre
del 37, una sapiente regia aveva saputo dare al Duce sia la sensazione
della cordialità popolare, con manifestazioni spontanee
di accoglienza, sia la dimostrazione di potenza, con un'eccezionale
parata militare. Hitler non era più l'uomo "risibile",
era viceversa l'uomo che stava attuando un riarmo massiccio; le
posizioni si andavano pericolosamente invertendo tra maestro e
discepolo e Mussolini iniziava a maturare il timore di restare
indietro rispetto alla frenesia nazista. E questa pericolosa frenesia
aveva da tempo un primo obiettivo, l'annessione dell'Austria,
più volte espressamente esclusa da Hitler e intanto scrupolosamente
preparata con l'organizzazione del partito nazista austriaco che,
agendo all'interno della piccola repubblica preparava quei disordini
che avrebbe costretto il cancelliere Schuschnigg a chiedere il
fraterno aiuto della Germania. Ciano annotava tutto nei suoi Diari
e proprio le vicende dell'Austria iniziarono a suscitare i primi
dubbi sull'affidabilità di Hitler, che il 20 febbraio del
38 aveva tenuto al Reichstag un discorso che fu un capolavoro
di ipocrisia, parlando di "più profonda intesa raggiunta
con una nazione che ci è molto vicina... ". Ciano
annotò; "L'Austria è considerata entità
nazionale e non provincia germanica. Almeno per ora". Il
12 marzo l'Austria cessava di esistere come stato indipendente,
invasa dalle truppe tedesche, e diveniva "parte integrante
del Reich" con un referendum - farsa, conclusosi col 99,3%
di "sì" all'annessione. Nel frattempo in Germania
il ministro degli esteri Von Neurath era stato sostituito e al
suo posto, il 4 febbraio di quel 1938, si era insediato un uomo
che agì in perfetta sintonia col suo Führer: Jaochim
Von Ribbentrop, la fiducia che Hitler gli accordava era ben riposta;
Ribbentrop orchestrò i successivi colpi della politica
nazista. Dopo i fatti svoltesi nei confronti della Cecoslovachia
(che Hitler voleva annettere alla Germania, con il pretesto che
più del 50% della popolazione era di nazionalità
tedesca), l'incontro tra le quattro nazioni, tenutasi il 29 settembre
del '38 a Monaco per discutere del problema della Cecoslovacchia,
che venne risolta, con l'annessione da parte della Germania delle
regioni cecoslovacche abitate da tedeschi, nel '39 con la ormai
quasi completa vittoria delle forze nazionaliste in Spagna e con
il protettorato tedesco sui territori cecoslovacchi della Boemia
e Moravia e la possibilità da parte della Germania di attentare
all'integrità della Jugoslavia, sulla quale i l'Italia
aveva già delle mire, sostenendo in segreto il movimento
separatista di Vladimir Macek, Ciano decise di tornare alla carica
col suocero e per la prima volta fu esplicito nell'invito a rompere
l'alleanza con la Germania. Ma bastò la rassicurazione
da parte di Ribbentrop sul fatto che la Germania non aveva alcuna
aspirazione ad affacciarsi sul Mediterraneo, perché la
momentanea ira anti - tedesca di Mussolini si affievolisse. Ciano
riporta nei suoi diari che il Duce liquidò la faccenda
dicendo "Noi non possiamo cambiare politica perché
non siamo delle puttane!". L'Italia restava legata alla Germania
e quest'ultima premeva sempre più perché l'alleanza
divenisse più esplicitamente un patto militare. Mussolini
e Ciano tiravano in lungo, il primo perché comunque dubbioso
sulla possibilità dell'Italia di assumersi un impegno militare
serio, con le forze armate efficienti al 40%, secondo le dichiarazioni
degli Stati Maggiori, il secondo perché sempre più
anti tedesco. Ma il Duce comunque, ormai avviluppato in quello
strano rapporto di amore - odio - emulazione con il Führer,
volle prendersi anche lui la soddisfazione di una conquista autonoma,
il paese dovette assistere all' invasione dell'Albania, avvenuta
minacciando la scialba figura di Re Zog, e che diede la possibilità
a Ciano di inebriarsi per alcuni giorni di potere, comportandosi
da viceré, alla conquista di uno stato che non interessava
a nessuno e che non offriva alcuna risorsa. L'imminenza di un'azione
tedesca contro la Polonia spinse Ciano a sollecitare un incontro
con Ribbentrop, che si tenne a Milano il 6 e 7 maggio (siamo nel
1939). Sia il Duce che il ministro degli esteri escludevano ancora
la firma di un trattato militare con la Germania e Mussolini,
seppur considerasse ormai inevitabile una guerra europea, escludeva
la possibilità per l'Italia di essere pronta prima del
1943. Era quanto bastava a Ciano che, contrario in assoluto all'alleanza,
partì abbastanza tranquillo per Milano. I colloqui col
ministro degli esteri tedesco toccarono inizialmente temi generali,
e Ribbentrop negò che la soluzione militare fosse l'unico
mezzo per risolvere la crisi con la Polonia, pur tornando sull'argomento
caro ai tedeschi, le democrazie si apprestavano ad assediare gli
stati totalitari, era quindi necessario che Italia e Germania
stipulassero un'alleanza militare. Ciano nicchiava e prendeva
tempo, ma nel secondo giorno di colloqui arrivò il colpo
di scena Mussolini ordinò telefonicamente al suo ministro
degli esteri di aderire alle richieste tedesche di alleanza. Nei
suoi Diari, Ciano svelerà che il Duce, adirato per aver
letto su un giornale francese che Milano aveva accolto con ostilità
Ribbentrop, e che questo fatto provava il diminuito prestigio
personale di Mussolini, aveva voluto mostrare che invece l'Italia
marciava compatta con l'alleato. E il 22 maggio a Berlino fu firmato
il Patto d'Acciaio. Ciano riaffermò, nelle conversazioni
con Hitler e Ribbentrop, "l'interesse di entrambi gli alleati
a un ulteriore mantenimento della pace per almeno tre anni".
I tedeschi assentirono e proseguirono per la loro strada. Il patto
d'acciaio voleva dire soprattutto una garanzia a Sud; la garanzia
a Est se la stavano creando con trattative segrete che avrebbero
condotto, il 23 agosto, al patto di non aggressione con l'Unione
Sovietica. Tra l'11 e il 13 agosto, sollecitati dall'Italia, si
tennero ancora a Salisburgo dei colloqui tra i due alleati; ma
si era ormai al dialogo tra sordi. Da una parte Ribbentrop ammetteva
con naturalezza che "Danzica e il corridoio non interessano
più al Führer. Adesso vogliamo la guerra". Hitler,
alle domande incalzanti di Ciano, che ricordava l'impegno a non
prendere iniziative militari per almeno un triennio, rispondeva
con un'analisi della situazione internazionale, escludendo che
Francia e Gran Bretagna, data la loro scarsa preparazione militare,
fossero realmente in grado di intervenire in caso di invasione
della Polonia, peraltro ritenuta ormai inevitabile. Al ritorno
da questo incontro, Ciano annotò sui Diari;"Torno
a Roma disgustato della Germania, dei suoi capi, del loro modo
di agire. Ci hanno ingannato e mentito. E oggi stanno per tirarci
in un'avventura che non abbiamo voluto e che può compromettere
il regime e il paese. Il popolo italiano fremerà di orrore
quando conoscerà l'aggressione contro la Polonia e , caso
mai, vorrà prendere le armi contro i tedeschi. Non so se
augurare all'Italia una vittoria o una sconfitta germanica".
Il 23 agosto venne reso noto il patto tra Ribbentrop e Molotov,
ministro degli esteri sovietico. Il 25 agosto Polonia e Gran Bretagna
firmarono un trattato in base al quale un attacco tedesco avrebbe
provocato automaticamente l'intervento inglese. Hitler fremeva,
con le divisioni già pronte a dilagare in Polonia. Ciano,
coadiuvato dall'ambasciatore Attolico, stava in quei giorni pressando
Mussolini perché si addivenisse addirittura ad una denuncia
del patto d'acciaio. Frasi come "Si può essere più
porci di Ribbentrop?", "Ci hanno sempre ingannato, trattandoci
da servi e non da alleati", "Stracciate il patto, Duce,
gettatelo in faccia a Hitler e l'Europa riconoscerà in
voi il capo naturale della crociata antigermanica!" punteggiarono
colloqui, come ci narra Attolico, in cui Ciano diede definitivamente
sfogo al livore accumulato a Salisburgo. In effetti il ministro
degli esteri aveva ragione. L'azione militare contro la Polonia
avrebbe dovuto essere concordata tra i firmatari del patto d'acciaio,
così come l'accordo con l'Unione Sovietica. Mussolini ebbe
un momento di incertezza e autorizzò il ministro degli
esteri a sollecitare un nuovo incontro con Ribbentrop, in cui
"chiarire definitivamente e senza dubbi la posizione italiana".
Ma Ribbentrop, molto semplicemente, non si rese disponibile, perché
troppo impegnato. Hitler aveva fissato l'invasione della Polonia
per il 26 agosto, ma purtroppo il risultato dei colloqui di Ciano
e Mussolini fu la classica soluzione all'italiana, che non servì
che a ritardare di qualche giorno le operazioni militari tedesche
e a portare alla dichiarazione di non belligeranza, infatti il
25 agosto Mussolini fece pervenire al Führer una lettera
in cui gli spiegava che l'Italia non poteva in ogni caso intervenire
a fianco della Germania, perché troppo sprovvista di mezzi
bellici e di materie prime. Hitler chiese immediatamente al governo
italiano di specificare le sue necessità di approvvigionamenti
e il 26 agosto Mussolini riunì a Palazzo Venezia i capi
militari, ai quali Ciano rivolse un caldo invito a non fare "del
criminoso ottimismo". In sostanza, l'Italia denunciava carenze
di materie prime ed armamenti per un quantitativo equivalente
a 17.000 (diciassettemila!) treni merci. Mussolini aveva optato
per la furbata. Hitler non era certamente in grado di garantire
all'Italia un tale flusso di rifornimenti, e continuò per
la sua strada. La Polonia fu stritolata in pochi giorni, mentre
nell'opinione pubblica italiana, e anche tra le stesse migliori
intelligenze del fascismo - Grandi, Balbo, Bottai - la neutralità
diveniva sempre più popolare e iniziavano a serpeggiare
le voci che volevano Ciano come successore naturale di un Duce
stanco e scosso da mille dubbi. Ma Mussolini, che aveva potuto
accettare le umiliazioni inflitte dall'alleato, non poteva sopportare
che venisse messo in discussione il suo potere, e in occasione
dell'incontro con le gerarchie del fascismo bolognese (la cosiddetta
Decime Legio) fu esplicito "In questo momento burrascoso
per l'Europa e per il mondo intero, è bene che il pilota
non sia disturbato, chiedendogli ogni momento notizie sulla rotta
che sta seguendo... Se e quando apparirò al balcone e convocherò
il popolo italiano ad ascoltarmi, non sarà per prospettargli
esami della situazione, ma per annunciargli decisioni, dico decisioni,
di portata storica...". Purtroppo, il Duce portò l'Italia
al 10 giugno 1940, alla catastrofe. Ciano vide da quel momento
il suo potere estremamente ridotto, tornando al ruolo di ministro
- esecutore, però continuò ad appoggiare il Duce.
Nel '42, però, cominciò a dubitare della possibilità
di vincere la guerra; l'anno successivo fu sollevato dalla carica
di ministro degli esteri e designato ambasciatore. Il 24 luglio
del '43, alla riunione del Gran Consiglio del fascismo, fu tra
i sostenitori della mozione Grandi, che portò alla caduta
di Mussolini. Si trasferì con la famiglia in Germania,
nella speranza di poter trovare ospitalità in Spagna. Dopo
l'armistizio e la costituzione della Repubblica Sociale, fu arrestato
e tradotto nelle carceri di Verona. Processato davanti al tribunale
speciale per alto tradimento, fu condannato a morte e fucilato,
con gli altri traditori del 25 luglio, il 11 gennaio 1944 a San
Procolo vicino a Verona. La moglie tentò invano varie volte
di salvargli la vita. Mussolini non intervenne.
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