Nel
mese di luglio le squadre fasciste effettuarono una serie di spedizioni
di particolare violenza. Il 3 luglio ad Adria, il 13 luglio a Cremona,
il 17 nell'Umbria, il 24 a Magenta, il 26 a Ravenna si verificarono
una serie di violenze che provocarono diversi morti, ma soprattutto
panico fra i cittadini benpensanti, i quali si chiedevano angosciati
se a comandare fossero i fascisti oppure ancora il governo di Roma.
Di particolare violenza si rivelò l'occupazione del municipio
di Cremona e l'offensiva contro tutte le organizzazioni socialiste
e le case del popolo scatenata da Farinacci in questa provincia. L'impressione
nel Paese fu enorme e la tensione giunse al massimo grado. Il 19 luglio
questa gravissima situazione ebbe il suo epilogo in Parlamento dove
in seguito ad una serie di interpellanze si era discusso circa le
violenze fasciste; il presidente del Consiglio Facta non aveva saputo
far altro che assicurare l'imparzialità del governo e che si
sarebbe fatto di tutto per far rispettare la legge. Ed in effetti
le sue circolari erano in tal senso, ma da parte delle autorità
pubbliche cioè le forze di polizia, i carabinieri, l'esercito,
ed infine anche la magistratura vi era un'aperta connivenza con i
fascisti, e ciò non consentiva a queste circolari di esprimersi
effettivamente e di diventare realtà concreta e vivente della
Nazione. Si giunse quindi ad un voto di fiducia al governo Facta che
fu messo in crisi apputo il 19 luglio con 288 voti contrari e soli
103 favorevoli. Il governo era quindi nuovamente in crisi per l'ennesima
volta ed ancora una volta il Parlamento si dimostrò impotente
ed incapace di esprimere una qual si voglia maggioranza: Giolitti
rimaneva lontano in Francia facendo sapere che non intendeva assumere
alcuna carica governativa; lo stesso Giolitti però poneva il
suo veto a un'eventuale governo popolare, guidato da quel "pretucolo"
di don Sturzo; infine i socialisti e comunisti rimanevano cristallizzati
nelle loro posizioni disfattiste e antigovernative che non consentivano
l'utilizzazione della loro importante forza ai fini di governo e ai
fini parlamentari. Il re quindi tentò una serie di possibili
soluzioni: un governo Orlando non fu possibile farlo perchè
la destra liberale si dichiarò non disponibile e tutt'altro
che propensa alla proposta Orlando e Sturzo di abbandonare l'alleanza
con i fascisti; il re allora designò Bonomi, ma anch'egli si
rese conto che non era possibile in quel momento formare un governo;
si tentò quindi un governo Meda ma nella realtà dei
fatti anche Meda, deputato dei popolari, non potè accettare
incarichi governativi, giustificando il rifiuto con la volontà
di non abbandonare la professione forense, e i due incarichi erano
incompatibili fra di loro. La situazione frattanto nel nostro Paese
diveniva sempre più grave. Da alcune prefetture si segnalava
il pericolo imminente di un tentativo di colpo di stato fascista diretto
verso la capitale, e ciò induceva il re a stringere i tempi,
tentanto nel più breve tempo possibile di formare un qualsivoglia
governo. L'onorevole Facta osservava giustamente che senza governo
non si poteva stare, nè il Paese poteva attendere all'infinito
che si chiarissero le idee dei suoi uomini politici. Facta aggiungeva
di essere disposto a formare un ministero, in attesa che gli eventi
maturassero, e potessero condurre ad una svolta politica l'Italia.
Occorreva senza altri indugi che il Paese avesse un minimo di direttive
e non continuasse a brancolare nel buio più assoluto. Spinti
quindi da queste impellenti necessità, si varava un nuovo gabinetto
Facta, governo che rimaneva sostanzialmente invariato, con le uniche
eccezioni del senatore Taddei, nominato ìl nuovo ministro degli
Interni (il Taddei, già prefetto di Torino, era considerato
un uomo energico ed imparziale), mentre al ministero della Giustizia
ed a quello della Guerra venivano chiamati Giulio Alessio e Marcello
Soleri. I rimanenti ministri erano quelli del precedente governo Facta.
Il nuovo Governo fu formato ai primi di agosto (si trattava del classico
governo balneare all'italiana). Il 31 luglio era stato proclamato
dalle confederazioni sindacali un grande sciopero generale in tutta
Italia. Si trattò dello sforzo supremo, compiuto dalle organizzazioni
sindacali, d'accordo con socialisti e comunisti, al fine di spingere
il governo ad assumere un inequivocabile atteggiamento antifascista.
Ma nella realtà de fatti "lo sciopero era l'estremo sussulto
di una classe operaia ormai disfatta". Lo sciopero fu chiamato
da Turati "legalitario", e nel suo complesso ebbe mediocre
successo; esso avrebbe dovuto, secondo gli intendimenti di Turati
e delle sinistre unite, "aiutare la formazione di un ministero
di sinistra; ma invece affrettò la chiusura della crisi col
ritorno a Facta e la rinuncia dei popolari e dei democratici a ogni
proposito di collaborazione con i socialisti; e in fatto di reazione
al fascismo raggiunsè l'effetto contrario, quello del suo pieno
trionfo. La mobilitazione delle squadre fu dappertutto immediata (ogni
loro movimento da provincia a provincia era stato predisposto). La
direzione del partito nazionale fascista avvertì con un proclama,
che se entro quarantotto ore lo Stato non avesse dato prova "della
sua autorità in confronto di tutti i suoi dipendenti e di coloro
che attentano all'esistenza della nazione", il fascismo avrebbe
rivendicato "piena libertà d'azione", e si sarebbe
sostituito all'sutorità statale. Al proclama fascista seguì
la mobilitazione di tutte le squadre e quindi di conseguenza si ebbero
gravissimi episodi di violenza in diverse città italiane: a
Genova, a Milano, ad Alessandria si ebbero una serie di episodi di
notevole gravità. A Milano squadre milanesi, mantovane, cremonesi
e pavesi riuscirono ad occupare la sede del comune, Palazzo Marino,
senza che le forze di pubblica sicurezza intervenissero per ristabilire
la legalità. Dal Palazzo Marino si tornò a vedere Gabriele
D'Annunzio, nuovamente con la bandiera del Timavo del maggiore Randaccio.
Egli dichiarò di sentire in quel momento che la volontà
d'Italia intera, già sbandata per altre vie, adesso tendeva
ad incamminarsi sulla via sicura delle sue fortune di grandezza e
di gloria". Ancora una volta si assistette ad episodi di violenza
con numerosi morti e feriti e conseguente distruzione di sedi di giornali,
partiti, camere del lavoro ed altre associazioni sindacali. Altri
scontri si verificarono a Livorno, a Parma, ad Ancona ed a Bari. Il
9 agosto Facta si presentò alla Camera per render conto del
comportamento del Governo in quei momenti drammatici. Ancora una volta
egli non seppe far nulla di meglio che affermare a parole l'imparzialità
dello Stato e la ferma determinazione del Governo a perseguire qualsivoglia
movimento eversivo. Lo stesso 9 agosto il Parlamento gli concesse
la sua fiducia con 247 voti favorevoli contro 121 contrari. Votarono
contro soltanto i deputati fascisti e quelli dell'estrema sinistra.
Da questo momento il fascismo si dette a studiare dettagliatamente
la strategia ed i mezzi attraverso i quali avrebbe potuto realizzare
la sua conquista del potere. Già il 13 agosto a Milano si era
riunito il Consiglio Nazionale del partito fascista ed aveva messo
in evidenza che al fascismo si aprivano due strade per la conquista
del potere: o quella delle libere elezioni, che avrebbero potuto consentire,
attraverso ùna grande affermazione elettorale, al partito fascista
di diventare Stato; ovvero rimaneva la via dell'insurrezione armata,
per la quale il partito fascista si stava adeguatamente preparando,
dandosi un rigido inquadramento ed una organizzazione di carattere
militare. In previsione che fosse necessario ricorrere al "colpo
di stato" vennero eletti tre capi, ai quali era demandato il
compito di sovrintendere alla esecuzione di eventuali movimenti di
carattere militare, qualora le cincostanze politiche dello Stato lo
avessero richiesto. E' sorprendente in tutto ciò, che queste
gravi misure insurrezionali venissero prese pubblicamente, senza che
da parte delle autorità dello Stato si manifestasse preòccupazione,
nè venissero presi i provvedimenti del caso. Ma ormai l'Italia
correva verso la dittatura ed il pericolo era accettato o forse sottovalutato
da tutti. I mesi di settembre e di ottobre non furono altro che una
preparazione alla marcia su Roma. Mussolini tentava due carte contemporaneamente:
da una parte, sperava ancora di potere conquistare il potere con un
sistema legalitario; da un altro canto non rinunciava all'idea dell'insurrezione
armata. Ormai i gruppi antifascisti erano stati definitivamente battuti;
i comunisti non seppero far altro che pubblicare un lungo manifesto,
pieno di recriminazioni nei confronti degli altri partiti, senza nulla
di costruttivo contro l'ormai imminente trionfo fascista. I socialisti,
spaccati sempre più nelle due correnti massimalista e collaborazionista,
si prepararono al loro congresso, nel corso del quale a Roma ai primi
di ottobre si giunse. alla spaccatura ufficiale del partito, portando
quindi alla nascita del partito socialista unitario, formato per la
maggior parte da socialdemocratici. I popolari dal loro canto erano
del tutto alieni a concepire una collaborazione con i socialisti,
non dimentichiamolo di fede marxista, preferendo piuttosto pensare
ad un governo con i fascisti, anche se obiettivamente non si vedeva
la possibilità effettiva di una immediata realizzazione pratica
di simile connubio. Così scriveva il ministro della Giustizia
Alessio a Giolitti il 10 ottobre, e notiamo come questa lettera, che
oggi costituisce importantissimo documento, non venisse spedita, come
avrebbe dovuto, al presidente Facta, bensì al dimissionario
Giolitti: Non passa giorno che i procuratori generali - specie quelli
dei circondari più turbati dalle violenze fasciste... - non
mi denuncino almeno 10 volte reati gravissimi. Dal 15 agosto al 22
settembre una statistica, fatta eseguire dal ministro scrivente, dava
369 reati esclusivamente per competizioni politiche: di questi 74
erano omicidi, 79 lesioni personali, 75 violenze private per bandi,
72 per danneggiamenti, 37 per appiccati incendi. Certe regioni vivono
sotto un regime di terrore, per cui non si possono nemmeno tenere
i processi penali.., in quanto le parti lese e i testimoni si guardano
bene dal deporre per tema d'essere ammazzati o almeno bastonati. "Sicchè
ci si avvicinava fatalmente, senza che lo Stato ormai disfatto ed
impotente riuscisse a prendere una qualsivoglia iniziativa, o fosse
in grado di decidere una qualche strategia difensiva, alla marcia
su Roma. Il 24 ottobre del '22, a Napoli Mussolini pronunziò
un discorso ai fascisti, lì raccolti, e già pronti alla
marcia su Roma. Mussolini in quella occasione disse: "Noi fascisti,
non intendiamo andare al potere per la porta di servizio; noi, fascisti,
non intendiamo rinunziare alla nostra formidabile primogenitura ideale
per un piatto miserevole di lenticchie ministeriali! Perchè
noi abbiamo la visione, che si può chiamare storica, del problema,
di fronte all'altra visione, che si può chiamare politica e
parlamentare. Non si tratta di combinare ancora una volta un Governo
purchè sia, più o meno vitale: si tratta di immettere
nello Stato liberale - che ha assolto i suoi compiti che sono stati
grandiosi e che noi non dimentichiamo - di immettere nello Stato liberale,
tutta la forza delle nuove generazioni italiane che sono uscite dalla
guerra e dalla vittoria. Questo è essenziale ai fini dello
Stato, non solo, ma ai fini della Storia, della Nazione. Ed allora?
Allora, o signori, il problema, non compreso nei suoi termini storici,
si imposta e diventa un problema di forza. Del resto, tutte le volte
che nella storia si determinano dei forti contrasti di interessi e
di idee, èla forza che all'ultimò decide. Ecco perchè
noi abbiamo raccolte e potentemente inquadrate e ferreamente disciplinate
le nostre legioni: perchè se l'urto dovesse decidersi sul terreno
della forza, la vittoria tocchi a noi: noi ne siamo degni; tocchi
al popolo italiano che ne ha il diritto, che ne ha il dovere, di liberare
la sua vita politica e spirituale da tutte quelle incrostazioni parassitarie
del passato perchè ucciderebbe l'avvenire."
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Facta e Carlo
Taddei nuovo
ministro degli Interni
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