Malgrado
tutte le difficoltà obiettive, il governo Nitti si mise all'opera
per tentare almeno di risolvere in parte i gravi problemi che attanagliavano
l'Italia. I maggiori fra questi erano:
1) la grave crisi economica, che provocava una inflazione gravissima
della lira, disoccupazione e continua crescita dei prezzi; questi
ultimi erano talmente cresciuti che s'impose la necessità,
per salvaguardare almeno in parte le categorie più deboli,
del prezzo politico del pane al dettaglio;
2) dalla grave crisi economica, che provocava malcontento in vasti
strati della popolazione, discendeva come conseguenza naturale il
problema dell'ordine pubblico; l'Italia continuamente tormentata da
scioperi spesso con epiloghi tragici, ma oltre a ciò da violente
manifestazioni di piazza, devastazioni di negozi di generi alimentari,
occupazioni di fabbriche, assisteva senza riuscire a porvi alcun rimedio
a continui attentati all'ordine pubblico ed alla sicurezza stessa
dello stato;
3) infine restava la questione internazionale, cioè la conclusione
delle trattative con gli alleati; dell'aiuto economico di questi ultimi,
per uscire dal tunnel della crisi economica, l'Italia aveva assoluto
bisogno.A tutto ciò si aggiungeva la sedizione militare di
Fiume, che permaneva, e di certo non contribuiva a rasserenare gli
animi.
Tutti questi problemi erano comunque tra di loro strettamente legati.
E Nitti quindi ritenne giustamente che due fossero le questioni da
risolvere prioritariamente: la questione internazionale, per la quale
si iniziarono trattative dirette con gli jugoslavi; e misure economiche
per uscire dalla grave crisi economica, in cui il paese ormai da tempo
versava. Risolvere la crisi internazionale avrebbe consentito di attingere
a prestiti internazionali e di conseguenza ciò avrebbe consentito
di risolvere con facilità tutti gli altri problemi. Malgrado
le critiche quindi mosse in seguito a Nitti, a noi pare che'egli agisse
nel migliore dei modi; cioè tentando prioritariamente di risolvere
la questione internazionale. Qualcuno ha criticato ferocemente Nitti
per non aver saputo arginare il disordine pubblico, cioè di
scarsa energia nel mantenimento dell'ordine. Ma se i tumulti, gli
scioperi ecc. si ammette che fossero generati dai gravi problemi economici,
e se si ammette che questi ultimi avevano la loro origine anche e
soprattutto dal mancato aiuto finanziario da parte degli alleati,
risulta evidente che risolvere detti problemi internazionali con gli
alleati, avrebbe voluto dire risolvere anche i conseguenti problemi
economici, e quindi infine anche quelli dell'ordine pubblico. Invece,
dopo aver avviato con intelligenza e sagacia l'opera di ricostruzione,
i partiti democratici passarono la mano a Mussolini, che avendo trovato
già risolti i problemi internazionali ed in via di soluzione
quelli economici, potè in pochi anni raccogliere i frutti degli
sforzi e del lavoro dei suoi ottimi predecessori, con conseguente
aumento di prestigio per il suo regime. Ma il governo Nitti va anche
ricordato per gli sforzi da esso compiuto nella legislazione sociale:
basterà ricordare infatti il decreto legge che nell'ottobre
del '19 istituì l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione;
il progetto di legge governativo, respinto purtroppo dal parlamento,
per l'introduzione della giornata lavorativa di otto ore; l'estensione
dell'assicurazione obbligatoria, della quale già godevano sin
dal 1898 gli operai, anche ai braccianti agricoli; infine ricorderemo
l'istituzione dell'assicurazione obbligatoria sull'invalidità
e vecchiaia. Sono misure sociali che non hanno bisogno di molti commenti;
la loro importanza è lampante ed i socialisti, se avessero
avuto un po' di sale in zucca, avrebbero dovuto dare il loro pieno
appoggio ad un simile governo; invece tutte queste importanti conquiste
passarono in secondo ordine; ai socialisti importava soltanto la rivoluzione
e la sovietizzazione della società italiana. Il governo Nitti
riuscì a vivere stentamente per sette mesi, e nel corso degli
stessi fu costretto ad affrontare una serie di scioperi e di agitazioni,
quali l'Italia non aveva più visto dal 1898. In gennaio si
ebbe lo sciopero dei ferrovieri e dei postelegrafonici. Questi scioperi
provocarono grandissimi disagi al paese ed alla fine si conclusero
con la concessione d'importanti miglioramenti alla categoria. Nel
corso dello sciopero, al fine di garantire un minimo di servizi, fu
necessario fare scortare dai soldati i ferrovieri, che intendevano
egualmente lavorare, mentre fu necessario, presidiare l'intera rete
di binari, fatti oggetto di ripetuti sabotaggi ed attentati. forte
di ben 2 mila uomini. In particolare contro di essa si accanirono
i socialisti ufficiali, che ripeterono all'infinito nel parlamento
e fuori d'esso la loro protesta contro un corpo, ch'essi ritenevano
creato apposta contro di loro. Mentre i socialisti sfasciavano l'Italia
dal profilo industriale, manovrando le masse degli operai e dei lavoratori
degli stabilimenti, i popolari ed i combattenti sfasciavano l'Italia
rurale, appoggiando le organizzazioni contadine che volevano l'occupazione
delle terre e quindi terra ai contadini. Ovviamente però l'Italia
non era di certo la Russia zarista. In Italia non esistevano, o comunque
erano limitati ad alcune zone geografiche, quali ad esempio la Sicilia
occidentale, i latifondi. In ogni caso il latifondo italiano era minuscolo
rispetto a quello dei nobili russi, spesso proprietari di latifondi,
grandi quanto intere regioni italiane. Sicchè, essendo la terra
in Italia già spezzettata e divisa tra tanti piccoli proprietari,
l'occupazione delle terre non potè assumere aspetti particolarmente
allarmanti, e fu limitata quasi esclusivamente al meridione ed in
particolare alla Sicilia. L'episodio più clamoroso si verificò
infatti a Ribera, in provincia di Palermo, dove il latifondista del
luogo, il duca di Bivona, fu tenuto prigioniero dai contadini per
diversi giorni sino a quando non si piegò a sottoscrivere le
loro richieste. Invano il governo cercò di porre un freno al
fenomeno, decretando la legittima occupazione delle terre, purchè
non coltivate o scarsamente coltivate (ma terre del genere quasi non
esistevano, perchè se una terra era incolta era quasi sempre
impossibile coltivarla). Avrebbe invece dovuto molto far pensare sia
il governo, sia le forze politiche, quanto si iniziava a verificare
in diverse città d'Italia. Innanzi alla abdicazione al potete
da parte delle autorità costituite, si andarono formando in
Italia delle organizzazioni volontarie di privati cittadini, con lo
scopo di mantenere l'ordine pubblico e di provvedere ad alcuni servizi
essenziali, che il continuo scioperare rendeva inesistenti. Sicchè
"squadre di cittadini privati provvidero al servizio di smistamento
e di recapito della corrispondenza in occasione dello sciopero dei
postelegrafonici; e un concorso analogo, ma anche più importante,
si ebbe per supplire ai ferrovieri scioperanti... A Milano.. il prefetto
decretò l'istituzione, nella città e provincia, di un
corpo di volontari dell'ordine per coadiuvare gli agenti nella prevenzione
e repressione dei reati contro le proprietà o le persone."
Nel marzo del 1920 ci fu un tentativo, che se fosse giunto in porto,
sarebbe stato oltremodo pericoloso per la democrazia it-liana: fu
infatti tentata la fusione rivoluzionaria dei movimenti sovversivi
dei nazionalisti, dei socialisti e degli anarchici. Auspici di questa
eterogenea fusione, il capitano Giulietti, l'anarchico Malatesta ed
il sindacalista De Ambris, ispiratore principale a quel tempo della
costituzione fiumana, ancora oggi ammirata per le profonde novità
socialiche sanciva e per la modernità complessiva dell'impostazione.
Tuttavia questi uomini erano troppo diversi tra di loro perchè
il tentativo potesse sortire un qualsivoglia risultato positivo, sicchè
falli miseramente. Mussolini, venuto a conoscenza del complotto, lo
svelò ai lettori de "Il Popolo d'Italia", ridicolizzando
il tentativo da lui definito "operetta nell'epopea". Permanendo
la gravità della situazione economica e di conseguenza dell'ordine
pubblico, il governo Nitti fu costretto, al fine di fronteggiare la
situazione, ad impiegare massicciamente le forze di polizia, e la
nuova Guardia Regia, che si distinse nelle azioni di repressione dei
disordini popolari. Il risultato di questa latente guerra civile,
fu nel giro di un anno, dall'aprile del '19 all' aprile del '20, un
totale di ben 145 morti e di 444 feriti, destinati ad aumentare nei
mesi successivi. Queste vittime non erano state provocate dai fascisti.
Questi ultimi ancora contavano molto poco; si ammazzavano invece vicendevolmente
e volentieri gli altri: gli scontri più violenti si avevano
quasi sempre tra socialisti e popolari, con conseguente intervento
della forza pubblica, che adoperando più del dovuto e troppo
spesso le armi, provocava numerose vittime. Il lavoro più importante
che Nitti riuscì a sviluppare fu nell'ambito della politica
estera. In proposito restavano aperte numerose questioni. A Tittoni
era succeduto Scialoja; già nel gennaio del 1920, subito dopo
il voto di fiducia del Parlamento, Nitti tornò a Parigi per
riallacciare le trattative, riguardo la questione adriatica. Scialoja
lo aveva preceduto, compiendo già un giro informativo nelle
principali capitali europee, sempre alla ricerca di un compromesso
soddisfacente. La situazione adesso andava evolvendosi in senso favorevole
all'Italia, sicchè già il 9 gennaio venne accettata
dagli alleati la proposta italiana di giungere ad una soluzione della
questione fiumana attraverso un compromesso: esso consisteva nell'accettazione
di Fiume, Stato libero, ma non collegato, come pretendeva l'Italia,
direttamente all'Italia attraverso una striscia di territorio; Cherso
sarebbe stata assegnata allo Stato libero di Fiume; l'hinterland ed
il porto di Susak sarebbe stato assegnato alla Jugoslavia; Zara sarebbe
stata amministrata dalla Società delle Nazioni. Come si vede
la posizione di Francia ed Inghilterra era notevolmente mutata, avvicinandosi
a quella italiana, ed abbandonando la rigida pregiudiziale di Wilson.
Ciò era dovuto al fatto che era ormai chiaro che, a causa dell'opposizione
interna, Wilson sarebbe a breve scadenza scomparso dalla scena politica,
sicchè la sua tesi non otteneva più l'appoggio incondizionato
degli altri alleati. Erano inoltre maturi i tempi perchè iniziassero
delle trattative dirette tra Italia e Jugoslavia. Era infatti evidente
che se la Jugoslavia avesse accettato nuove frontiere d'accordo con
l'Italia, agli alleati non sarebbe rimasto da far altro che prendere
atto della nuova situazione politica determinatasi per volontà
dei due stati direttamente interessati all'intera questione. Lo stesso
9 gennaio Nitti, assistito da Scialoja, s'incontrò con il leader
jugoslavo Ante Trumbic. Nitti espose il suo piano, che venne però
subito respinto da Trumbic, il quale riteneva che l'unica soluzione
accettabile consistesse in una linea di confine da Monte Maggiore
a Punta Fianona, per cui l'Adriatico occidentale sarebbe stato tutto
italiano, mentre tutto l'Adriatico orientale sarebbe stato iugoslavo.
Ovviamente questo primo incontro non potè sortire alcun risultato
concreto, e tutto fu quindi rimandato a tempi migliori. Il giorno
13 infine, in base alle controproposte dell'Italia, che chiedeva la
continuità territoriale con Fiume, si giunse all'accordo fra
italiani, francesi ed inglesi, in base al quale si accettava anche
la richiesta italiana della continuità territoriale con la
città di Fiume. Questo compromesso assunse quindi il nome di
"compromesso Nitti". La delegazione jugoslava, alla quale
era stato comunicato il contenuto del compromesso, lo respinse decisamente,
facendosi forte dell'appoggio americano alla sua tesi. Infatti di
lì a poco giunse la protesta di Wilson, che continuava a non
accettare l'idea di alcun compromesso, e che di conseguen-za respingeva
indignato il compromesso italo-franco-britannico. Giunsero "numerose
note estremamente dure di Wilson, il quale rimproverava all'Inghilterra
e alla Francia di volerlo porre di fionte a un fatto compiuto e di
appoggiare proposte che avrebbero sostenuto l'ingiustizia contro le
esigenze della giustizia." Ma ormai le idee di Wilson trovavano
poco seguito: era infatti a tutti ben nota l'ostilità interna,
che stava per travolgerlo; sicchè, malgrado il parere contrario
di Wilson, e malgrado l'opposizione jugoslava, il 14 gennaio Lloyd
George e Clemenceau s'incontrarono con la delegazione jugoslava, della
quale facevano parte Pasic e Trumbic, ed a questi presentarono una
nuova definitiva proposta, ponendo loro l'alternativa di decidersi
tra l'accettazione del compromesso e l'applicazione del Patto di Londra.
I rappresentanti jugoslavi chiesero allora qualche giorno per poter
rispondere dopo aver consultato il loro Governo. La nuova proposta
alleata era identica a quella del giorno avanti, con questa unica
differenza, che il Corpus separatum, invece di essere assegnato in
sovranità all'Italia, doveva costituire uno Stato indipendente
sotto la garanzia della Società delle Nazioni, e col diritto
di scegliersi la propria rappresentanza diplomatica." Il giorno
20 Pasic e Trumbic dettero la loro risposta che ancora una volta respingeva
in molti punti fondamentali le richieste degli alleati per l'Italia.
Nel pomeriggio dello stesso giorno 20 gli alleati.si riunirono per
esaminare la situazione alla luce della risposta jugoslava. Nitti
prese allora la parola, facendo, presente che, considerata l'ostinazione
jugoslava a non accettare alcuna forma di compromesso, l'Italia chiedeva
la piena applicazione del Patto di Londra. Gli alleati accettarono
a questo punto l'idea di Nitti e decisero quindi di chiamare i delegati
jugoslavi e dettare loro un vero ultimatum: o il compromesso offerto
dagli alleati, ovvero la completa applicazione del Patto di Londra;
la Jugoslavia doveva dare la sua risposta entro otto giorni da quella
data. La Jugoslavia prese però ancora tempo: fece infatti finta
di non comprendere che le proposte alleate avevano la forma di un
ultimatum, e chiese ancora tempo per potere decidere dopo aver esaminato
nei dettagli l'intera questione. Frattanto Clemenceau, battuto alle
elezioni, lasciava il governo nelle mani del suo successore Millerand.
Ciò complicava le cose per l'Italia, che era già riuscita
a rendersi amica del presidente Clemenceau, e che adesso doveva sperare
in altrettanta benevolenza da parte di Millerand. A favorire tuttavia
le aspirazioni italiane contribuiva parecchio la scarsa popolarità
del presidente Wilson negli Stati Uniti. Il presidente era infatti
in una posizione sempre "più debole, incerta, vacillante".
La stessa "stampa americana alla quasi unanimità commentava
favorevolmente la soluzione della questione adriatica prospettata
attraverso l'ultimo progetto di Nitti". Malgrado comunque il
completo isolamento politico, e l'ostilità anche della pubblica
opinione americana, Wilson si intestardì a continuare la sua
opposizione alle aspirazioni italiane: egli era convinto che le concessioni
già fatte fossero il massimo possibile e che francesi ed inglesi
avessero letteralmente capitolato innanzi al punto di vista italiano.
Sicchè la Jugoslavia, facendosi forte dell'appoggio del presidente
americano, potè continuare a procrastinare l'accettazione delle
proposte alleate, ed i mesi trascorsero in messaggi polemici tra il
presidente Wilson da un lato ed i restanti alleati dall'altro. Nella
realtà dei fatti Trumbic si era reso conto che l'Italia voleva
a parole l'applicazione del Patto di Londra, ma che nella realtà
faceva pressioni sugli alleati perchè costringessero la Jugoslavia
ad accettare il compromesso. L'applicazione del Patto di Londra infatti
avrebbe costretto l'Italia ad abbandonare Fiume nelle mani degli jugoslavi,
e Trumbic si era ben reso conto che quella era l'ultima cosa che Nitti
volesse, e che eventualmente fosse in grado di fare. Al fine di tentare
di sbloccare la situazione, gli alleati tornarono ad incontrarsi a
Londra nel mese di febbraio. La Conferenza, apertasi il giorno 12,
si protrasse per diversi giorni, e consentì la soluzione di
diversi problemi: ed esattamente quelli riguardanti il processo agli
ufficiali tedeschi, quelli riguardanti l'atteggiamento da tenere nei
confronti della Russia sovietica, i rapporti con la Turchia, l'Asia
Minore e le isole del Dodecanneso. Mentre, per l'opposizione di Wilson,
non fu possibile giungere ad una immediata soluzione del problema
adriatico. Sin da allora Nitti comprese che era necessario raggiungere
un compromesso direttamente con la Jugoslavia, in tal modo gli americani
non avrebbero più avuto nulla da obiettare. Sicchè,
rientràto Nitti in Italia dalla Conferenza, da quel momento
si iniziò la preparazione di un incontro con una delegazione
jugoslava, al fine di poter giungere, attraverso trattative dirette,
ad un compromesso. Dopo vari altri contatti diplomatici, italiani
e jugoslavi s'incontrarono a Pallanza, per un primo tentativo di giungere
ad un accordo. Ai colloqui di Pallanza parteciparono per l'Italia
Scialoja ed il Capo di Gabinetto Garbasso, per la Jugoslavia Pasic
e Trumbic. Ormai la Jugoslavia era disposta a cedere a quasi tutte
le pretese italiane, essendosi resa conto di non potere più
contare su un valido aiuto da parte americana. La discussione infatti
fu proficua e seppure necessariamente nel vago, pose le basi di un
accordo tra i due paesi. Le due delegazioni decisero quindi d'incontrarsi
nuovamente il seguente giorno 11. Ma proprio quel giorno, il secondo
Governo Nitti cadde su una mozione socialista e popolare, riguardante
lo sciopero dei postelegrafonici. Nitti decise allora di sospendere
le trattative con la Jugoslavia. La caduta del Governo Nitti provocò,
una vera ondata di entusiasmo tra gli estremisti sia di destra che
di sinistra. Gli insulti contro lo statista si moltiplicarono, spesso
dimostrando un certo qual gusto macabro, con annunci mortuari e funerali,
seguiti da cortei con forche e feretro. Quello stesso giorno 11 a
Trieste vennero organizzate militarmente le prime squadre fasciste.
L' Italia celebrava in realtà il funerale alla democrazia.
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Nitti in partenza
per
Parigi
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