Italo
Balbo
Ministro dell'Aeronautica
Quartesana (FE) 1896 - Tobruk (Libia) 1940Di famiglia piccolo-borghese,
repubblicano e massone, dopo studi irregolari, si dedica all'attività
giornalistica. Volontario nel maggio 1915, dopo aver partecipato
alla battaglia interventista, è destinato alle retrovie
e poi congedato. Arruolato nell'autunno 1916, presta servizio
fino all'ottobre 1918 e combatte nella battaglia del Grappa, ricevendo
numerose decorazioni (capitano degli alpini grado ottenuto per
meriti di guerra, due medaglie d'argento e una di bronzo nella
Grande Guerra). Nel 1920 si laurea in scienze politiche a Firenze.
Capo delle squadre d'azione di Ferrara (1920-1921), con l'appoggio
degli agrari, guida ripetuti raid in Emilia. Quadrunviro nella
Marcia su Roma, nel 1923 fonda a Ferrara il "Corriere padano";
a soli ventisette anni è nominato comandante generale della
Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (dal il 1922 e il
1924), due anni dopo sottosegretario all'economia nazionale. Nel
novembre del 1926 diviene sottosegretario per l'aeronautica, si
occupa di riorganizzare e di sviluppare l'aviazione italiana,
incentivandone il progresso tecnico-sportivo e lo sfruttamento
propagandistico. Promuove, in particolare, due tipi di imprese
aviatorie; le grandi crociere di formazioni di idrovolanti nel
Mediterraneo (Occidentale nel 1928 e Orientale nel 1929) e nell'Atlantico
(Rio de Janeiro nel 1931 e Chicago nel 1933) e la ricerca di primati
e di vittorie sportive, come il record di velocità ottenuto
con i 644 km orari dell'idrovolante Macchi Mc 72, con motore Fiat,
pilotato da Francesco Agelloazioni e che lo rendono famoso e ammirato
nel mondo, è nominato in quegli anni generale di squadra
aerea, poi ministro dell'aeronautica, Maresciallo dell'Aria e
viene insignito di medaglia d'oro. Balbo, ambizioso, grande organizzatore,
coraggioso, intelligente, fu senza dubbio il più brillante
tra i giovani brillanti di cui il Duce si era circondato. La sua
nomina, il 26 novembre del 1933, a Governatore della Libia, fu
la conseguenza proprio della sua popolarità, divenuta eccessiva.
Il Duce non amava avere vicino personaggi dotati di personalità
troppo spiccata e la Quarta Sponda era il luogo ideale in cui
relegare, peraltro con onore, un uomo che rischiava di far ombra
al Capo. Probabilmente la risposta alla sua popolarità
sta in quel fenomeno chiamato balbismo, un fenomeno che fu profondamente
fascista e italiano, anche se i risultati furono, disastrosi.
(Il 24 gennaio 1923 Mussolini crea il Commissariato per l'Aeronautica,
attribuendosene la direzione ed affidandolo, de facto, al vicecommissario
Aldo Finzi, sottosegretario agli Interni, un fascista della prima
ora fedelissimo e dinamico. Finzi brucia le tappe e il 28 marzo
di quell'anno nasce il corpo della Regia Aeronautica, arma indipendente,
con propria divisa, gradi e ruoli. La decisione provoca qualche
brontolio tra gli alti papaveri di Esercito e Marina, che consideravano
l'aeroplano un semplice supporto dei rispettivi domini, terrestre
e navale. Mussolini e Finzi avevano però dei piani di sviluppo
ben precisi, molto graditi anche all'industria che, dopo la stasi
conseguente alla fine della guerra, vedeva risorgere il business
delle commesse militari. E infatti quando il Duce, il 4 novembre
1923, consegna alla neonata forza la sua bandiera, sul campo di
Centocelle si trovano schierati ben trecento apparecchi. La veloce
crescita dell'Aeronautica, che potrebbe ridare fiato ai mugugni
degli alti ufficiali di Esercito e Marina, ha però come
contraltare una scelta felice; la nomina a capo di stato maggiore
del generale dell'esercito Pier Ruggiero Piccio, medaglia d'oro,
asso della prima guerra mondiale, che aveva diviso col grande
Baracca il titolo di miglior cacciatore dei cieli italiani. Insomma,
l'Aeronautica è un'Arma autonoma, ma il suo collegamento
con uno dei miti dell'esercito è uno dei molti esempi della
politica mussoliniana, fatta di mille equilibri e compromessi.
Del resto il Duce non poteva permettersi di alienarsi la simpatia
delle Forze Armate, perché l'appoggio di queste voleva
dire anche l'appoggio del Re e della complessa casta di potere
che faceva capo a Casa Savoia. E proprio Finzi, troppo dinamico
e intraprendente per la mentalità burocratica degli alti
gradi delle Forze Armate, sarà la vittima sacrificale in
questo gioco di equilibri. La crisi susseguente al delitto Matteotti
è l'occasione per Mussolini per disfarsi del fedelissimo
vicecommissario, implicato, nella sua qualità di sottosegretario
all'interno, nell'omicidio del deputato socialista. Nuovo vicecommissario
viene nominato il generale di artiglieria Alberto Bonzani, un
piemontese metodico che non indosserà mai la nuova divisa
azzurra e che presto entrerà in conflitto con i molti piloti,
provenienti dall'esercito e da lui stesso richiamati in servizio
in Aeronautica. E si trattava di un conflitto insanabile perché
i piloti, in particolare la medaglia d'oro Antonio Locatelli,
copilota con D'Annunzio nel famoso volo su Vienna, rappresentavano
la voglia di nuovo, con quell'impeto e quell'irruenza non dissimile
da quella che caratterizzava i reparti di arditi, in contrapposizione
al conservatorismo del loro comandante. Queste teste matte non
potevano andar d'accordo con il loro burocratico generale che,
tra l'altro, non era pilota né manifestava alcuna intenzione
di divenirlo. Comunque sotto la gestione di Bonzani l'Aeronautica
prese la sua prima struttura organica con la creazione dell'Accademia
di Livorno, l'arrivo dei nuovi velivoli, fino alla costituzione
del ministero per l'Aeronautica, che sostituiva il transitorio
commissariato. Mussolini ovviamente assumeva la guida del nuovo
ministero, lasciando a Bonzani il sottosegretariato. E in quegli
anni iniziava a manifestarsi, né Bonzani lo ostacolava,
il germe tipico dell'Arma, comune peraltro alle aviazioni di tutto
il mondo; la ricerca spasmodica dei record, dei voli sensazionali,
delle prestazioni sempre più clamorose, anche per scuotere
un mondo politico ancora sospettoso, o perlomeno indifferente,
verso quella che per molti era ancora una novità. Ma questa
frenesia di primati era anche l'espressione dello spirito che
animava i primi piloti, un misto di sprezzo del pericolo, arditismo,
spavalderia, passione. Il pilota d'aeroplano diveniva in quegli
anni anche una figura letteraria, seppur di letteratura minore,
protagonista di storie in cui c'era sempre una fanciulla che sospirava
al pensiero di lui, elegante nella divisa azzurra, baffetti, con
lo sguardo perso verso orizzonti così lontani da poter
essere solo sognati. Nel maggio del 1925 Mario De Bernardi conquista
il primo record significativo, con un caccia Fiat, toccando la
media di 254 km/h su circuito di 500 km. E' del mese successivo
un raid di bombardieri Fiat, capeggiati da Arturo Ferrarin, che
volano da Roma a Londra, con tappe a Parigi e Bruxelles. Ma sarà
un giovane e impetuoso ufficiale di marina a stupire ed entusiasmare
l'opinione pubblica e ad attirare definitivamente l'attenzione
di Mussolini sull'aeronautica. Francesco De Pinedo, di aristocratica
famiglia napoletana, era tenente di vascello durante la grande
guerra. Nel 1917, affascinato dal nuovo mezzo bellico, aveva preso
il brevetto di volo in soli quarantacinque giorni e subito si
era messo in luce per le sue capacità aviatorie. Dopo la
guerra era stato per qualche tempo comandante dello yacht reale,
ma un'eccessiva confidenza con una delle figlie del Re, Giovanna,
(che sposerà poi Re Boris di Bulgaria) aveva posto bruscamente
fine a quest'incarico. De Pinedo non se ne dolse troppo; era un
comando di prestigio, ma alla lunga monotono per un uomo come
lui, smanioso di azione. E quale Arma poteva soddisfare questa
smania meglio della nuovissima e avveniristica Arma Azzurra. Nel
1924, a soli trentaquattro anni, De Pinedo diventa tenente colonnello
di aeronautica, con l'incarico di capo di Stato maggiore del comando
generale. Ma era un incarico intriso di scartoffie e polvere;
l'ex marinaio aveva in mente ben altro e il generale Bonzani inizia
ad essere bombardato dal suo collaboratore che progetta un raid
aereo di ben 55.000 chilometri; da Roma a Tokio, passando per
l'Australia, e relativo ritorno. De Pinedo tiene duro contro l'iniziale
muro di incomprensioni, ostruzionismi e mancanza di fondi. Muove
tutte le sue altolocate amicizie e alla fine il generale Bonzani
deve cedere. De Pinedo non improvvisa; prepara scrupolosamente
l'impresa, scegliendo come compagno di viaggio un tecnico esperto,
il maresciallo motorista Ernesto Campanelli. Il viaggio è
studiato miglio per miglio, De Pinedo si immerge anche negli studi
meteorologici, dovendo il volo attraversare continenti dai climi
così diversi e impegnativi. Finalmente il 20 aprile 1925
dalle acque del Lago Maggiore si alza in volo l'idrovolante SIAI
Savoia S.16 ter, munito di motore Lorraine da 450 HP. De Pinedo
e Campanelli, vincendo mille difficoltà e rischiando spesso
la vita, iniziano un viaggio che, per quei tempi, aveva del formidabile.
Bandar Abbas, Karachi, Bombay, e poi, alle ore 15 del 9 giugno,
l'idrovolante si posa sulle acque di Melbourne, davanti a una
folla di decine di migliaia di australiani entusiasti, era il
terzo velivolo che giungeva dall'Europa, ma gli altri due avevano
compiuto il viaggio in tempi molto più lunghi. Il 26 settembre
il Savoia S. 16 ter dei due ardimentosi tocca le acque di Tokio,
dopo una sosta forzata a Manila, bloccati dai tifoni, e una sostituzione
del motore. Il 7 novembre, alle ore 15,10, il ritorno trionfale
a Roma l'idrovolante si poggia sulle acque del Tevere e anche
i flemmatici romani si fanno travolgere dall'entusiasmo. Tra i
primi ad abbracciare De Pinedo e Campanelli c'era lo stesso Mussolini.
Il Duce si stava convincendo sempre più che quelle gare
di ardimenti e di primati avrebbero attirato al regime il consenso
entusiasta di milioni di italiani, in Italia e all'estero. Inoltre
l'Arma Azzurra si mostrava la più rispondente a quegli
ideali di vitalismo e dinamicità propri del primo fascismo;
era l'Arma che poteva smuovere l'indolenza del popolo italiano.
Il 6 novembre del 1926 Italo Balbo veniva nominato sottosegretario
dell'Aeronautica. Il giorno prima il generale Bonzani aveva ricevuto
una cordiale lettera di benservito dal Duce. Il 1926 era stato
l'anno in cui Mussolini aveva conquistato definitivamente lo Stato,
sapendo approfittare astutamente del delitto Matteotti, favorito
dalla pochezza dell'opposizione aventiniana. Le leggi liberticide
seguite all'aggressivo discorso alla Camera del 3 gennaio 1926
avevano tolto gli ultimi ostacoli all'instaurazione del regime.
Ora un Duce rinfrancato poteva dedicarsi con rinnovato vigore
alla fascistizzazione del paese; ma Mussolini era troppo intelligente
per non ricordare i debiti di riconoscenza che aveva, principalmente
verso Casa Savoia e verso le Forze Armate, che lo avevano appoggiato
nei difficili mesi della crisi seguita all'uccisione di Matteotti.
Ma l'aperto appoggio di Mussolini alle alte cariche militari,
con l'istituzione del ruolo di Maresciallo e con la nomina di
Badoglio a capo di stato maggiore generale, aveva anche ridato
voce all'avversione, mai sopita, dei vari ras del fascismo contro
l'esercito monarchico. Era necessario quindi dare una soddisfazione
anche al partito. E l'Arma Azzurra, già apprezzata come
ottimo veicolo di propaganda dopo le imprese di De Pinedo aveva
il vantaggio di essere nuova, di non avere tradizioni, di contare
nei suoi ranghi già molti di quegli entusiasti (o sfrenati)
che si riconoscevano nel dinamismo fascista). Mancava solo un
capo fascista all'Arma, e la scelta di Balbo fu felice non solo
per le indubbie qualità dell'uomo, ma anche perché
liberava Mussolini da un'altra preoccupazione; Balbo libero nel
suo feudo di Ferrara era un elemento troppo centrifugo; viceversa,
ora doveva incanalare le sue esuberanti energie in un compito
istituzionale, così impegnativo che non gli avrebbe più
lasciato il tempo per occuparsi d'altro. Italo Balbo si gettò
con entusiasmo nel nuovo incarico, che avrebbe fatto tremare vene
e polsi a chiunque. L'Arma ereditata dal generale Bonzani era
nuova, ancora alquanto povera di bilanci, ma premuta da molteplici
esigenze, quali il rinnovo del parco velivoli, gli impegni connessi
alla conquista di record, ma anche l'esigenza di divenire uno
strumento bellico a tutti gli effetti. L'aeronautica non aveva
una sua dottrina militare, ma come arma fascista per eccellenza
doveva comunque brillare. E Balbo mise mano a questa congerie
di problemi, dando vita negli anni al balbismo. Appena giunto
al vertice dell'Arma, non fece l'errore del suo predecessore e
prese subito il brevetto di pilota. Giulio Douhet, ufficiale di
artiglieria, era uno dei pochi veri talenti teorici delle Forze
Armate. Grande sostenitore dell'arma aerea e della sua autonomia,
aveva pubblicato nel 1921 un volumetto, Il dominio dell'aria,
nel quale rivendicava per l'aereo un ruolo decisivo nella guerra
futura. Balbo, come tutti i principali leader fascisti, non amava
le teorie, ma si scoprì sostenitore del Douhet per affrontare
la sua prima battaglia, quella dell'autonomia anche operativa
dell'aeronautica, che non poteva in alcun modo essere assoggettata
alle altre forze armate e quindi doveva prepararsi a una sua guerra.
Da questo postulato derivavano conseguenze pratiche; più
ampi stanziamenti di bilancio e il divieto per la Marina e l'Esercito
di disporre di propri reparti aerei. Insomma Balbo, giunto al
potere, iniziava a lavorare per consolidarlo, ma nella rivendicazione
della unicità dell'aviazione avrebbe avuto comunque il
sostegno mussoliniano. Fu da questi concetti che nacque il divieto
per la Marina di dotarsi di navi portaerei, e le conseguenze di
questa decisione si sarebbero a suo tempo viste, quando nel secondo
conflitto mondiale i nostri convogli per la Libia subirono i continui
attacchi della flotta inglese, che trovava facili bersagli in
navi scarsamente armate e mal protette da una forza aerea indipendente
che interveniva quando e come poteva. Insomma, le teorie di Douhet
erano strumentalizzate per puri fini di potere e la prova migliore
la diede lo stesso Balbo che alla Camera ammise tranquillamente
(23 marzo del 1928) che l'aeronautica "non aveva una vera
e propria dottrina di guerra fissata in canoni rigidi e immutabili".
In concreto l'Aeronautica di Balbo continuava a svilupparsi in
modo caotico, privilegiando sia bombardieri che caccia, con una
particolare preferenza per gli idrovolanti. Eppure all'Arma Azzurra
non mancavano certo, oltre al sottosegretario Balbo, le personalità
capaci e di spicco che avrebbero potuto fare dell'aeronautica
un organismo militare efficiente. Ma il balbismo imponeva un'attività
frenetica di conquista di primati e di prestigio che metteva in
secondo piano tutto il resto. Francesco De Pinedo, il Re delle
distanze, veniva spinto da Balbo e dallo stesso Mussolini a intraprendere
un'altra spettacolare crociera individuale. Si era alla fine del
1926 e mentre Lindbergh si apprestava alla traversata atlantica
solitaria, De Pinedo metteva a punto un piano molto ambizioso;
l'attraversamento dell'Atlantico dall'Africa al Sud America, seguito
dal passaggio sopra l'intero territorio degli Stati Uniti e dal
riattraversamento dell'Atlantico con rotta verso l'Europa. L'aereo
prescelto fu un idrovolante monoplano SIAI S.55, potenziato con
una coppia di motori Asso in tandem, da 500 HP. Gli scafi di galleggiamento
sarebbero stati riempiti di benzina e di lubrificante per aumentare
al massimo l'autonomia. L'aereo, con De Pinedo ai comandi, motorista
Vitale Zacchetti, tecnico della Isotta Fraschini, e secondo pilota
il capitano Carlo Del Prete, si alza in volo l'8 febbraio del
1927 dall'idroscalo di Elmas, in Sardegna. L'impresa si concluderà,
superati mille pericoli e difficoltà, il 16 giugno, con
l'ammaraggio al Lido di Ostia e gli abbracci di Mussolini, del
Maresciallo Diaz, di Balbo e della Duchessa di Aosta. Era l'apoteosi
per De Pinedo, eroe solitario dell'aria; ma proprio le peripezie
di quest'ultima impresa spinsero Balbo a cambiare politica circa
i raid; non più imprese individuali, affidate al coraggio
e alla buona sorte, ma spettacolari viaggi di numerosi apparecchi
militari, sorretti da una preparazione oculata e metodica. Balbo
mirava a fondere l'impresa sportiva con una dimostrazione di alta
efficienza bellica; un'iniziativa che non poteva che trovare il
consenso del Duce. Dal 25 maggio al 2 giugno 1928 ben 60 idrovolanti
militari tra S.59 (biplano biposto con motore da 500 HP), e S.
55, più un Cant 22, adibito al trasporto di autorità
e giornalisti, percorsero in sei impegnative tappe i cieli del
sud della Francia e della Spagna, sorretti dall'appoggio di due
cacciatorpediniere; navi ed aerei erano in costante contatto radio.
Il Duce, entusiasta di questa possente manifestazione, volle andare
personalmente ad Orbetello, accompagnato da Balbo (per l'occasione
in divisa di generale della Milizia) per felicitarsi con gli equipaggi.
E iniziarono le frizioni tra De Pinedo (che si considerava, e
lo era, il vero artefice del raid) e Balbo, che per l'impresa
ricevette da Mussolini la nomina a generale di squadra aerea.
Era una nomina chiaramente politica, attribuita ad un uomo che
poteva vantare solo il grado di capitano di complemento degli
alpini, e che voleva sottolineare il carattere più politico
che militare della clamorosa manifestazione aerea, che era e doveva
restare fascista. A De Pinedo venne dato il premio di consolazione
il conferimento del marchesato di casa Savoia e la nomina a generale
di divisione aerea. Ma De Pinedo aveva iniziato a mettere il dito
nella piaga, con critiche che coglievano nel segno la frenesia
dei raid spettacolari distraeva fondi enormi, privilegiava l'addestramento
di pochi nuclei di piloti e spingeva il ministero a sperimentazioni
continue sui più diversi tipi di aerei, con grande gioia
delle industrie produttrici, ma a tutto danno di un'equilibrata
preparazione ed organizzazione dell'arma. La polemica era così
viva che Balbo dovette imperativamente imporre a De Pinedo la
partecipazione al successivo raid 41 aerei (di cui 37 idrovolanti
SIAI S. 55), decollando da Orbetello il 5 giugno 1929, sorvolarono
Grecia, Turchia, Bulgaria, Romania, con scalo finale a Odessa,
in URSS. Il 19 giugno avvenne lo spettacolare rientro della formazione
serrata sui cieli di Orbetello; il 21 giugno ai complimenti del
Duce si aggiunsero quelli del Re. Ormai il balbismo, sanzionato
anche da Vittorio Emanuele III, si è completamente affermato
De Pinedo si dimette e Mussolini è ben contento di accogliere
le dimissioni di un uomo ormai considerato come un rompiscatole,
non in grado di comprendere le necessità del regime. Il
12 settembre del 1929 Balbo diventa ministro dell'Aeronautica,
il Duce aveva deciso di disfarsi della titolarità dei ministeri
militari, ormai sicuro della fedeltà delle Forze Armate.
Nella sua frenetica attività il neo ministro non aveva
solo organizzato raid collettivi; aveva dato vita anche a nuovi
organismi; il centro studi di Montecelio, diretto dall'ingegner
Guidoni, che avrebbe dovuto, almeno in teoria, coordinare e promuovere
lo sviluppo aeronautico, sino ad allora rimasto in mano alle case
costruttrici, e la scuola di Alta velocità, a Desenzano
del Garda. In particolare quest'ultimo organismo coinvolse praticamente
tutte le ditte impegnate nel settore aeronautico (Macchi, Fiat,
SIAI; Piaggio, Caproni ed altre minori) nello studio di motori
e carlinghe particolarmente adatti alle alte velocità.
(Da questo centro sarebbero usciti primatisti come il maresciallo
Francesco Agello che il 23 ottobre 1934 avrebbe portato un idrovolante
Castoldi MC72 con motore Fiat alla velocità di 711 km/h.)
E proprio la Scuola di Alta velocità è uno degli
esempi migliori delle contraddizioni del balbismo, i rilevanti
risultati scientifici e tecnici non si trasfusero mai in miglioramenti
nella complessiva dotazione aerea del paese, quasi che piloti,
tecnici e scienziati lavorassero per conquistare primati fini
a sé stessi. Ma un altro effetto grave derivava da ciò,
il trionfo dell'apparenza. L'effetto spettacolare dei raid e i
successi personali di grandi piloti (ricordiamo, oltre ad Agello,
Ferrarin, De Bernardi, Maddalena, Del Prete) facevano maturare
la convinzione di un'arma aerea efficiente e poderosa. Ma la realtà
era ben più misera, era quella denunciata da De Pinedo;
aerei da caccia e bombardieri con velocità limitate, un
parco di veicoli da combattimenti indietro di almeno una diecina
d'anni. Ma tutto ciò non preoccupava granché il
regime, che preparava un'altra spettacolare impresa la trasvolata
atlantica con uno stormo di idrovolanti. Nei 32 tentativi di voli
oceanici fino a quel momento effettuati nel mondo, avevano trovato
la morte ben 22 piloti. Era quindi un traguardo con cui l'Aeronautica
fascista non poteva non misurarsi, e a questo traguardo Balbo
si preparò con assoluta meticolosità. I piloti,
selezionati tra i migliori, frequentarono la scuola di Navigazione
Aerea d'Alto Mare, diretta dal maggiore Ulisse Longo. Vennero
addestrati al volo cieco e alla pratica delle comunicazioni radio.
Dopo un intenso addestramento, il 17 dicembre 1930 decollarono
da Orbetello dodici idrovolanti S. 55 adattati per il volo oceanico,
con l'appoggio di cinque cacciatorpediniere. Superando non poche
difficoltà, dovute al cattivo funzionamento dei motori
Fiat, undici aerei riuscirono, il 15 gennaio 1931, ad ammarare
a Rio de Janeiro, dopo aver percorso diecimila chilometri. Era
la prima volta che una formazione aerea attraversava l'Atlantico
e i trasvolatori ricevettero all'arrivo il telegramma di congratulazioni
di Mussolini, che salutava "un pugno di uomini, figli della
nuova Italia". Balbo, sempre più lanciato, mette allo
studio nientemeno che un giro del mondo, da effettuarsi nel 1932,
nel quadro delle manifestazioni per la celebrazione del decennale
della Marcia su Roma. Ma la guerra cino - giapponese (che preclude
i cieli dell'estremo oriente) e l'arrivo dell'onda lunga della
recessione americana (che poneva seri problemi a tutti i bilanci)
fanno accantonare il faraonico progetto; o meglio, convincono
l'instancabile Ministro dell'aeronautica a ripiegare su un più
modesto raid Orbetello - Chicago - New York - Ostia. Mussolini,
che incomincia a nutrire dubbi sul frenetico attivismo del suo
ministro, approva però questo progetto e Balbo può
dare il via ad un'altra grandiosa organizzazione. Lungo il percorso
saranno dislocate sei baleniere, due vedette e due sommergibili.
Tre stazioni meteorologiche, appositamente allestite in Groenlandia,
avrebbero fornito agli equipaggi, via radio, i bollettini necessari.
Il 7 luglio 1933 decollano da Orbetello venticinque S. 55, muniti
questa volta di due motori Isotta Fraschini da 930 HP. Il sorvolo
delle Alpi in formazione serrata da parte di un così rilevante
numero di idrovolanti è già in sé un successo.
Le tappe successive sono in Islanda, in Canada, per ammarare infine
a Chicago e successivamente a New York. Il 21 luglio a Balbo e
ai suoi piloti viene riservato il trionfo di Broadway; sulle auto
scoperte i trasvolatori ricevono l'applauso della folla assiepata,
mentre milioni di strisce di carta piovono dalle finestre. Balbo
stava entrando nella leggenda e Mussolini lo premia col grado
di Maresciallo dell'aria e con un trionfo in stile romano. Ma
il successo eccezionale ha fatto perdere a Balbo il senso della
misura. Giunge a Mussolini una lettera, in cui il Ministro trasvolatore
propone al Duce una riorganizzazione di tutte le Forze Armate,
con chiara preminenza dell'Aeronautica, nonché una riforma
del ruolo di capo di Stato maggiore generale (con una sottintesa
autocandidatura). Mussolini si convince che Balbo è da
accantonare, il 5 novembre 1933 l'eroe di Broadway riceve una
lettera in cui il Duce gli comunica la propria intenzione di riassumere
"per ragioni politiche" nelle sue mani i ministeri militari,
e contemporaneamente lo nomina governatore della Libia. Si trattava
di un vero pugno nello stomaco, scarsamente lenito dagli immancabili
ringraziamenti "per l'opera da te compiuta" (ma qualche
giorno dopo giunse a Balbo una lettera che di certo lo lasciò
di stucco. Mussolini gli comunicava che "avendo proceduto
alle necessarie discriminazioni" aveva potuto determinare
in 911 il numero esatto degli apparecchi in efficienza bellica,
contro i 3.125 denunciati da Balbo nel passare le consegne al
generale Giuseppe Valle, suo successore al comando dell'Aeronautica.
Si trattava di un colpo basso. Il Duce faceva sapere al suo ex
ministro di averlo controllato, di aver scoperto che era un bugiardo,
che gonfiava le cifre per mostrare un'efficienza bellica che non
esisteva). Era un colpo basso, tanto più considerando che
Mussolini aveva sempre appoggiato la politica di spettacolarità,
preoccupandosi poco o punto della reale consistenza delle forze.
Ma, come era sua abitudine, su ogni suo collaboratore raccoglieva
il dossier, pronto a servirsene al momento buono. E il messaggio
a Balbo era chiaro; il suo gioco era scoperto, non poteva aspirare
a fare polemiche o fronde nell'ambiente aeronautico. Il successore
di Balbo, il generale Valle, un uomo grigio, buon burocrate ed
esecutore di ordini,(scelto da Mussolini proprio perché
docile e normalizzatore, non ha il carisma di Balbo per imporre
una diversa mentalità a piloti avvezzi a considerarsi più
sportivi che soldati, Valle non ha le capacità organizzative
per imporsi su un'industria che ha vissuto per anni sulle commesse
più disparate, senza piani organici) non saprà mutare
politica. Nel 1937 Balbo assume il comando delle forze armate
in Africa settentrionale. Nell'imminenza dell'intervento italiano
nella seconda guerra mondiale organizza l'offensiva aerea in Libia;
il 28 giugno 1940 l'aereo da lui pilotato viene abbattuto a Tobruk
dalla contraerea italiana.
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