Il
primo dicembre si riaprì il nuovo Parlamento italiano con i
nuovi schieramenti politici determinati dalle elezioni. Tradizionalmente
tutti i deputati giuravano fedeltà alla Costituzione ad al
Re, quindi seguiva il discorso della corona. Per il passato i deputati
socialisti si erano sempre astenuti dalla seduta inaugurale, nel corso
della quale il Re leggeva il discorso della corona all'intero Parlamento.
Essi prestavano giuramento da soli, alcuni giorni dopo, facendo di
tutto per far capire che essi si piegavano a questa esigenza, solo
perché una legge, ch'essi ritenevano sciocca, ve li obbligava.
In questa circostanza, imbaldanziti dal recente successo elettorale,
i socialisti decisero di partecipare alla seduta inaugurale, ed inscenare
nel corso di questa manifestazione di ostilità alla corona,
in modo che non restasse alcun dubbio circa i loro intendimenti rivoluzionari,
ripetutamente dichiarati. Per loro il re d'Italia era da abbattere
così come era stato abbattuto lo zar di Russia. Il fascino
esercitato dalla rivoluzione bolscevica in Russia era tale da influenzare
completamente il loro modo di agire. Essi si erano presentati alle
elezioni non per partecipare alla vita politica del Parlamento, bensì
per boicottarlo dall'interno, iniziando quell'opera di distruzione,
alla quale e per la quale l'intero partito era stato mobilitato. Ma
seguiamo a questo punto la descrizione della seduta che Gaetano Salvemini,
ci ha lasciato. Egli, nella sua qualità di giornalista, era
presente alla stessa. "Il Re - scrive il Salvemini - entrò
nell'aula zoppicando, circondato dai principi del sangue, compreso
il Duca d'Aosta, tutti molto più alti di lui facendolo quindi
sembrare più piccino che mai. I socialisti, in gruppo compatto,
coprivano tre settori dell'estrema sinistra. I socialisti di destra,
legati alla disciplina di partito, erano insieme ai massimalisti;
i pochi repubblicani occupavano i seggi vicino ai socialisti. Il Re
aveva appena raggiunto il trono che i socialisti e i repubblicani
si alzarono tutti insieme uscendo da una porta laterale, i massimalisti
gridando "Viva il socialismo", mentre repubblicani e socialisti
di destra si astennero da qualsiasi grido. Poco a poco, via via che
uscivano, deputati e senatori degli altri partiti occuparono i loro
posti. Il Re, in piedi su uno sgabello preparato davanti al suo seggio
perché sembrasse meno piccolo, le mani incrociate su l'impugnatura
della spada, cercava, senza riuscirci, di assumere un'aria maestosa;
i suoi occhi incerti e sbigottiti sembravan quelli di un cane uscito
allora dall'acqua dopo aver corso il rischio di annegare. Cessati
i clamori dei deputati uscenti e gli applausi dei deputati e senatori
rimasti, la cerimonia potè cominciare concludendosi senza altri
incidenti. "Si determinò per le vie di Roma una grande
controdimostrazione lealistica, in parte organizzata in parte spontanea:
una folla acclamante seguì la berlina dei sovrani all'uscita
da Montecitorio e divenne fittissima in piazza del Quirinale. I reali
apparvero tre volte al balcone, fra un delirio di applausi. I prossimità
di Montecitorio gruppi di studenti e ufficiali malmenarono alcuni
deputati socialisti (Vella, Romita, Lucio Serrati, Barberis, Murari),
senza conseguenze peggiori di quella grave in sé, dell'offesa
a membri del Parlamento. Fatti sanguinosi accaddero, invece, nei due
giorni immediatamente successivi. Proclamato uno sciopero generale
di protesta a Roma, esteso poi a Milano, Genova, Torino, Bologna,
Napoli e molte altre località, scoppiarono dovunque disordini
e violenze. Ufficiali in divisa furono presi di mira dagli scioperanti
e percorsi duramente; anche giovanissimi studenti delle scuole medie
furono picchiati a sangue. A Torino venne assaltato l'Istituto Tecnico;
parecchi giovani morirono. A Mantova bande di facinorosi devastarono
la stazione ferroviaria e uccisero il proprietario del buffet, assaltarono
il tribunale bruciando gli atti dei processi, liberarono i detenuti
del carcere e incendiarono l'edificio, misero a sacco i magazzini
e le botteghe, spogliando tutti i negozi di armaiolo. Nessuna difesa
fu tentata dalla forza pubblica: 48 ore dopo nelle due maggiori città
del Nord, Milano e Torino, i funerali di un carabiniere e di uno studente
uccisi risultarono imponentissimi, con tutto l'aspetto di una controdimostrazione
politica. Abbiamo visto e considerato come la nuova struttura del
Parlamento non consentisse alcuna organica maggioranza, senza l'apporto
determinante di voti di uno dei nuovi partiti di massa, cioè
o dei socialisti o dei popolari. Il nuovo Parlamento elesse nuovamente
a Presidente del Consiglio dei ministri I'on. Nitti, il quale riuscì
a raccogliere intorno a se la corrente giolittiana ed i popolari,
che dettero soltanto un appoggio esterno, senza partecipare direttamente
al governo. Sicchè mentre la sedizione militare serpeggiava
tra le file dell'esercito si rendeva sempre più difficile,
in un momento in cui ci sarebbe stato bisogno di governo forte ed
in grado di governare con energia, si varava un ministero raccogliticcio,
privo di una effettiva ed omogenea maggioranza parlamentare. In pratica
il Parlamento non dava alcun effettivo potere al governo Nitti, che
dovette quindi vivere la sua vita stentatamente, cercando con ogni
mezzo di evitare il confronto diretto con le altre forze politiche.
Nitti avrebbe dovuto invece affrontarle direttamente, costringendole
ad impegnarsi seriamente nel programmi, che con urgenza l'Italia richiedeva.
Di conseguenza il governo Nitti, al fine di provvedere alle esigenze
più urgenti del Paese, fu costretto a fare ricorso con grande
frequenza allo strumento del decreto legge, evitando accuratamente
il confronto diretto col Parlamento.
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