Il
7 maggio mattina Orlando rientrò alla Conferenza di pace a
Parigi. Egli giunse appena in tempo per assistere nel corso del pomeriggio
alla consegna delle condizioni di pace ai delegati tedeschi. "Da
tutto quello che è stato detto e scritto, e dato il silenzio
dei nostri delegati (chi tace, in questo caso, sembra proprio confermare)
- risulta che gli on. Orlando e Sonnino non hanno ricevuto nessun
invito da parte dei tre. O se invito c'è stato, ha avuto la
forma di una intimidazione. Quei signori di Francia ed Inghilterra
e degli Stati Uniti, devono aver tenuto, a mezzo dei loro ambasciatori,
questo discorso: Signori delegati italiani, vi avvertiamo che il giorno
tale all'ora tale sarà consegnato il trattato di pace ai rappresentanti
della Germania. Se ci sarete, bene; se non ci sarete, avrete torto,
perchè non dilazioneremo la consegna e procederemo anche se
sarete assenti. Davanti a questo invito-ultimatum, contornato da qualcuna
delle solite frasi saccarinate che danno la nausea, è chiaro
che ai nostri delegati, non rimaneva che prendere il treno per Parigi.
Dopo 15 giorni dalla famosa rottura, la nostra diplomazia è
ancora sul binario morto. Nessuna novità in vista, in senso
positivo, ma molte novità in senso negativo. Poichè
era stato già preparato il testo del progetto di trattato di
pace con la Germania, ed in esso si faceva cenno all'Italia, gli alleati
volevano inserire il nome della nostra nazione a penna, mentre tutto
il rimanente testo era a stampa. Dovette intervenire il nostro ambasciatore
Crespi, il quale, minacciando uno scandalo, ottenne la ristampa cmpleta
del preambolo ed in tal modo anche il nome "Italia" comparve
a stampa e così si potè almeno salvare la faccia. Seguirono
quindi alla consegna del progetto di trattato lunghe discussioni con
gli alleati tedeschi. A queste, Orlando partecipò in modo molto
scarso, soprattutto nel corso dei primi giorni, visse in uno stato
di completo isolamento, quasi tollerato dai restanti delegati delle
grandi potenze. Frattanto si cercò di giungere ad un qualche
compromesso circa il confine tra Italia e Jugoslavia. Vi furono diversi
tentativi di compromesso: il così detto progetto Miller, che
prevedeva Fiume indipendente col porto libero sotto la protezione
della Società delle Nazioni; la Dalmazia interamente alla Jugoslavia;
Zara e Sebenico all'ltalia come porti liberi; le isole quasi tutte
all'Italia. Ma Wilson ormai era convinto di non dover cedere nessun
territorio all'Italia rispetto alla linea da lui già tracciata
in Istria, sicchè respinse anche questa proposta, che, per
allora era ritenuta anche da Orlando inaccettabile. In prosieguo di
tempo sembrò che si potesse giungere ad un accordo sulla questione
dalmata, in base al così detto pianoi Tardieu, accettato in
linea di massima dall'Italia, ma respinto da Wilson con una rigidità
incomprensibile. Secondo questo compromesso si sarebbe avuto: Fiume,
stato libero sotto la garanzia degli alleati; Zara e Sebenico e quasi
tutte le isole all'Italia. Ma Wilson non accettò neanche questo
piano affermando che l'lstria orientale doveva rimanere agli jugoslavi.
Così non si giunse ad alcun compromesso per cui la questione
adriatica venne monentaneamente accantonata. Altre difficoltà
si ebbero per l'Asia Minore. In base all'art. 9 del Patto di Londra
era abolito il diritto dell'Italia di ottenere una parte della regione
mediterranea nel pressi della provincia di Adalia. Questa disposizione
era stata ribadita da un accordo franco-italo-britannico del 1917
e per esso era stata attribuita all'Italia in amministrazione tutta
I'Anatolia meridionale, includendovi anche Smirne. Il Patto di Londra
affermava che la zona d'influenza italiana sarebbe stata assegnata
con il consenso della Russia. Essendo con la rivoluzione cambiata
del tutto la forma di governo in Russia, questo consenso non si ebbe;
da ciò i governi di Francia ed Inghilterra traevano la convinzione
che gli accordi precedenti dovessero essere denunziati e dovessero
essere dichiarati decaduti. L'Italia riteneva invece che gli accordi
fossero pienamente validi in quanto il consenso della Russia non poteva
giungere per il cambiamento della forma istituzionale dello stato
russo, ma tuttavia detti accordi vincolavano francesi ed inglesi.
In Anatolia era concorrente dell'Italia la Grecia, e Lloyd George,
ellenofilo all'eccesso, si dimostrò ben disposto ad accogliere
le richieste della Grecia di Venizelos a danno dell'Italia. Ai primi
di maggio, assenti i delegati italiani, i tre grandi attribuirono
la sovranità di Smirne alla Grecia, senza neppure informare
tempestivamente il nostra Governo. Essi affermarono che l'ltalia si
era resa indegna di governare Smirne, avendo commesso atti brutali
contro la popolazione, che aveva proclamato la sua fedeIltà
alla Grecia. Questa affermazione si è dimostrata del tutto
falsa, e semmai, se atti brutali vennero commessi, questi furono commessi
dai Greci contro quegli abitanti riottosi ad accettare il loro governo.
Le trattative per la pace a Parigi quindi, assente l'ltalia, si trascinarono
stancamente tra mille piccole ripicche, senza che nessuno avesse una
chiara visione dei problemi posti dalla pace nel mondo. Quale meraviglia
quindi se di lì a pochi anni scoppiò la seconda guerra
mondiale? Già nel trattato di pace di Versailles erano contenuti
i germi della futura discordia, che avrebbe provocato il secondo conflitto
mondiale. Anche per quanto riguarda le questioni relative alle colonie,
le aspirazioni italiane vennero gravemente deluse. L'Italia sperava
di ottenere il congiungimento dell'Eritrea e della Somalia, assorbendo
la Somalia francese e quella britannica. Inoltre l'Italia sperava
ad una possibile espansione della sua influenza verso l'Etiopia. Ma
dello stesso parere non furono i francesi, gl'inglesi e gli statunitensi,
che, dopo essersi spartite tutte le ex-colonie tedesche, rimandarono
ad altro momento l'esame dei compensi che per il Patto di Londra sarebbero
spettati all'Italia. Alcuni giorni prima che gli italiani ritornassero
alla Conferenza essi procedettero alIa spartizione delle ex colonie,
senza contare il loro alleato. "II ritorno di Orlando e Sonnino
a Parigi riuscì quasi del tutto infruttuoso: fu risolta a nostro
favore la questione della ripartizione della flotta mercantile austriaca.
Tuttavia, il ritorno evitò una rottura con gli alleato che
sarebbe riuscita sommamente pregiudizievole, e non per noi soltanto;
e mantenne una piattaforma per un'intesa futura. L'ultima proposta,
riguardante le rivendicazioni dalmatiche dell'Italia, si ebbe il 7
giugno con il così detto memorandum Wilson. Questo documento,
attentamente esaminato dagl'italiani, fu respinto poichè le
condizioni formulate da Wilson, peggioravano quelle comprese nel progetto
Tardieu, che gli italiani già ritenevano il massimo delle concessioni
ch'essi potevano fare sulla questione adriatica. Così lo stesso
Vittorio Emanuele Orlando ci dà notizia delle proposte del
presidente americano: "Wilson consentiva il confine italiano
a Punta Fianona, seguendo la linea del Monte Maggiore; creava lo stato
intermedio, non da Volosca, come nel progetto Tardieu e, quindi, senza
più la continuità fisica dell'Italia con Fiume, e prolungava
poi per le Alpi i confini di questo nuovo Stato fino ad includervi
Idria e Adelberg, consentiva il plebiscito non per le zone ma globale,
ci dava le essenziali isole strategiche, quella mirabile, direi, controfedera
della sponda orientale dell'Adriatico, che comincia dal gruppo di
Lussino scende giù per l'Isola Grossa coI dedalo delle isole
fra Zara e Sebenico e, attraverso la costa, dà la mano a Lissa,
col magnifico porto Tailor, ed infine di Zara faceva una città
libera, ma affidandone all'ltalia ogni rapporto con l'estero."
Il 2 giugno Orlando e Aldrovandi ritornarono a Roma. Le trattative
con gli alleati erano definitivamente fallite. Giustamente Orlando
temeva che l'esito sfavorevole del negoziato di pace avesse delle
ripercussioni alla Camera, nei confronti del suo Governo. Ed in effetti
avvenne proprio che il 19 giugno 1919, la Camera votasse contro il
Governo Orlando-Sonnino, facendolo cadere e dando vita ad un nuovo
Governo, presieduto da Nitti e con il nuovo ministro degli Esteri
Tittoni. Così Mussolini si esprimeva a proposito della Conferenza
di pace a Parigi. Il suo attacco era rivolto particolarmente contro
Orlando e trovava toni pugnaci, e nel contempo volgari: "Quel
gruppo di uomini, appestati e sifilizzati di parlamentarismo, molti
dei quali appartengono per temperamento e per idee alla malfamata
tribù giolittiana, e che oggi hanno nelle mani arteriosclerotizzate
i destini d'Italia, quel gruppo di uomini che si chiamano ministri,
non meriItano altra definizione se non questa: di bastardi, di deficienti,
di mistificatori e tutto ciò al superlativo per quel che riguarda
il loro capo che si diverte a Parigi, in quel covo di damazze equivoche,
di funzionari perditempo e di giornalisti sbafatori che è I'Eduardo
VII". E' destino triste che la dignità d'ltalia sia andata
a naufragare in un albergo dei boulevards. Dal Grappa, dal San Michele,
dal Carso, dal Monte Santo, dal Col di Lana, all' "Eduardo VII",
quale salto quale abisso! L'uomo che ebbe gran parte di responsabilità
nella Caporetto militare, sta preparando, incoscientemente perchè
si tratta di un rammollito che si tira innanzi a furia di zabaglioni
concentrati, la Caporetto diplomatica per l'Italia... Quel governo
che non ha voluto l'annessione, perchè tra la volontà
del popolo italiano, chiaramente espressa, e quella delle potenze
straniere, quest'ultima - sola - vale, sta esaurendosi oggi nelle
interminabili discussioni parigine le non hanno una fine per la semplice
ragione che non hanno mai avuto un principio. Il popolo ignora. Da
due mesi, ormai, è tenuto all'oscuro. Di quando in quando un
comunicato ufficiale di venti righe è ciò che dà
da leggere agI'italiani. Di solido, non c'è niente. L'on. Orlando,
anima di avvocato e di deputato, che non ha sentito la guerra, non
solo perchè non l'ha fatta, ma perchè è rimasta
fondamentalmente estranea al suo spirito "cattedratico"
e professorale, non comprende che la lunga e inutile contrattazione
di Parigi è l'assassinio vero e proprio dell'onore d'Italia."
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Giornalisti
e militari seguono
la Conferenza per la pace
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