Discorso
pronunciato il 4 giugno 1932 nella cerimonia dello scoprimento
del monumento di Anita Garibaldi
Sire, Graziosa Regina, il monumento che su questo colle garibaldino
il Governo fascista ha voluto dedicare alla memoria di Anita,
la rappresenta galoppante, nell'atteggiamento di guerriera che
insegue il nemico e di madre che protegge il figlio. L'artista
insigne ci ha così dato, oltre l'effigie, lo spirito di
Anita che conciliò sempre, durante la rapida avventurosa
sua vita, i doveri alti della madre con quelli della combattente
intrepida a fianco di Garibaldi. È nel cinquantenario della
morte dell'Eroe, cinquantenario che volemmo celebrato come nazionale
solennità, che il monumento si inaugura alla Vostra Augusta
presenza, alla presenza dei discendenti di Garibaldi e dei prodi
veterani garibaldini, alla presenza ideale di tutto il popolo
italiano. Di Garibaldi fu detto, e prima e dopo la morte, dalla
storia, dall'arte, dalla poesia, dalla leggenda che vive nelle
anime delle moltitudini più a lungo della storia. Adolescenti,
il nome di Garibaldi ci apparve circonfuso dalle luci di questa
leggenda, e oggi, a distanza di anni, la ragione non ha illanguidito
quell'entusiasmo che scaldava i nostri cuori. Cresciuti nel nuovo
secolo e pure essendo, nel tempo, lontani dalle gesta di lui,
rivendichiamo il diritto e il dovere di ricordarlo e di onorarlo.
Questo diritto e dovere ci viene dall'aver voluto l'intervento
con animo e con minoranze garibaldine, dall'essere intervenuti,
dall'avere imposto la guerra sino alla vittoria, dall'avere difesa
- nuovamente col sangue - questa vittoria, salvata ormai nel suo
spirito non più comprimibile e nel suo certo futuro. Gli
italiani del nostro eccezionale e durissimo tempo, che questo
hanno fatto non sono nuclei rari, ma milioni, da un capo all'altro
d'Italia, disciplinati per la prima volta dopo l'impero di Roma,
in masse di combattimento. Gli italiani del ventesimo secolo hanno
ripreso tra il '14 e il '18, sotto il comando Vostro, o Sire,
la marcia che Garibaldi nel 1866 interruppe a Bezzecca, col suo
laconico ed enigmatico Obbedisco e l'hanno continuata sino al
Brennero, sino a Trieste, a Fiume, a Zara, sul culmine del Nevoso,
sull'altra sponda dell'Adriatico. Le Camicie nere che seppero
lottare e morire negli anni della umiliazione, sono anche politicamente
sulla linea ideale delle Camicie rosse e del loro Condottiero.
Durante la sua vita Egli ebbe il cuore infiammato da una sola
passione: l'unità e l'indipendenza della Patria. Uomini
e partiti, ideologie e declamazioni di assemblee, le quali ultime
Garibaldi disdegnò, propugnatore come Egli era delle "illimitatissime
dittature" nei tempi difficili, mai lo piegarono, né
lo distolsero da questa mèta suprema. La vera, la sovrana
grandezza di Garibaldi è in questo suo carattere di Eroe
nazionale, nato dal popolo, e in pace e in guerra sempre rimasto
col popolo. Le guerriglie di America non sono che un preludio.
Digione un epilogo. Fra i due periodi giganteggia Garibaldi, che
ha un solo pensiero, un solo programma, una sola fede: l'Italia;
coerente di una perfetta coerenza, che gli apologeti postumi del
suo nome non sempre compresero. Fu coerente e quando offriva la
sua spada a Pio IX e quando, venti anni dopo, lanciava i suoi
disperati legionari sulle colline di Mentana; coerente quando
collaborava con Cavour, seguiva Mazzini, serviva Vittorio Emanuele
II, osava ad Aspromonte; soprattutto coerente quando dimenticava
le crudezze e le insufficienze di molti contemporanei, poiché
sempre e dovunque la sua parola d'ordine era: "Italia avanti
tutto, Italia e Vittorio Emanuele!". Dal 1830 al 1870, per
40 anni, il nome e le gesta di Garibaldi riempiono la storia d'America
e d'Italia e influiscono su quella d'Europa. Il principio di nazionalità,
per il quale combatte, suscita moti nelle nazioni oppresse dalla
Vistola al Danubio; quegli echi rimangono ancora e il nome di
Garibaldi, nelle masse profonde di taluni popoli, evoca le immagini
e gli entusiasmi di una volta. Se la difesa di Roma del 1849 fu
superba e vermiglia di eroismi inobliabili, che basterebbero da
soli a illuminare di gloria un popolo intero - chi, tra gli italiani
degni di questo nome, dimenticherà mai i Mameli, i Daverio,
i Morosini, i Manara, i Dandolo e i Masina? - la marcia dei Mille
da Marsala al Volturno, guerra e rivoluzione insieme, è
l'evento portentoso che salda per sempre l'unità della
patria. Ci sono nella vita, anche in quella di Garibaldi, le minori
e mediocri cose che accompagnano inevitabilmente l'azione: polemiche,
ingratitudine, abbandoni; un uomo non sarebbe più grande,
se non fosse uomo fra uomini. Ma la storia ha già tratto
dalle fatali antitesi la sintesi delle definitive giustizie e
Garibaldi è più vivo, più alto, più
possente che mai nella coscienza della Nazione e nella coscienza
universale. Le generazioni del nostro secolo, cariche già
di sanguinose esperienze, attraverso la più grande guerra
che l'umanità ricordi, si volgono a Garibaldi con occhio
al quale non fa più velo la passione antica. L'Italia,
che ha raggiunto le sue intangibili frontiere e ha portato le
sue bandiere e la sua civiltà verso il centro dell'Africa;
l'Italia, che si prepara a vivere una vita ancora più ampia,
ama ed esalta in Garibaldi il navigatore dei mari e degli oceani,
il generale che strappò tutte le vittorie e si piegò
a tutte le rinuncie; che offrì alle sue Camicie rosse non
onori, ne spalline, ma "per tenda il cielo, per letto la
terra, per testimonio Iddio"; che conobbe la solitudine di
una cella e l'apoteosi di Londra; il rurale, come Egli stesso
si definì, che, nelle soste tra le battaglie e toccato
il crepuscolo, amò la fatica e la gente dei campi e, prima
di morire, progettò la grande bonifica dell'Agro Romano;
l'Uomo che disdegnò onori e ricchezze e fu povero come
un asceta e generoso più di Cesare. In lui si riassunsero
e sublimarono le qualità migliori del popolo italiano e
quelle peculiari della schiatta ligure, solida e coraggiosa, pratica
ed idealista ad un tempo. Sono passati 50 anni dal giorno in cui
il suo cuore gagliardo cessò di battere ed i suoi occhi
si chiusero, dopo un'estrema visione di dolcezza che gli ricordava
i suoi figli. L'isola solitaria è diventata, da allora,
uno dei luoghi sacri della Patria e tale resterà nei secoli!
Sire, Graziosa Regina! se per un prodigio il Cavaliere bronzeo,
che sorge qui vicino, diventasse uomo vivo e aprisse gli occhi,
mi piace sperare che Egli riconoscerebbe la discendenza delle
sue Camicie rosse nei Soldati di Vittorio Veneto e nelle Camicie
nere, che da un decennio continuano, sotto forma ancora più
popolare e più feconda, il suo volontarismo, e che sarebbe
lieto di posare il suo sguardo su questa Roma luminosa, vasta,
pacificata, che egli amò d'infinito amore e che, fin dai
primi anni di giovinezza, identificò con l'Italia! Sire!
Finchè su questo colle dominerà la statua dell'Eroe,
sicuro e forte sarà il destino della Patria.
|