Signori
senatori, l'idea di un patto di collaborazione e di intesa fra
le quattro Potenze occidentali si fece chiara nelle mie riflessioni
dopo la chiusura, nell'estate scorsa, della prima fase della Conferenza
del disarmo: chiusura negativa o quasi. Vi accennai nell'ottobre
a Torino, in una manifestazione memorabile, non già per
le cose che dissi, quanto per la immensa moltitudine che le ascoltò
e che rivelò finalmente la vera anima della Città
sabauda. Questa idea mi apparve di ancora più urgente attualità
ai primi di marzo, quando il panorama della politica europea appariva
molto grigio per varie cause, non ultima delle quali i mancati
progressi della seconda fase della Conferenza del disarmo. Questa
è la genesi, che chiamerò personale, della mia proposta;
e non ha che una importanza assolutamente secondaria. La genesi
- che chiamerò obiettiva - del Patto è un'altra.
Come è stato chiarito in occasione della sua presentazione,
e successivamente, come risulta dallo stesso testo, il Patto si
collega ed intende di costituire una continuazione e uno sviluppo
degli atti internazionali - primo e sopra tutti quello di Locarno
- che più compiutamente esprimono lo spirito di intesa
e di collaborazione fra Stati, ad esclusione di ogni idea di raggruppamenti
contrapposti o di finalità politiche antagonistiche. Il
Patto di Locarno è dell'ottobre 1925. Il Patto a quattro
ne costituisce lo sviluppo logico, necessario. Il patto di Locarno
è una pietra miliare dell'assestamento europeo. Esso tende
a soddisfare - secondo le parole del suo stesso testo - "il
desiderio di sicurezza e di protezione che anima le Nazioni che
hanno dovuto subire il flagello della guerra del 1914-18".
Nel Patto di Locarno la posizione delle quattro Potenze veniva
nettamente definita, stabilendo una premessa da cui, in prosieguo
di tempo, potevano scaturire determinate conseguenze. La politica
europea negli anni che hanno seguito la sua stipulazione, se ne
è spesse volte, troppe volte allontanata. Era ormai tempo
che le quattro Potenze occidentali, ritornando ai principii che
avevano presieduto agli accordi del 1925, si impegnassero solennemente
a collaborare, a concertarsi, ad intendersi su tutte le questioni
che le riguardavano: si impegnassero a fare tutti gli sforzi per
realizzare una politica di collaborazione effettiva, oltrechè
fra di esse, anche con le altre Potenze. È questo, appunto,
l'impegno che il nuovo Patto solennemente consacra all'articolo
primo, che ne costituisce il suo punto fondamentale e da cui gli
articoli seguenti discendono ed a cui si ricollegano.
* * *
Lo schema primitivo del Patto è quello pubblicato dai giornali.
Dico subito che si trattava di uno schema, che ammetteva, anzi
imponeva, una successiva, più completa elaborazione, che
non si discostasse tuttavia dai principii fondamentali da me posti
alla base del patto stesso, per renderlo più aderente alla
realtà, più concreto nelle sue clausole e nella
sua durata, in confronto di altri patti ed obiettivi più
generici o universali. La prima elaborazione dello schema avvenne
nei giorni 17-18 marzo, durante la gradita visita di Mac Donald
e Simon a Roma. I due Ministri inglesi accettarono fino dal principio
l'impostazione politica del Patto. Una ulteriore elaborazione
ebbe luogo a Parigi, e, successivamente, è sulla versione
francese che si sono svolti i negoziati per conciliare in un testo
definitivo i punti di vista, non sempre coincidenti, delle Potenze
cointeressate. Molte delle opposizioni suscitate dal Patto sono
l'effetto di reazioni di ordine sentimentale, più che di
un meditato esame della realtà. Non si tratta di protocollare
e consacrare una gerarchia definitiva ed immutabile degli Stati.
Tale gerarchia, per quanto riguarda i quattro Stati dell'Europa
occidentale obiettivamente, storicamente esiste, ma gerarchia
non significa supremazia o direttorio, che imponga la propria
volontà agli altri. Nella stessa Società delle Nazioni,
organismo che fu ispirato da concezioni ortodossamente democratiche
ed ugualitarie, una gerarchia fra gli Stati fu stabilita dal "Covenant"
o atto di fondazione della Lega, per cui alcuni Stati avrebbero
avuto ed hanno un seggio permanente nel Consiglio della Lega,
altri lo avrebbero e lo hanno avuto semipermanente, altri invece
a turno. Gli Stati che hanno, così, un seggio permanente
alla Lega sono precisamente i quattro Stati dell'occidente: Inghilterra,
Francia, Germania, Italia. Questi Stati hanno quindi, secondo
lo statuto della Lega, la possibilità di un'azione diretta
e costante, hanno quindi maggiori responsabilità di fronte
a se stessi e al mondo. Dallo stato più o meno normale
e cordiale delle loro relazioni dipende anche, e soprattutto,
la tranquillità ed il pacifico sviluppo degli altri Stati.
Gli articoli "politici" del Patto sono tre e precisamente,
oltre il primo che ho già ricordato, il secondo e il terzo.
È perfettamente comprensibile che la elaborazione di essi
abbia richiesto molto tempo e molte conversazioni. È stato
ammesso, accompagnato dagli articoli 10 e 16 del Patto, l'articolo
19, che contempla la possibilità di una revisione pacifica
dei Trattati. Qui si sono pronunciate le maggiori opposizioni
al principio e durante lo svolgimento dei negoziati; come alla
fine del negoziato stesso le difficoltà maggiori si sono
avute per l'articolo 3 relativo al disarmo. La questione della
revisione e l'articolo 19, che ad essa si riferisce, sono iscritti
nel Patto della Società delle Nazioni. Altri patti complementari
del "Covenant" si sono riferiti ed hanno sviluppato
tale o tale altro principio, tale o tale altro articolo. Il Patto
a quattro fa, invece, riferimento a tutti i principii consacrati
nel Patto della Società delle Nazioni ed ai patti che l'hanno
seguito, e fa specifica menzione dell'articolo 19. Esso mira a
ristabilire l'equilibrio fra tutti gli articoli del "Covenant"
come è indispensabile che si voglia, se si deve fare opera
costruttiva e duratura. Sta attualmente svolgendosi in taluni
Paesi una rumorosa campagna antirevisionista, ma si dimenticano
le ammissioni contenute nell'ampio recente discorso di Benès
al Parlamento di Praga. Il Ministro degli Esteri della Repubblica
cecoslovacca ha aperto uno spiraglio revisionista nel muro della
negazione dogmatica di ogni principio di revisione. Nel suo discorso,
che ho attentamente letto come meritava l'importanza della materia
e la posizione politica dell'oratore, il ministro Benès
non si è dichiarato antirevisionista sub specie aeternitatis,
ma ha subordinato ogni tentativo di revisione al preesistere di
determinate condizioni e cioè: un momento di tranquillità
generale; la possibilità di contropartite e la entità
effettiva della revisione. Non nel mio schema primitivo e meno
ancora nei successivi fu mai questione di imporre con la forza
da parte dei quattro una qualsiasi revisione dei trattati. Dalla
fine della guerra - di questa come di tutte quelle che l'hanno
preceduta - è in atto un processo di adattamento dei trattati
di pace. Sarebbe inutile, anzi pericoloso, nascondersi che tale
processo esiste e che esso ha proceduto, spesse volte, attraverso
difficoltà ben più gravi di quelle che, in una atmosfera
di maggiore, reciproca fiducia e comprensione, sarebbero esistite.
Si sono mantenute, negli anni che vanno dal 1919 in poi, posizioni
rigide, fino a creare una atmosfera di tensione; e adattamenti
e revisioni sono poi accaduti pressoché improvvisamente,
sotto la forza di situazioni talvolta inquietanti per la stabilità
dell'Europa, e senza che si conseguisse quel miglioramento organico
dei rapporti fra Stati e della situazione generale, che sarebbe
stato necessario e che si aveva in mente di raggiungere. Si è
affermato da taluno che la redazione del Patto, così come
sarà in questa stessa giornata siglato, è molto
lontana dal testo primitivo. Ho già detto che questo era
in certo senso inevitabile, ma un esame attento dei testi permette
di scorgere che i principii fondamentali sono rimasti. Così
è dell'impegno a realizzare una politica di collaborazione
fra le quattro Potenze e con gli altri Stati, consacrato dall'articolo
primo. Così è (articolo 2) per la citazione dell'articolo
19, che considera la possibilità di un nuovo esame dei
trattati divenuti inapplicabili. Così è, infine,
per la trattazione della questione del disarmo, se la Conferenza
non riesca ai suoi fini (articolo 3). L'accordo sull'articolo
3, che riguarda il disarmo, è stato lungo a raggiungere.
Le ragioni sono state varie. Valga ricordare quelle dovute agli
elementi particolarmente complessi della questione: formali e
di merito, che fanno sentire per questa questione maggiori le
difficoltà di raccogliere i consensi dei Capi di Governo
e dei Ministri degli Esteri francese, inglese e tedesco, che non
hanno partecipato direttamente alla discussione. Secondo la formula
concordata, i quattro Governi riaffermano all'articolo 3 la volontà
di fare ogni sforzo perché la Conferenza del disarmo giunga
a risultati favorevoli. La dichiarazione dell'11 dicembre 1932,
relativa alla parità dei diritti nei riguardi della Germania
e degli altri Stati disarmati per trattato, deve avere una portata
effettiva, secondo è inteso colla dichiarazione medesima.
È evidente che, se la Conferenza non riuscisse, si determinerebbe
una situazione assai grave, anzi insostenibile. L'ipotesi non
può essere avanzata che per escluderla; ma poiché,
nonostante tutto, questa eventualità potrebbe verificarsi,
il Patto la prende in considerazione e vi provvede. L'articolo
3 stabilisce così che per questioni che la Conferenza non
risolvesse, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia ne riprenderebbero
l'esame fra di loro - naturalmente col dovuto rispetto per tutto
quello che concerne gli altri Stati - mediante l'applicazione
del Patto di intesa e di collaborazione, a fine di assicurarne
la soluzione, nei modi appropriati. Il criterio della consultazione
e della collaborazione, affermato all'articolo primo del Patto,
trova pertanto nell'articolo 3 l'applicazione specifica, e il
Patto a quattro offre, così, molte garanzie di pace per
tutti gli Stati europei, e appare di tal guisa, anche per la soluzione
del complesso problema del disarmo, un fattore di grande importanza.
Il Patto ha la durata di dieci anni ed è rinnovabile senza
limiti di tempo, e in questo concetto della non limitazione della
sua durata rientra necessariamente quello del progressivo adattamento
dei trattati alle esigenze delle nuove realtà politiche
ed economiche. Se fosse imposto alla Germania di rimanere eternamente
disarmata in un'Europa piena di armati, il riconoscimento della
sua parità di diritto suonerebbe come un'ironia, e il suo
posto di "uguale" fra gli uguali nel Consiglio della
Società delle Nazioni si ridurrebbe ad una mera finzione.
Ho detto che un esame attento del primitivo progetto e della redazione
finale permette di scorgere che i principii fondamentali sono
rimasti. Naturalmente il testo definitivo è in veste più
formale e precisa dello schema originale. Del resto, si leggano
i vari articoli della prima e dell'ultima redazione. Occorre dire,
ancora una volta che il Patto non è diretto contro nessuno?
Esso non significa imposizione di volontà nei riguardi
di chicchessia; afferma dei principii, stabilisce procedure, conferma
e sviluppa vecchi impegni, ne stabilisce dei nuovi. Esso allontana
ogni idea di raggruppamenti contrapposti o di finalità
politiche antagonistiche e mira a salvaguardare e conciliare gli
interessi dei singoli Stati con l'interesse supremo, comune a
tutti il consolidamento della pace, la possibilità della
ricostruzione. Mi sia concesso ora di parlare dell'apporto dato
alla negoziazione dai singoli Stati, e sopra tutto dello spirito
col quale il negoziato si è svolto. Fino dal primo momento,
Mac Donald e Simon hanno realizzato la possibilità del
Patto. Nel colloquio a Palazzo Venezia e all'Ambasciata britannica
poi, in discussioni che si prolungarono fino a tarda ora della
notte, lo schema preventivo fu sottoposto a un esame dettagliato,
ma l'essenza del Patto non fu mai in questione. L'atteggiamento
immediatamente favorevole del Primo Ministro e del Ministro degli
Esteri britannici, atteggiamento che trovò pochi giorni
dopo una eloquente, coraggiosa esposizione nel forte discorso
pronunziato da Mac Donald alla Camera dei Comuni, decideva della
sorte del Patto. Nelle fasi successive, l'azione del Foreign Office
è stata sempre vigile e tempestiva, guidata dalle direttive
fondamentali della politica britannica nell'attuale periodo storico:
collaborare con l'Europa, perché la pace non sia turbata.
Non sarà inopportuno segnalare che due settimane fa, partì
precisamente dal Foreign Office l'invito ad accelerare il tempo
del negoziato, onde concluderlo possibilmente prima del 12 giugno,
data stabilita per l'apertura della Conferenza economica mondiale
di Londra. La posizione di equilibrio che, per la loro situazione
e per i fattori naturali che le caratterizzano, Inghilterra e
Italia sono chiamate a rappresentare in Europa, e per la quale
il Patto di Locarno assegna loro una speciale funzione, trova
nel Patto a quattro nuove espressioni e nuove possibilità
di fecondo e ricostruttivo sviluppo. Voci tendenziose e contraddittorie
sono state diffuse circa l'atteggiamento della Francia davanti
al Patto a quattro. La verità è diversa. Il Ministro
Daladier non ha mai opposto un fin de non recevoir all'iniziativa
del Governo italiano. Nessuna meraviglia che il Governo francese
abbia voluto accuratamente pesare il pro e il contro del progetto.
Sta di fatto che il Governo francese ha aggiunto veste formale
e precisa ai principii contenuti nel Patto, che ha riconosciuto
idoneo ad assicurare, per un abbastanza lungo periodo di anni,
la pace e la tranquillità dell'Europa. La Francia, per
la sua stessa posizione geografica e per gli ideali e interessi
che rappresenta in Europa e nel mondo, non può praticare
una politica di isolamento. Insieme con l'Inghilterra, la Germania
e l'Italia, essa è elemento fondamentale di progresso e
di pace. Aderendo al principio della collaborazione consacrata
nel Patto, essa non solo serve i propri interessi, ma porta un
contributo fattivo e prezioso alla ricostruzione della vita europea.
Bisogna lealmente riconoscere che il Governo francese ha strenuamente
lottato contro corrente, contro, cioè, interessi, sentimenti,
preoccupazioni esistenti nello spirito francese, ed ha superato
tutto ciò perché intimamente convinto della bontà
dei principii che stanno alla base del Patto. La Francia ha fornito
un esempio di collaborazione sul piano europeo, del quale bisogna
prender atto. Nella migliorata atmosfera del Patto a quattro,
è perfettamente possibile una sollecita liquidazione di
talune particolari questioni che dividono Italia e Francia, già
auspicata dal signor Herriot, come di altre che possono interessare
la Germania e la Francia. Stabilita, con la firma del Patto, una
nuova situazione di fiducia reciproca e di collaborazione, le
questioni pendenti tra Francia e Italia assumono, infatti, nel
nuovo quadro della politica europea, un carattere diverso da quello
che hanno avuto finora, e più agevoli diventano le possibilità
di soluzione. Ispirato da un altrettanto vivo desiderio di collaborazione
è stato l'atteggiamento della Germania. Vi è stato
un momento nel quale una interessata campagna, condotta dagli
elementi sconfitti dalla rivoluzione nazional-socialista, aveva
fatto risorgere fantasmi di guerra. II grande discorso di Hitler
del 17 maggio ha immediatamente chiarito la situazione. Discorso
moralmente coraggioso e politicamente tranquillizzante. La Germania
vuole la pace e non la guerra: una pace costruttiva all'interno
e all'estero. Questo il punto centrale del discorso, che conteneva
anche una esplicita adesione al Patto a quattro. Con la sua adesione
prima e collaborando con larghezza di vedute alla elaborazione
del Patto, e autorizzando un'ora fa l'Ambasciatore tedesco ad
apporre ad esso la sua sigla, Hitler ha dato prova concreta, tangibile,
degli intendimenti che animano il suo Governo. Discorsi intonati
agli stessi principii furono pronunciati da Goering, il quale
a Düsseldorf ha dichiarato che la Germania del Terzo Reich
sarà il baluardo della pace, e da Hitler in occasione delle
elezioni di Danzica. La volontà di pace della Germania
è dunque solennemente affermata. Bisogna rendersi conto
che quella attualmente in corso in Germania è una profonda
rivoluzione, non soltanto nazionale, ma sociale, e che pretendere
di giudicarla col metro della Germania dell'anteguerra è
per lo meno azzardato. È una rivoluzione di popolo, fatta
da uomini usciti dalla guerra e dal popolo. Non è il colpo
di Stato che viene dall'alto, è un'affermazione che sale
da venti milioni di tedeschi. Sul piano internazionale riaffermo
quanto dissi altra volta in questa stessa aula: "La Germania
esiste nel cuore dell'Europa colla sua massa imponente di sessantacinque
milioni di abitanti, colla sua storia, la sua cultura, le sue
necessità; una politica veramente europea, e diretta al
mantenimento della pace, non si può fare senza la Germania,
e, peggio ancora, contro la Germania". Tanto meno si potrà
condurre siffatta politica quanto più la Germania orienterà
la sua azione internazionale secondo i punti essenziali contenuti
nel programmatico discorso di Hitler. Della parte avuta dall'Italia
nel Patto io non terrò lungo discorso. L'iniziativa italiana
è stata dettata dalle ragioni che vi ho esposto in principio.
Essa è l'affermazione categorica, indiscutibile della nostra
volontà di collaborazione e di pace. Durante le conversazioni,
il Ministro degli Esteri ha tenuto e coordinato le fila e aiutato
- a volta a volta - a superare le difficoltà. Mi sia permesso,
a questo proposito, di ringraziare dinanzi a questa alta Assemblea
i tre Ambasciatori di Francia, Germania, Inghilterra, per l'opera
veramente assidua da essi prestata nello svolgersi del negoziato.
Non voglio passare sotto silenzio l'adesione significativa data
dal Belgio al Patto a quattro. Questo patto interessa direttamente
gli Stati con i quali pratichiamo da anni una politica di schietta,
salda amicizia: parlo dell'Austria e dell'Ungheria, nel bacino
danubiano, della Turchia e della Grecia nel Mediterraneo orientale.
Esso interessa egualmente un altro grande Stato: l'Unione delle
Repubbliche Sovietiche, con cui ultimamente abbiamo concluso un
trattato di commercio. Si è voluto da qualcuno intravedere,
nell'articolo 4, la tendenza, almeno potenziale, verso la costituzione
di un fronte unico. Ora io tengo a dichiarare, formalmente, che
una simile idea non è mai stata nel pensiero del Governo
italiano, ne in quello degli altri Stati firmatari del Patto a
quattro. Tengo a ripetere che nell'economia del Patto è
insita l'idea della collaborazione con tutti gli altri Stati,
grandi e piccoli, senza il cui valido e pratico contibuto un'opera
stabile e costruttiva di pacificazione politica e di restaurazione
economica mondiale non è possibile. Il Governo italiano,
invitando i quattro Stati partecipi al Patto di Locarno a collaborare
fra essi e cogli altri Stati per realizzare una politica costruttiva
di pace, ha voluto che, nelle turbate condizioni d'Europa, si
compisse un'opera di alto idealismo e realismo politico. Il Governo
italiano ha mirato e tende a creare una nuova atmosfera politica,
nella quale le singole questioni di ordine politico ed economico,
man mano che si presenteranno per lo svolgimento naturale degli
avvenimenti, possano essere esaminate senza partito preso e trovare
una soluzione secondo l'intrinseca sostanza e nell'interesse di
tutti. Il Governo fascista ha trovato negli altri Governi, comprensione
e rispondenza, anche per la conclusione del negoziato. Esso ha
la coscienza delle difficoltà che esistono attualmente
in Europa, nel campo politico e in quello economico, e misura
il valore di una sincera politica di collaborazione non solo dall'effetto
che se ne ripromette per la loro soluzione, ma dall'inevitabile
accrescimento progressivo di queste difficoltà, ove tale
politica di collaborazione non fosse attuata. È evidente
che le conseguenze del Patto a quattro saranno più o meno
rapidamente feconde in relazione al suo effettivo funzionamento.
Non bisogna credere che non ci saranno più contrasti e
che i contrasti saranno magicamente sanati. Questo ottimismo io
l'ho già aggettivato. No. Come ho già detto, il
Patto è stato appunto creato per avere la possibilità
di risolvere le questioni che la situazione a volta a volta impone.
Per questo il Patto deve essere operante e senza indugio e, a
completamento delle normali relazioni diplomatiche, dovranno verificarsi
degli incontri più o meno periodici, più o meno
frequenti, a seconda delle necessità, fra i fattori direttamente
responsabili della politica estera dei quattro Stati. Quanto alla
Società delle Nazioni, essa troverà giovamento,
e non nocumento, da questa metodica collaborazione fra i membri
permanenti del suo Consiglio. Signori Senatori! Il Patto di cui
vi ho parlato non è ancora perfezionato, perché,
dopo la sigla, dovrà venire la firma, poi, laddove è
necessaria, l'approvazione dei Parlamenti, quindi lo scambio delle
ratifiche; dopo di che il Patto diventerà esecutivo. Dico
esecutivo non nelle clausole, soltanto, ma, soprattutto, nello
spirito che lo informa. Spirito che mette fine a un capitolo della
storia del dopo guerra e ne comincia un altro. Spirito che deve
garantire dieci anni di pace all'Europa, durante i quali gli assillanti
e complessi problemi di indole interna e internazionale saranno
risolti. Si è constatato che in tutti i paesi i negoziati
del Patto a quattro sono stati seguiti con un interesse profondo,
e in certi momenti con vera ansietà. La conclusione solleverà
discussioni più o meno interessanti negli ambienti professionali
della politica, ma verrà salutata con grande soddisfazione
dalle moltitudini, le quali, più lontane dall'artificio
e più vicine alla vita, sentono, intuiscono la portata
morale degli eventi che si,possono chiamare storici. Un voto dovunque
si leva, ed è questo: "Fate, o signori di tutti i
Governi, che attraverso il luminoso varco, aperto mentre le ombre
si addensavano agli orizzonti, passino non soltanto le speranze,
ma le certezze dei popoli".
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