DISCORSO DEL
07 giugno 1933
Signori senatori, l'idea di un patto di collaborazione e di intesa fra le quattro Potenze occidentali si fece chiara nelle mie riflessioni dopo la chiusura, nell'estate scorsa, della prima fase della Conferenza del disarmo: chiusura negativa o quasi. Vi accennai nell'ottobre a Torino, in una manifestazione memorabile, non già per le cose che dissi, quanto per la immensa moltitudine che le ascoltò e che rivelò finalmente la vera anima della Città sabauda. Questa idea mi apparve di ancora più urgente attualità ai primi di marzo, quando il panorama della politica europea appariva molto grigio per varie cause, non ultima delle quali i mancati progressi della seconda fase della Conferenza del disarmo. Questa è la genesi, che chiamerò personale, della mia proposta; e non ha che una importanza assolutamente secondaria. La genesi - che chiamerò obiettiva - del Patto è un'altra. Come è stato chiarito in occasione della sua presentazione, e successivamente, come risulta dallo stesso testo, il Patto si collega ed intende di costituire una continuazione e uno sviluppo degli atti internazionali - primo e sopra tutti quello di Locarno - che più compiutamente esprimono lo spirito di intesa e di collaborazione fra Stati, ad esclusione di ogni idea di raggruppamenti contrapposti o di finalità politiche antagonistiche. Il Patto di Locarno è dell'ottobre 1925. Il Patto a quattro ne costituisce lo sviluppo logico, necessario. Il patto di Locarno è una pietra miliare dell'assestamento europeo. Esso tende a soddisfare - secondo le parole del suo stesso testo - "il desiderio di sicurezza e di protezione che anima le Nazioni che hanno dovuto subire il flagello della guerra del 1914-18". Nel Patto di Locarno la posizione delle quattro Potenze veniva nettamente definita, stabilendo una premessa da cui, in prosieguo di tempo, potevano scaturire determinate conseguenze. La politica europea negli anni che hanno seguito la sua stipulazione, se ne è spesse volte, troppe volte allontanata. Era ormai tempo che le quattro Potenze occidentali, ritornando ai principii che avevano presieduto agli accordi del 1925, si impegnassero solennemente a collaborare, a concertarsi, ad intendersi su tutte le questioni che le riguardavano: si impegnassero a fare tutti gli sforzi per realizzare una politica di collaborazione effettiva, oltrechè fra di esse, anche con le altre Potenze. È questo, appunto, l'impegno che il nuovo Patto solennemente consacra all'articolo primo, che ne costituisce il suo punto fondamentale e da cui gli articoli seguenti discendono ed a cui si ricollegano.
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Lo schema primitivo del Patto è quello pubblicato dai giornali. Dico subito che si trattava di uno schema, che ammetteva, anzi imponeva, una successiva, più completa elaborazione, che non si discostasse tuttavia dai principii fondamentali da me posti alla base del patto stesso, per renderlo più aderente alla realtà, più concreto nelle sue clausole e nella sua durata, in confronto di altri patti ed obiettivi più generici o universali. La prima elaborazione dello schema avvenne nei giorni 17-18 marzo, durante la gradita visita di Mac Donald e Simon a Roma. I due Ministri inglesi accettarono fino dal principio l'impostazione politica del Patto. Una ulteriore elaborazione ebbe luogo a Parigi, e, successivamente, è sulla versione francese che si sono svolti i negoziati per conciliare in un testo definitivo i punti di vista, non sempre coincidenti, delle Potenze cointeressate. Molte delle opposizioni suscitate dal Patto sono l'effetto di reazioni di ordine sentimentale, più che di un meditato esame della realtà. Non si tratta di protocollare e consacrare una gerarchia definitiva ed immutabile degli Stati. Tale gerarchia, per quanto riguarda i quattro Stati dell'Europa occidentale obiettivamente, storicamente esiste, ma gerarchia non significa supremazia o direttorio, che imponga la propria volontà agli altri. Nella stessa Società delle Nazioni, organismo che fu ispirato da concezioni ortodossamente democratiche ed ugualitarie, una gerarchia fra gli Stati fu stabilita dal "Covenant" o atto di fondazione della Lega, per cui alcuni Stati avrebbero avuto ed hanno un seggio permanente nel Consiglio della Lega, altri lo avrebbero e lo hanno avuto semipermanente, altri invece a turno. Gli Stati che hanno, così, un seggio permanente alla Lega sono precisamente i quattro Stati dell'occidente: Inghilterra, Francia, Germania, Italia. Questi Stati hanno quindi, secondo lo statuto della Lega, la possibilità di un'azione diretta e costante, hanno quindi maggiori responsabilità di fronte a se stessi e al mondo. Dallo stato più o meno normale e cordiale delle loro relazioni dipende anche, e soprattutto, la tranquillità ed il pacifico sviluppo degli altri Stati. Gli articoli "politici" del Patto sono tre e precisamente, oltre il primo che ho già ricordato, il secondo e il terzo. È perfettamente comprensibile che la elaborazione di essi abbia richiesto molto tempo e molte conversazioni. È stato ammesso, accompagnato dagli articoli 10 e 16 del Patto, l'articolo 19, che contempla la possibilità di una revisione pacifica dei Trattati. Qui si sono pronunciate le maggiori opposizioni al principio e durante lo svolgimento dei negoziati; come alla fine del negoziato stesso le difficoltà maggiori si sono avute per l'articolo 3 relativo al disarmo. La questione della revisione e l'articolo 19, che ad essa si riferisce, sono iscritti nel Patto della Società delle Nazioni. Altri patti complementari del "Covenant" si sono riferiti ed hanno sviluppato tale o tale altro principio, tale o tale altro articolo. Il Patto a quattro fa, invece, riferimento a tutti i principii consacrati nel Patto della Società delle Nazioni ed ai patti che l'hanno seguito, e fa specifica menzione dell'articolo 19. Esso mira a ristabilire l'equilibrio fra tutti gli articoli del "Covenant" come è indispensabile che si voglia, se si deve fare opera costruttiva e duratura. Sta attualmente svolgendosi in taluni Paesi una rumorosa campagna antirevisionista, ma si dimenticano le ammissioni contenute nell'ampio recente discorso di Benès al Parlamento di Praga. Il Ministro degli Esteri della Repubblica cecoslovacca ha aperto uno spiraglio revisionista nel muro della negazione dogmatica di ogni principio di revisione. Nel suo discorso, che ho attentamente letto come meritava l'importanza della materia e la posizione politica dell'oratore, il ministro Benès non si è dichiarato antirevisionista sub specie aeternitatis, ma ha subordinato ogni tentativo di revisione al preesistere di determinate condizioni e cioè: un momento di tranquillità generale; la possibilità di contropartite e la entità effettiva della revisione. Non nel mio schema primitivo e meno ancora nei successivi fu mai questione di imporre con la forza da parte dei quattro una qualsiasi revisione dei trattati. Dalla fine della guerra - di questa come di tutte quelle che l'hanno preceduta - è in atto un processo di adattamento dei trattati di pace. Sarebbe inutile, anzi pericoloso, nascondersi che tale processo esiste e che esso ha proceduto, spesse volte, attraverso difficoltà ben più gravi di quelle che, in una atmosfera di maggiore, reciproca fiducia e comprensione, sarebbero esistite. Si sono mantenute, negli anni che vanno dal 1919 in poi, posizioni rigide, fino a creare una atmosfera di tensione; e adattamenti e revisioni sono poi accaduti pressoché improvvisamente, sotto la forza di situazioni talvolta inquietanti per la stabilità dell'Europa, e senza che si conseguisse quel miglioramento organico dei rapporti fra Stati e della situazione generale, che sarebbe stato necessario e che si aveva in mente di raggiungere. Si è affermato da taluno che la redazione del Patto, così come sarà in questa stessa giornata siglato, è molto lontana dal testo primitivo. Ho già detto che questo era in certo senso inevitabile, ma un esame attento dei testi permette di scorgere che i principii fondamentali sono rimasti. Così è dell'impegno a realizzare una politica di collaborazione fra le quattro Potenze e con gli altri Stati, consacrato dall'articolo primo. Così è (articolo 2) per la citazione dell'articolo 19, che considera la possibilità di un nuovo esame dei trattati divenuti inapplicabili. Così è, infine, per la trattazione della questione del disarmo, se la Conferenza non riesca ai suoi fini (articolo 3). L'accordo sull'articolo 3, che riguarda il disarmo, è stato lungo a raggiungere. Le ragioni sono state varie. Valga ricordare quelle dovute agli elementi particolarmente complessi della questione: formali e di merito, che fanno sentire per questa questione maggiori le difficoltà di raccogliere i consensi dei Capi di Governo e dei Ministri degli Esteri francese, inglese e tedesco, che non hanno partecipato direttamente alla discussione. Secondo la formula concordata, i quattro Governi riaffermano all'articolo 3 la volontà di fare ogni sforzo perché la Conferenza del disarmo giunga a risultati favorevoli. La dichiarazione dell'11 dicembre 1932, relativa alla parità dei diritti nei riguardi della Germania e degli altri Stati disarmati per trattato, deve avere una portata effettiva, secondo è inteso colla dichiarazione medesima. È evidente che, se la Conferenza non riuscisse, si determinerebbe una situazione assai grave, anzi insostenibile. L'ipotesi non può essere avanzata che per escluderla; ma poiché, nonostante tutto, questa eventualità potrebbe verificarsi, il Patto la prende in considerazione e vi provvede. L'articolo 3 stabilisce così che per questioni che la Conferenza non risolvesse, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia ne riprenderebbero l'esame fra di loro - naturalmente col dovuto rispetto per tutto quello che concerne gli altri Stati - mediante l'applicazione del Patto di intesa e di collaborazione, a fine di assicurarne la soluzione, nei modi appropriati. Il criterio della consultazione e della collaborazione, affermato all'articolo primo del Patto, trova pertanto nell'articolo 3 l'applicazione specifica, e il Patto a quattro offre, così, molte garanzie di pace per tutti gli Stati europei, e appare di tal guisa, anche per la soluzione del complesso problema del disarmo, un fattore di grande importanza. Il Patto ha la durata di dieci anni ed è rinnovabile senza limiti di tempo, e in questo concetto della non limitazione della sua durata rientra necessariamente quello del progressivo adattamento dei trattati alle esigenze delle nuove realtà politiche ed economiche. Se fosse imposto alla Germania di rimanere eternamente disarmata in un'Europa piena di armati, il riconoscimento della sua parità di diritto suonerebbe come un'ironia, e il suo posto di "uguale" fra gli uguali nel Consiglio della Società delle Nazioni si ridurrebbe ad una mera finzione. Ho detto che un esame attento del primitivo progetto e della redazione finale permette di scorgere che i principii fondamentali sono rimasti. Naturalmente il testo definitivo è in veste più formale e precisa dello schema originale. Del resto, si leggano i vari articoli della prima e dell'ultima redazione. Occorre dire, ancora una volta che il Patto non è diretto contro nessuno? Esso non significa imposizione di volontà nei riguardi di chicchessia; afferma dei principii, stabilisce procedure, conferma e sviluppa vecchi impegni, ne stabilisce dei nuovi. Esso allontana ogni idea di raggruppamenti contrapposti o di finalità politiche antagonistiche e mira a salvaguardare e conciliare gli interessi dei singoli Stati con l'interesse supremo, comune a tutti il consolidamento della pace, la possibilità della ricostruzione. Mi sia concesso ora di parlare dell'apporto dato alla negoziazione dai singoli Stati, e sopra tutto dello spirito col quale il negoziato si è svolto. Fino dal primo momento, Mac Donald e Simon hanno realizzato la possibilità del Patto. Nel colloquio a Palazzo Venezia e all'Ambasciata britannica poi, in discussioni che si prolungarono fino a tarda ora della notte, lo schema preventivo fu sottoposto a un esame dettagliato, ma l'essenza del Patto non fu mai in questione. L'atteggiamento immediatamente favorevole del Primo Ministro e del Ministro degli Esteri britannici, atteggiamento che trovò pochi giorni dopo una eloquente, coraggiosa esposizione nel forte discorso pronunziato da Mac Donald alla Camera dei Comuni, decideva della sorte del Patto. Nelle fasi successive, l'azione del Foreign Office è stata sempre vigile e tempestiva, guidata dalle direttive fondamentali della politica britannica nell'attuale periodo storico: collaborare con l'Europa, perché la pace non sia turbata. Non sarà inopportuno segnalare che due settimane fa, partì precisamente dal Foreign Office l'invito ad accelerare il tempo del negoziato, onde concluderlo possibilmente prima del 12 giugno, data stabilita per l'apertura della Conferenza economica mondiale di Londra. La posizione di equilibrio che, per la loro situazione e per i fattori naturali che le caratterizzano, Inghilterra e Italia sono chiamate a rappresentare in Europa, e per la quale il Patto di Locarno assegna loro una speciale funzione, trova nel Patto a quattro nuove espressioni e nuove possibilità di fecondo e ricostruttivo sviluppo. Voci tendenziose e contraddittorie sono state diffuse circa l'atteggiamento della Francia davanti al Patto a quattro. La verità è diversa. Il Ministro Daladier non ha mai opposto un fin de non recevoir all'iniziativa del Governo italiano. Nessuna meraviglia che il Governo francese abbia voluto accuratamente pesare il pro e il contro del progetto. Sta di fatto che il Governo francese ha aggiunto veste formale e precisa ai principii contenuti nel Patto, che ha riconosciuto idoneo ad assicurare, per un abbastanza lungo periodo di anni, la pace e la tranquillità dell'Europa. La Francia, per la sua stessa posizione geografica e per gli ideali e interessi che rappresenta in Europa e nel mondo, non può praticare una politica di isolamento. Insieme con l'Inghilterra, la Germania e l'Italia, essa è elemento fondamentale di progresso e di pace. Aderendo al principio della collaborazione consacrata nel Patto, essa non solo serve i propri interessi, ma porta un contributo fattivo e prezioso alla ricostruzione della vita europea. Bisogna lealmente riconoscere che il Governo francese ha strenuamente lottato contro corrente, contro, cioè, interessi, sentimenti, preoccupazioni esistenti nello spirito francese, ed ha superato tutto ciò perché intimamente convinto della bontà dei principii che stanno alla base del Patto. La Francia ha fornito un esempio di collaborazione sul piano europeo, del quale bisogna prender atto. Nella migliorata atmosfera del Patto a quattro, è perfettamente possibile una sollecita liquidazione di talune particolari questioni che dividono Italia e Francia, già auspicata dal signor Herriot, come di altre che possono interessare la Germania e la Francia. Stabilita, con la firma del Patto, una nuova situazione di fiducia reciproca e di collaborazione, le questioni pendenti tra Francia e Italia assumono, infatti, nel nuovo quadro della politica europea, un carattere diverso da quello che hanno avuto finora, e più agevoli diventano le possibilità di soluzione. Ispirato da un altrettanto vivo desiderio di collaborazione è stato l'atteggiamento della Germania. Vi è stato un momento nel quale una interessata campagna, condotta dagli elementi sconfitti dalla rivoluzione nazional-socialista, aveva fatto risorgere fantasmi di guerra. II grande discorso di Hitler del 17 maggio ha immediatamente chiarito la situazione. Discorso moralmente coraggioso e politicamente tranquillizzante. La Germania vuole la pace e non la guerra: una pace costruttiva all'interno e all'estero. Questo il punto centrale del discorso, che conteneva anche una esplicita adesione al Patto a quattro. Con la sua adesione prima e collaborando con larghezza di vedute alla elaborazione del Patto, e autorizzando un'ora fa l'Ambasciatore tedesco ad apporre ad esso la sua sigla, Hitler ha dato prova concreta, tangibile, degli intendimenti che animano il suo Governo. Discorsi intonati agli stessi principii furono pronunciati da Goering, il quale a Düsseldorf ha dichiarato che la Germania del Terzo Reich sarà il baluardo della pace, e da Hitler in occasione delle elezioni di Danzica. La volontà di pace della Germania è dunque solennemente affermata. Bisogna rendersi conto che quella attualmente in corso in Germania è una profonda rivoluzione, non soltanto nazionale, ma sociale, e che pretendere di giudicarla col metro della Germania dell'anteguerra è per lo meno azzardato. È una rivoluzione di popolo, fatta da uomini usciti dalla guerra e dal popolo. Non è il colpo di Stato che viene dall'alto, è un'affermazione che sale da venti milioni di tedeschi. Sul piano internazionale riaffermo quanto dissi altra volta in questa stessa aula: "La Germania esiste nel cuore dell'Europa colla sua massa imponente di sessantacinque milioni di abitanti, colla sua storia, la sua cultura, le sue necessità; una politica veramente europea, e diretta al mantenimento della pace, non si può fare senza la Germania, e, peggio ancora, contro la Germania". Tanto meno si potrà condurre siffatta politica quanto più la Germania orienterà la sua azione internazionale secondo i punti essenziali contenuti nel programmatico discorso di Hitler. Della parte avuta dall'Italia nel Patto io non terrò lungo discorso. L'iniziativa italiana è stata dettata dalle ragioni che vi ho esposto in principio. Essa è l'affermazione categorica, indiscutibile della nostra volontà di collaborazione e di pace. Durante le conversazioni, il Ministro degli Esteri ha tenuto e coordinato le fila e aiutato - a volta a volta - a superare le difficoltà. Mi sia permesso, a questo proposito, di ringraziare dinanzi a questa alta Assemblea i tre Ambasciatori di Francia, Germania, Inghilterra, per l'opera veramente assidua da essi prestata nello svolgersi del negoziato. Non voglio passare sotto silenzio l'adesione significativa data dal Belgio al Patto a quattro. Questo patto interessa direttamente gli Stati con i quali pratichiamo da anni una politica di schietta, salda amicizia: parlo dell'Austria e dell'Ungheria, nel bacino danubiano, della Turchia e della Grecia nel Mediterraneo orientale. Esso interessa egualmente un altro grande Stato: l'Unione delle Repubbliche Sovietiche, con cui ultimamente abbiamo concluso un trattato di commercio. Si è voluto da qualcuno intravedere, nell'articolo 4, la tendenza, almeno potenziale, verso la costituzione di un fronte unico. Ora io tengo a dichiarare, formalmente, che una simile idea non è mai stata nel pensiero del Governo italiano, ne in quello degli altri Stati firmatari del Patto a quattro. Tengo a ripetere che nell'economia del Patto è insita l'idea della collaborazione con tutti gli altri Stati, grandi e piccoli, senza il cui valido e pratico contibuto un'opera stabile e costruttiva di pacificazione politica e di restaurazione economica mondiale non è possibile. Il Governo italiano, invitando i quattro Stati partecipi al Patto di Locarno a collaborare fra essi e cogli altri Stati per realizzare una politica costruttiva di pace, ha voluto che, nelle turbate condizioni d'Europa, si compisse un'opera di alto idealismo e realismo politico. Il Governo italiano ha mirato e tende a creare una nuova atmosfera politica, nella quale le singole questioni di ordine politico ed economico, man mano che si presenteranno per lo svolgimento naturale degli avvenimenti, possano essere esaminate senza partito preso e trovare una soluzione secondo l'intrinseca sostanza e nell'interesse di tutti. Il Governo fascista ha trovato negli altri Governi, comprensione e rispondenza, anche per la conclusione del negoziato. Esso ha la coscienza delle difficoltà che esistono attualmente in Europa, nel campo politico e in quello economico, e misura il valore di una sincera politica di collaborazione non solo dall'effetto che se ne ripromette per la loro soluzione, ma dall'inevitabile accrescimento progressivo di queste difficoltà, ove tale politica di collaborazione non fosse attuata. È evidente che le conseguenze del Patto a quattro saranno più o meno rapidamente feconde in relazione al suo effettivo funzionamento. Non bisogna credere che non ci saranno più contrasti e che i contrasti saranno magicamente sanati. Questo ottimismo io l'ho già aggettivato. No. Come ho già detto, il Patto è stato appunto creato per avere la possibilità di risolvere le questioni che la situazione a volta a volta impone. Per questo il Patto deve essere operante e senza indugio e, a completamento delle normali relazioni diplomatiche, dovranno verificarsi degli incontri più o meno periodici, più o meno frequenti, a seconda delle necessità, fra i fattori direttamente responsabili della politica estera dei quattro Stati. Quanto alla Società delle Nazioni, essa troverà giovamento, e non nocumento, da questa metodica collaborazione fra i membri permanenti del suo Consiglio. Signori Senatori! Il Patto di cui vi ho parlato non è ancora perfezionato, perché, dopo la sigla, dovrà venire la firma, poi, laddove è necessaria, l'approvazione dei Parlamenti, quindi lo scambio delle ratifiche; dopo di che il Patto diventerà esecutivo. Dico esecutivo non nelle clausole, soltanto, ma, soprattutto, nello spirito che lo informa. Spirito che mette fine a un capitolo della storia del dopo guerra e ne comincia un altro. Spirito che deve garantire dieci anni di pace all'Europa, durante i quali gli assillanti e complessi problemi di indole interna e internazionale saranno risolti. Si è constatato che in tutti i paesi i negoziati del Patto a quattro sono stati seguiti con un interesse profondo, e in certi momenti con vera ansietà. La conclusione solleverà discussioni più o meno interessanti negli ambienti professionali della politica, ma verrà salutata con grande soddisfazione dalle moltitudini, le quali, più lontane dall'artificio e più vicine alla vita, sentono, intuiscono la portata morale degli eventi che si,possono chiamare storici. Un voto dovunque si leva, ed è questo: "Fate, o signori di tutti i Governi, che attraverso il luminoso varco, aperto mentre le ombre si addensavano agli orizzonti, passino non soltanto le speranze, ma le certezze dei popoli".

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