Discorso
pronunciato alla Camera dei Deputati il giorno 13 maggio 1929
Mi rammarico di non aver potuto ascoltare tutti i discorsi; però
li ho letti nei testi stenografici e saranno tutti raccolti a
mia cura e pubblicati dalla Libreria del Littorio. La Nazione
italiana deve sapere che la discussione s'è svolta con
grande dottrina, con fervida passione e che è stata degna
del temperamento politico di questa Assemblea. Dico politico,
poiché tale è la parola che definisce quest'Assemblea.
Il giorno in cui questa parola non avesse più senso, la
sorte dell'Assemblea sarebbe segnata. Tuttavia mi sia concesso
di riprendere la formula "Chiesa libera e sovrana: Stato
libero e sovrano". Possiamo trovarci di fronte a un equivoco:
è urgente quindi chiarire le idee. Questa formula potrebbe
far credere che ci sia la coesistenza di due sovranità.
Un conto è la Città del Vaticano, un conto è
il Regno d'Italia, che è lo Stato italiano. Bisogna persuadersi
che tra lo Stato italiano e la Città del Vaticano c'è
una distanza che si può valutare a migliaia di chilometri,
anche se per avventura bastano cinque minuti per andare a vedere
questo Stato e dieci per percorrerne i confini. Vi sono quindi
due sovranità ben distinte, ben differenziate, perfettamente
e reciprocamente riconosciute. Ma, nello Stato, la Chiesa non
è sovrana e non è nemmeno libera. Non è sovrana
"per la contraddizion che nol consente": non è
nemmeno libera, perché nelle sue istituzioni e nei suoi
uomini è sottoposta alle leggi generali dello Stato ed
è anche sottoposta alle clausole speciali del Concordato.
Ragion per cui la situazione può essere così definita:
Stato sovrano nel Regno d'Italia, Chiesa Cattolica con certe preminenze
lealmente e volontariamente riconosciute; libera ammissione degli
altri culti. Ciò precisato - ed io ritengo che questa precisazione
non vi sia dispiaciuta - passo innanzi nel mio preambolo.
* * *
Il giorno stesso in cui si firmavano gli accordi del Laterano,
qualcuno, nella sua trionfante e obesa stupidità, con sicumera
quasi dogmatica, diceva che egli non credeva alla possibilità
di questo evento. Viceversa, l'evento era già compiuto,
realizzato. Sorpresa, giubilo, commozione, campane, fanfare, bandiere.
A tre mesi di distanza questi ardori si sono naturalmente attenuati.
Io vi farò quindi il discorso meno lirico possibile, il
più freddo possibile; e sono sicuro che non vi stupirete
se qua e là vedrete spuntare gli artigli della polemica.
Giova premettere ancora che non v'è stata nessuna improvvisazione,
nessuna precipitazione, nessun miracolo. Vi è stato il
logico risultato di determinate premesse storiche, morali e politiche.
Io ho continuato la strada che molti avevano percorsa fino ad
un certo punto: essi non arrivarono in fondo, il Fascismo v'è
arrivato! Ma tutto, nella storia, si tiene, e se la natura non
fa dei salti nel mondo fisico, non ne fa nemmeno nella storia
degli uomini. Prima constatazione: l'Italia ha il privilegio singolare,
di cui dobbiamo andare orgogliosi, di essere l'unica Nazione europea
che è sede di una religione universale. Questa religione
è nata nella Palestina, ma è diventata cattolica
a Roma. Altra constatazione: nei primi otto secoli del cristianesimo
non vi è traccia di principato civile nella storia della
Chiesa: ci sono soltanto, specialmente durante e dopo Costantino,
alcune proprietà più o meno vaste che formano il
nucleo primigenio del Patrimonio di San Pietro.
* * *
E solo attraverso le negoziazioni e gli atti tra Carlo Magno e
Leone III si costituisce il principato civile dei Pontefici romani.
Questo dura dieci secoli. Ma intanto, qual è la situazione
? Roma non è più la capitale dell'impero, e nemmeno
la capitale politica d'Italia; è la capitale religiosa
di tutti gli Italiani, di tutti i cattolici del mondo, ed è
la capitale politica di quel piccolo Stato che è lo Stato
Pontificio. Dieci secoli di guerre, di paci, di disordini, di
tumulti, di grandi eventi, di grandi miserie: tre fatti dominano
questo lungo percorso storico: la Riforma, il Concilio di Trento
e la captività avignonese. Alla fine del decimottavo secolo,
dopo la Rivoluzione francese, due Stati, in Italia, si trovavano
dolenti per consunzione dei loro tessuti organici: la Repubblica
di Venezia e lo Stato Pontificio. La Rivoluzione francese doveva
urtare, dopo aver fatto tabula rasa di tutte le istituzioni religiose
di Francia, contro lo Stato Pontificio: e ciò accadde nel
1796.
* * *
In un primo momento Napoleone lo rispetta, non occupa Roma, si
ferma a Tolentino; malgrado le sollecitazione atee e anticlericali
del Direttorio, egli non spinge la sua azione fino in fondo.
* * *
Ma poi, siccome quello del Pontefice era un principato civile
con territori, con porti, con una neutralità che era più
o meno rispettata, ma sulla quale Napoleone, ad ogni modo, vigilava
attentissimo, siccome tutto poteva nuocere o giovare a Napoleone
nello svolgimento delle sue interminabili guerre, entriamo nella
fase della rottura: piena, clamorosa, completa.
* * *
Era insensato da parte di Napoleone il pretendere di fare del
Santo Padre un Vescovo francese. Che cosa sarebbe diventato allora
il cattolicismo di tutti i paesi che non facevano parte dell'Impero
francese? Del resto, lo stesso Napoleone, nelle istruzioni al
Re di Roma, così giudicava la sua politica: "Le idee
religiose hanno ancora molto impero, più di quanto non
si creda da taluni filosofi. Esse possono rendere grandi servizi
all'umanità". "Essendo d'accordo col Papa - egli
diceva - si domina ancora oggi la coscienza di cento milioni di
uomini". Caduta di Napoleone. Congresso della Santa Alleanza.
Ristabilimento del potere temporale dei Papi. Ma questo potere
aveva già del piombo nell'ala; esso era già condannato
dalla Rivoluzione italiana, che continua, che ha i suoi episodi
gloriosi del '20, del '21, e del '31. La repressione molto severa
delle Romagne non basta a fermare il moto. È nel '43 che
Gioberti stampa, a Bruxelles, il suo famoso libro: Del Primato
civile e morale degli Italiani.
* * *
Nel '44 escono il libro di Balbo: Le speranze d'Italia, e quello
di D'Azeglio: Sugli ultimi casi di Romagna. Nel '46 sale alla
tiara Pio IX. Voi tutti conoscete l'entusiasmo immenso che i primi
atti di questo Pontefice suscitarono nel mondo italiano e cattolico
e le delusioni che ne seguirono, quando il Papa, nell'inverno
del 1848, dopo l'assassinio di Pellegrino Rossi, se ne andò
a Gaeta. Ma, intanto, la Repubblica Romana, dopo aver organizzato
il Governo, si trovò ancora di fronte alle difficoltà
della coesistenza di due poteri nella stessa sede.
* * *
Voi vedete che Napoleone, nel primo urto, e la Repubblica Romana
nel secondo, hanno sempre dinanzi questo problema, come far sì
che il Papa non sia suddito di alcun potere, perchè - come
dice De Maistre - il Papa nasce sovrano. Anche i pochi mesi della
Repubblica Romana aggiunsero altro piombo nelle ali del principato
civile dei Papi.
* * *
Nel '60, la spedizione dei Mille e i plebisciti. Perdute le Marche
e l'Umbria, il potere temporale dei Papi è ormai ridotto
al Lazio. Nell'ottobre del '60 si può dire che l'unità
della nazione sia compiuta. Appunto perché sul finire del
'60 mancavano soltanto la Venezia e il Lazio all'unità
della Patria, il problema di Roma diventava sempre più
spasimoso e urgente. I progetti fiorivano. I liberali toscani,
per esempio, guidati dal Salvagnoli, se ne andarono a Parigi per
proporre a Napoleone di lasciare Roma al Pontefice, più
una striscia sino al mare. Nel febbraio-marzo 1860 Vittorio Emanuele
II, a mezzo dell'abate Stellardi, elemosiniere di Corte, avendo
come obiettivo il riordinamento dello Stato Pontificio, proponeva
che "il Re di Sardegna esercitasse nella Romagna, nell'Umbria
e nelle Marche il potere esecutivo sotto l'alto dominio del Pontefice,
la cui suprema autorità avrebbe formalmente riconosciuta
e rispettata". L'11 ottobre 1860 Cavour pronunzia un discorso
e dice: "durante gli ultimi 12 anni la stella polare di Vittorio
Emanuele fu l'aspirazione all'indipendenza nazionale. Quale sarà
questa stella riguardo a Roma? La nostra stella, o signori, ve
lo dichiaro apertamente, è di fare che la Città
eterna, nella quale venticinque secoli hanno accumulato ogni genere
di gloria, diventi la splendida capitale del Regno italiano. Affermai
e ripeto che il problema di Roma non può, a mio avviso,
essere sciolto con la sola spada". Gli avvenimenti precipitano.
Nel dicembre 1860 si scioglie la Camera; il 27 gennaio 1861 ci
sono i comizi elettorali in tutta la penisola, esclusi il Lazio
e la Venezia Euganea il 19 febbraio 1861 si apre l'ottava legislatura,
la prima del Parlamento italiano; il 2 febbraio 1861 si approva,
al Senato, con due voti contrari un disegno di legge per la proclamazione
di Vittorio Emanuele Il Re d'Italia. Il 15 marzo 1861 lo stesso
progetto di legge viene approvato ad unanimità dalla Camera.
II Cardinale Antonelli in nome del Pontefice manda in data 15
aprile una protesta agli Stati. Ma intanto Cavour, come sarà
più ampiamente documentato nei volumi che sono in corso
di stampa, aveva veramente l'angoscia di giungere a una conclusione
nelle trattative col Sommo Pontefice. Tra il 2 e il 3 febbraio
del 1861 Cavour proponeva al Cardinale Antonelli, per mezzo di
Omero Bozini di Vercelli, quanto segue: "a) che la Corte
Romana riconoscesse e consacrasse Vittorio Emanuele Re d'Italia;
"b) che il Papa conservasse il diritto di alta sovranità
sopra il patrimonio di San Pietro, il quale però sarebbe
governato da Vittorio Emanuele e suoi successori quali vicari
del Sommo Pontefice ". Ad altre trattative più importanti
parteciparono, come ognuno di voi sa, il padre Passaglia, Diomede
Pantaleoni, Antonino Isaia. Queste trattative falliscono. Il 18
marzo 1861 Pio IX dichiara solennemente nel Concistoro di respingere
qualsiasi conciliazione. Il moto si accelera ancora di più.
Il 25 marzo 1861 Cavour si fa interpellare dal deputato Audinot,
e in quella e in una successiva seduta pronuncia due discorsi
che lo pongono nell'empireo degli uomini politici di tutti i tempi
e di tutte le nazioni. Questo freddo piemontese trova accenti
così solenni, così passionali, così ferrei
per rivendicare il diritto dell'Italia su Roma, che ancora oggi,
a distanza di sessant'anni, non si possono leggere quelle pagine
senza essere pervasi da una intima, intensa, profonda commozione.
Tuttavia egli non disperava di concludere. Sino all'ultimo momento,
quando stava per morire, egli diceva al frate che lo confessava
"Frate, frate, libera Chiesa in libero Stato" .
* * *
Prima di tutto Cavour era un cattolico, credente e praticante.
La sua tesi era questa: non si poteva andare a Roma con la violenza,
la violenza doveva essere la extrema ratio, bisognava andarvi
d'accordo con la Francia poiché è difficile scindere
la politica cavouriana dalla alleanza con la Francia. Bisognava
lasciare al Pontefice un tanto di territorio sul quale egli fosse
sovrano, che la sua sovranità, cioè, fosse ancorata
in un territorio, la Città leonina, per intenderci. Poi,
finalmente, la formula "libera Chiesa in libero Stato".
Ho molto riflettuto su questa formula; ma io credo che lo stesso
Cavour non si rendesse conto che cosa, in realtà, questa
formula potesse significare. Libera Chiesa in libero Stato! Ma
è possibile? Nelle nazioni cattoliche, no. Le nazioni protestanti
hanno risolto il problema, facendo in modo che il Capo dello Stato
sia anche il Capo della loro religione, e hanno costituito la
Chiesa nazionale. V'è un solo paese fra quelli di razza
bianca, dove la formula cavouriana sembra aver trovato la sua
applicazione: gli Stati Uniti. Là veramente lo Stato è
libero e sovrano, e le Chiese sono libere, ma perché? Perché,
come ha detto uno studioso di questi problemi, negli Stati Uniti
c'è un polverio di religioni per cui lo Stato non ne può
scegliere nessuna, né proteggerne alcuna. Io credo, invece,
che Cavour volesse intendere che lo Stato dovesse essere libero
completamente e sovrano in quelle che sono le proprie attribuzioni,
non soltanto però di ordine materiale pratico, come si
vorrebbe dare ad intendere - e su ciò torneremo tra poco
-, e che la Chiesa dovesse essere libera per il suo magistero
e per la sua missione pastorale e spirituale. Non si può
pensare una separazione nettissima tra questi due enti, perché
il cittadino è cattolico e il cattolico è cittadino.
Bisogna dunque determinare i confini tra quelle che sono le materie
miste. D'altra parte la lotta tra la Chiesa e lo Stato è
millenaria: o è l'Imperatore che domina il Papa o è
il Papa che domina l'Imperatore. Negli Stati moderni, negli Stati
a solida organizzazione costituzionale moderna, dato lo sviluppo
dei tempi, si preferisce vivere in regime di Concordato. Io credo
che Cavour volesse appunto pensare a una siffatta soluzione del
problema dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato. Siamo all'ultimo
decennio, quello che va dal 1860 al 1870. Tentativo disperato
di Aspromonte. Due anni dopo, le convenzione di settembre e conseguente
dissidio tra gli uomini che guidavano la Rivoluzione italiana
e che fu fortissimo. Intanto che cosa erano le convenzioni di
settembre? Un patto firmato a Saint Cloud il 15 settembre 1864
tra il Governo italiano e la Francia, che conteneva queste tre
clausole: 1. - L'Italia si impegnava a non attaccare il territorio
rimasto dopo il 1860 al Papa e ad impedire, anche con la forza,
ogni attacco esteriore a questo territorio; 2. - La Francia ritirava
le sue truppe nel termine di tre anni, man mano che veniva riorganizzato
l'esercito pontificio; 3. - Il Governo Italiano consentiva la
costituzione di questo esercito composto di stranieri. Parve in
quel momento che il Governo italiano, il quale stava per trasportare
la sua capitale a Firenze, avesse rinunziato alla conquista di
Roma.
* * *
Tuttavia, nel 1867, vi è il tentativo di Mentana, nel 1870
siamo alla conclusione, alla prima conclusione. In che modo? Il
2 agosto la Francia ritira le sue truppe, quelle che aveva mandato
prima e dopo Mentana. Roma è presidiata da un esercito
di stranieri - pochissimi gli italiani - guidati da un generale
straniero, il Kanzler. L'8 settembre c'è la missione di
Ponza di San Martino, che va a Roma per portare una lettera al
Santo Padre.
* * *
S. M. il Re Vittorio Emanuele II nella sua lettera al Sommo Pontefice
parlava del "Capo della Cattolicità, circondato dalla
devozione del popolo italiano, che doveva conservare sulle sponde
del Tevere una sede gloriosa e indipendente da ogni umana sovranità"
. La capitolazione della Città leonina veniva esclusa.
In data 29 agosto del 1870 il Ministro degli esteri Visconti Venosta
mandava una Circolare agli Ambasciatori e Ministri d'Italia, da
comunicare ai Governi, nella quale così si esprimeva: "Il
Sovrano Pontefice conserva la dignità, l'inviolabilità
e tutte le altre prerogative della Sovranità e inoltre
le preminenze verso il Re e gli altri Sovrani che sono stabilite
per consuetudine. Il titolo di Principe e gli onori relativi sono
riconosciuti ai Cardinali della Chiesa Romana. La Città
leonina resta sotto la piena giurisdizione e sovranità
del Pontefice. Si sa che il Tevere divide la città in due
parti, di cui l'una situata sulla riva destra del fiume, portò
un tempo il nome di Città Santa. La Città leonina
contiene oggi una popolazione di 15 mila anime e sarebbe suscettibile
di contenerne di più. Possiede una grande quantità
di Chiese e Palazzi. La Chiesa di San Pietro, il Vaticano e le
sue vaste dipendenze, le tombe degli Apostoli e dei Papi più
illustri, i numerosi monumenti religiosi ed artistici fanno della
città leonina una città rimarchevole ed una splendida
residenza per il Capo sovrano della Cattolicità".
Quando a Villa Albani, nella mattinata del 20 settembre 1870,
fu firmata la capitolazione per la resa della piazza di Roma tra
il Comandante generale delle truppe di S. M. il Re d'Italia e
il Comandante generale delle truppe pontificie, veniva stabilito:
"la Città di Roma, tranne la parte che è limitata
a sud dai bastioni di Santo Spirito e che comprende il Monte Vaticano,
Castel Sant'Angelo e gli edifizi costituenti la Città leonina,
il suo armamento completo, bandiere, armi, magazzini di polvere,
ecc., saranno consegnati alle truppe di S. M. il Re d'Italia.
Tutta la guarnigione del Palazzo uscirà con l'onore delle
armi, con bandiere, armi e bagagli, tutte le truppe straniere
saranno sciolte e subito rimpatriate per cura del Governo italiano.
Le truppe indigene saranno costituite in deposito, senz'armi,
e nella giornata di domani saranno mandate a Civitavecchia. Sarà
nominata, da ambo le parti, una Commissione composta da un ufficiale
d'artiglieria, ecc.". Per l'esercito italiano firmavano il
Capo dello Stato Maggiore, generale Domenico Primerano, e il Luogotenente
generale comandante il IV Corpo d'Esercito Conte Raffaele Cadorna;
per l'altra parte: il generale comandante le armi a Roma, Kanzler.
Voi vedete che, anche quando le truppe di Cadorna entrarono a
Roma, non varcarono il Tevere, non si spinsero sulla riva destra
del Tevere e anche quando, essendosi determinati disordini nella
Città leonina, furono chiesti rinforzi al Generale Cadorna,
questi, in una lettera al Cardinale Giovanni Antonelli, rispose
che "avrebbe mandato truppe per sedare i tumulti, ma non
vi sarebbero rimaste". Quando fu convocato il Plebiscito,
furono esclusi dalla convocazione gli abitanti della Città
leonina, i quali però, il 2 ottobre, votarono lo stesso,
e la sera si recarono in Campidoglio, dove furono ricevuti dal
padre del nostro camerata Blanc, il quale fece passare i trasteverini,
col loro plebiscito, colle bandiere e le fiaccole, e il plebiscito
fu accolto. Sette giorni dopo, una Commissione si recava da S.
M. il Re, a Firenze, per portare il risultato del plebiscito romano.
* * *
Ecco che cosa disse S. M. il Re, ricevendola "Io, come Re
e come Cattolico, nel proclamare l'unità d'Italia, rimango
fermo nel proposito di assicurare la libertà della Chiesa
e l'indipendenza del Sovrano Pontefice. E con queste dichiarazioni
solenni, io accetto dalle vostre mani, egregi signori, il plebiscito
di Roma e lo presento agli Italiani, augurando che essi sappiano
mostrarsi pari alla gloria dei nostri antichi e degni delle presenti
fortune". Magnifiche parole, degne di un gran Re. Nello stesso
giorno veniva emanato un decreto Reale da Firenze, importantissimo.
Questo decreto dice: "Art. 1. - Roma e la provincia romana
fanno parte integrante del Regno d'Italia. "Art. 2. - Il
Sommo Pontefice conserva la dignità, l'inviolabilità
e tutte le prerogative personali e sovrane. "Art. 3. - Con
apposita legge verranno sancite le condizioni atte a garantire,
anche con la franchigia territoriale, l'indipendenza del Sommo
Pontefice e il libero esercizio dell'autorità spirituale
della Santa Sede. Il presente decreto sarà presentato al
Parlamento per essere convertito in legge". Infatti fu presentato
al Parlamento e suscitò una grande discussione. Durante
questa discussione, in data 20 dicembre, il Ministro degli esteri
dei tempo, Visconti Venosta, affermava: "Si potrà
dire, o signori, che questo progetto della Città leonina,
di cui l'Europa non fu chiamata a prendere atto, ma che abbiamo
invece proposto al Pontefice, non è logico dal punto di
vista dell'abolizione del potere temporale, ma io credo che il
Paese non ci avrebbe condannato, ma ci avrebbe approvato, se in
cambio di questa concessione noi ci fossimo presentati ad esso
con la Questione Romana risoluta". "Era risoluto così
il più arduo, il più terribile problema della nostra
esistenza nazionale, e sgombrato l'avvenire da ogni incertezza
e da ogni difficoltà". Dovevano passare ancora cinquant'anni
perché questo punto di vista del ministro degli esteri
del tempo fosse realizzato. Si parlava, dunque, di franchigie
territoriali. A questo punto voi mi direte: " Ma perché
questa lezione storica?". Perché voglio dimostrarvi
i precedenti, perché voglio dimostrarvi che io sono conseguente,
e che non solo noi non rinneghiamo il Risorgimento italiano, ma
lo completiamo. Ci furono in quel torno di tempo, a Firenze, dove
era il Parlamento, tre discussioni interessantissime. La prima
fu provocata dal progetto di legge per il "trasporto"
della Capitale a Roma. Uomini eminentissimi non volevano, all'ultimo
momento, procedere a questo "trasporto". Brutta parola.
Non ve n'è un'altra . . .
* * *
I mesi che vanno dal settembre al dicembre 1870 furono penosissimi.
Proteste, perché si diceva che il segreto epistolare non
venisse più osservato; proteste, perché si era dovuto
sospendere il Concilio ecumenico; proteste per certe violenze
di cui si sarebbero resi colpevoli i soldati dell'Esercito italiano;
proteste, infine, per l'occupazione del Quirinale. E Visconti
Venosta, Ministro degli esteri del tempo, dovette mandare una
lunga circolare a tutti i nostri rappresentanti all'estero per
spiegare come qualmente il Re d'Italia aveva il diritto di entrare
al Quirinale. I cattolici di tutto il mondo, e di tutta Europa
specialmente, protestavano . . .
* * *
Fu gran ventura che, l'Esercito Italiano rimanesse sulla riva
sinistra del Tevere. Se il Papa fosse stato espulso dall'ultimo
angolo di territorio, dal suo palazzo insomma o se ne fosse andato,
gravi problemi si sarebbero affacciati davanti al Governo italiano.
Per fortuna, gli avvenimenti erano propizi. Chi poteva commuoversi
in quegli anni? Non la Francia, la quale era stata fiaccata dalla
Prussia: aveva bisogno di rifarsi, doveva pagare una ingente indennità,
ingente allora, adesso sarebbe uno scherzo. Non la Francia, che
aveva perduto due provincie di grandissimo pregio, che aveva ritirato
le sue truppe da Roma, già da tempo, e che tuttavia aveva
lasciato a Civitavecchia, quasi come un biglietto da visita, un
bastimento che si chiamava l'Orénoque, e che vi restò
fino al 1874. La Germania era l'astro che saliva prepotentemente
all'orizzonte in quel periodo di tempo, dopo tre guerre vittoriose:
quella del '64 per lo Schleswig-Holstein, quella del '66, che
fiaccò l'Austria a Sadowa, e quella del '70: ma la Prussia
era protestante. Bismarck non solo non pensava ad aiutare il Papa,
ma stava per ingaggiare quella lotta della KuIturkampf dalla quale,
bisogna dirlo, egli uscì battuto. L'Austria aveva nelle
ossa tutti i dolori delle guerre del Risorgimento, ed era all'indomani
di Sadowa, e soprattutto si trovava di fronte al problema per
cui è morta, non avendolo risolto il problema delle sue
molteplici razze, le quali avevano allora l'esempio di due popoli
che nel corso del secolo XIX erano assurti alla dignità
e all'indipendenza di Nazione: il popolo germanico e il popolo
italiano. Queste grandi Potenze mandavano, come mandarono in seguito,
dei messaggi patetici; ma non sempre con questi messaggi si modifica
il corso delle cose o si cambia la storia degli Stati. Venne così
in discussione, in quel torno di tempo, la legge sulle guarentigie
in conseguenza del decreto Reale del 9 ottobre, divenuto poi legge.
Vi parteciparono, tanto al Senato quanto alla Camera, degli uomini
notevoli e taluno di alta rinomanza: Toscanelli, Coppino, Boncompagni,
Berti, Bonghi, Crispi, Mancini e, naturalmente, i Ministri. Così
al Senato: Cambray-Digny, Menabrea, Capponi, Michele Amari, storico
eminentissimo. Infine, la discussione pose di fronte tre tendenze:
la Sinistra diceva: "voi date troppo al Papa". Un oratore
della Sinistra giunse ad affermare: "se voi date al Sommo
Pontefice tanto di terra quanto basta perché egli vi possa
posare sopra la sua sacra pantofola, voi restituite il potere
temporale al Papa". Precisamente l'on. Salvatore Morelli,
nella seduta del 24 gennaio 1871 così si esprimeva: "Quando
voi trovate nella legge queste condizioni: inviolabilità,
immunità dei luoghi dove siede d'ufficio il Pontefice,
senza controllo dello Stato, sudditanza dei poteri politici ed
amministrativi dei Regno ai servizi della Curia, lista civile,
onori di Re dovuti al Pontefice, internazionalità dei suoi
atti e legazie, dominio illimitato di esso sul basso clero, esenzione
dei Vescovi dal giuramento: quando voi avete queste condizioni,
come potete mettere in dubbio che il potere temporale sia restaurato
meglio e più forte di quanto non lo era prima della sua
caduta?". Questa era la tesi dell'on. Salvatore Morelli.
Viceversa la tesi dell'on. Toscanelli era esattamente agli antipodi:
"il Papa non deve sembrare a nessun popolo come soggetto
a subire le influenze di qualsiasi Stato: il giorno in cui ciò
fosse palese, egli avrebbe perduto il suo carattere di Pastore
universale". Quindi Roma, quindi la riva del Tevere, quindi
la solita striscia al mare. In mezzo, l'opinione media del Governo
di allora che, in realtà, con questa legge delle guarentigie
ha creato una sovranità. Il Papa non era più un
suddito, era un sovrano. Usando la terminologia di moda importata
dall'americanismo, potremo dire che questa sovranità era
al cento per cento? No, non era al cento per cento: mancava qualche
cosa, mancava il territorio. C'è la frase tipica: "continua
a godere"; ma in realtà era un tacito riconoscimento
di una sovranità territoriale; tant'è vero che negli
anni che seguirono, giammai ci fu un atto dello Stato italiano
che rivendicasse, anche lontanamente, una qualsiasi sovranità
nella cinta del Vaticano. A ciò si ridussero le "franchigie
territoriali" previste dal già ricordato decreto Reale
dell'ottobre 1870. La legge non fu accettata. Alla fine del 1871
l'Italia e Roma erano in questa singolare posizione: il Re usurpatore,
il Papa prigioniero. Il Papa, che non riconosceva l'unità
della Patria, che non riconosceva la conquista di Roma e che protestava
violentemente in tutti i suoi atti pubblici e diplomatici contro
la conquista di Roma, realizzata dalla Rivoluzione italiana. Tempi
duri, quelli! Tempi foschi! È solo nel 1874 che appare
uno spiraglio di luce; e questo spiraglio di luce è legato
al nome del vescovo Bonomelli. Bisogna ricordare con molta simpatia,
anche noi Fascisti, quella bella, degnissima figura di patriota
e di sacerdote!. . .
* * *
Nel 1878 muore il gran Re. V'è nel clero un moto di riaccostamento
alla Nazione, malgrado i veti delle supreme gerarchie della Chiesa.
In molte città d'Italia, specialmente della Lombardia,
specialmente della Provincia di Cremona, Vescovi e Parroci celebrano
grandi funerali alla memoria del Re. Ma il periodo più
interessante nella storia della Conciliazione è quello
che va dall'80 al '90, e che comincia nel 1881, col discorso tenuto
da Mons. Geremia Bonomelli, nel Duomo di Milano, presenti 16 Vescovi,
e centinaia di sacerdoti, nel quale discorso il Vescovo affermava
che la pace doveva farsi e che oramai la conquista di Roma doveva
essere ritenuta un fatto compiuto e irrevocabile. In quel periodo
di tempo, gli alti e i bassi della Conciliazione furono infiniti.
Quando il Re Umberto si recò a Firenze ad inaugurare la
nuova facciata di Santa Maria del Fiore e fu ricevuto dal Vescovo,
tutti credettero che la conciliazione fosse imminente. Quando,
di lì a qualche tempo, il Re si recò a Terni, e
vi fu ricevuto dal Vescovo di Terni, con tutti gli onori dovuti
a un sovrano, l'emozione fu grandissima, perché Terni apparteneva
agli ex Stati pontifici. Tutti si occupavano di conciliazione.
Se ne occupavano i Vescovi e i garibaldini. Stefano Türr,
per esempio, sentì il bisogno di stampare un opuscolo a
Parigi per raccomandare ed esaltare la Conciliazione. Non meno
interessante fu l'atteggiamento tenuto in quell'epoca dal garibaldino
Achille Fazzari, il quale era un valoroso, aveva combattuto ad
Aspromonte e a Mentana ed era stato ferito a Monte Libretti. Giuseppe
Garibaldi dedicandogli un sonetto lo chiamava "Mio caro figlio".
Questo energico calabrese stampò nel principio del 1886
una lettera ai suoi elettori di Catanzaro, che cominciava con
queste parole: "bisogna fare la Conciliazione". Questa
tesi egli sostenne in lunghe vivaci polemiche superanti anche
le frontiere . . .
* * *
È di questo decennio singolarissimo l'episodio Tosti, "quel
buon matto di Tosti", come lo chiamava Pio IX. Quando usci
il suo opuscolo, il clamore fu infinito, ma l'Osservatore Romano
lo bollava con queste parole: "è uscito il monumento
ciclopico della ingenuità cassinese". Era il momento
in cui non si mollava. Leone XIII, visto che Bismarck non marciava,
malgrado la démarche Galimberti, e visto che anche Francesco
Giuseppe si limitava a generiche assicurazioni, manifestava il
desiderio che fosse tolto di mezzo il funesto dissidio; però
l'Osservatore Romano del 28 maggio 1887 aggiungeva: "la giustizia
è una sola e inflessibile. Essa importa la restituzione
di quanto fu tolto e la riparazione dei diritti della Santa Sede
violati dalle congiure delle sètte; importa il ristabilimento
del potere temporale, specialmente sulla Città di Roma".
Nel 1887 eravamo dunque in pieno temporalismo. La città
di Roma era il minimo delle pretese . . . . . Padre Tosti aveva
scritto un opuscolo, il cui protagonista si chiamava "Don
Pacifico". Era un ottimo personaggio, questo frate, ma apparteneva
al genere di quegli uomini che sono espansivi al sommo grado e
panglossiani altresì, che credono che certe questioni grossissime
possano essere risolte con una parola, con un gesto, con un sorriso.
Egli pensava che un incontro tra Umberto e il Papa avrebbe condotto
alla pace, che tutto consistesse nel combinare questo incontro.
Non era quindi un problema politico; era più un problema
di procedura, oserei dire di protocollo. Don Davide Albertario,
il tempestoso Don Albertario, il nemico di Geremia Bonomelli,
scrisse subito un contropuscolo, e se il protagonista dell'opuscolo
del Tosti fu "Don Pacifico", il protagonista del contropuscolo
dell'Albertario si chiamava "Don Belligero", e aveva
inalberato quest'insegna: "restituzione o dannazione".
È singolare che il libro di Mons. Geremia Bonomelli, stampato
nel 1889, dopo essere stato pubblicato come articolo sulla Rassegna
Nazionale, pur essendo giunto alla quinta edizione allora, oggi
sia quasi introvabile. Ho dato ordine che sia ristampato.
* * *
Ma che cosa proponeva Mons. Bonomelli? Citiamo testualmente dal
suo opuscolo: "Dunque diasi al Papa almeno la riva destra
di Roma, con una striscia fino al mare, con una zona di qualche
chilometro dietro al Vaticano, dove si potrebbe a poco a poco
fabbricare una città nuova; essa sarebbe un Principato
di Monaco, una piccola repubblica di San Marino, o delle Andorre,
alcun che di simile. Qui non vi sarebbe alcun bisogno di pubblici
uffici, né di guarnigioni, per la sua piccolezza non potrebbe
suscitare timori e gelosie nel Governo Italiano, né in
altri Governi. Sarebbe un Vaticano allargato con una popolazione
di una diecina di migliaia di anime o poco più. Pel Governo
non creerebbe alcun imbarazzo e lo libererebbe da molti e tosto.
Sarebbe una miniatura di Stato, senza noie, senza cura, senza
pericoli pel Papa, un ornamento per la Roma regia, una singolarità
per l'Europa. Tutti gli uffici ecclesiastici trasportati nella
nuova Sion, con le sue poste e telegrafi, con un tronco di ferrovia
e tutti gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede alloggiati
intorno al Vaticano, quasi testimoni e sentinelle veglianti alla
sua sicurezza. "La nuova cittadella sarebbe una terra di
Gessen, un'oasi felice, un santuario nel cuore d'Italia, un asilo
di pace, il porto sicuro e tranquillo, il punto che irraggi lume
su tutta la terra e "al qual si traggon d'ogni parte i pesi",
il centro del mondo cattolico, la novella Sion, donde partirebbero
gli oracoli e le parole di vita. Quale spettacolo! Qual gloria
per l'Italia nostra! Da una parte, sul Quirinale, il Re d'Italia;
dall'altra, la forza morale, la prima forza morale d'Italia e
del mondo dall'una parte la spada, dall'altra il pastorale; dall'una
parte il Pontefice che prega e benedice; dall'altra il Re, che
impera: dall'una parte l'uomo della pace, dall'altra l'uomo della
guerra; dall'una parte gl'interessi del cielo e delle anime, dall'altra
gli interessi della terra e dei corpi; dall'una parte muovono
le schiere dei pacifici conquistatori, che portano la civiltà
del Vangelo alle terre più lontane, dall'altra, muovono
gli eserciti che difendono le frontiere della Patria e si regolano
le flotte che solcano i mari: da una parte si curano i bisogni
del tempo, dall'altra si provvede a quelli della eternità.
I mille e mille pellegrini, laici e religiosi, missionarii, suore,
Vescovi, uomini d'arti, di scienze, di lettere e d'armi che accorrono
a Roma, dopo aver visitato la Roma antica dei Cesari, la nuova
Roma d'Italia, varcando il Tevere deporrebbero a' piedi del Pontefice
i loro omaggi, ammirerebbero la grandezza e le glorie di Roma
cristiana cattolica. La destra e la sinistra del Tevere, il Quirinale
e il Vaticano, il Papa ed il Re, la religione e la patria, riunirebbero
a vicenda i riflessi del loro splendore, i raggi della loro gloria,
e il grido di giubilo di tutta Italia pacificata saluterebbe il
Maestro infallibile della Fede e il difensore della Patria. La
destra e la sinistra dei Tevere, sarebbero i due fuochi della
ellissi italiana, come scriveva Vincenzo Gioberti. L'Italia sarebbe
ancora la terra privilegiata, faro del mondo e segno di invidia
ai popoli. I nostri occhi verserebbero lacrime di gioia inesprimibile;
i nostri cuori balzerebbero concitati, colmi, riboccanti di giubilo
in quel dì, che il Re e l'amabile Regina col giovane Principe,
accompagnati dalla Corte salissero le scale del Vaticano, e il
candido Vegliardo, che vi risiede, muovesse loro incontro e si
abbracciassero, e i due grandi e supremi amori della Religione
e della Patria si confondessero in un solo e santo amore. Quel
giorno, nel quale il Vegliardo del Vaticano uscisse e si volgesse
al Quirinale, tutta Roma si precipiterebbe su i suoi passi, cadrebbe
ginocchioni, leverebbe le mani a lui, acclamando e benedicendo:
festa simile a quella l'Italia non l'avrebbe mai vista. La bocca
della empietà sarebbe chiusa, la Religione tornerebbe regina,
e il suo trionfo sarebbe assicurato. Io domando al cielo di poter
veder quel giorno avventurato, e poi morire. "Ma dove sono?
Ho io sognato? Sì, ma talvolta i sogni sono profetici,
e chi sa che Iddio pietoso, che amò l'Italia sopra tutte
le nazioni, che la sostituì al popolo eletto, che la fè
centro del mondo cattolico, alle altre innumerevoli prove dell'amor
suo aggiunga anche questa!". E più oltre: "Ma
perché questa miniatura di Stato indipendente, neutralizzato,
sulla destra del Tevere, sia possibile e durevole, che cosa si
esige? Che sia creata, non da forza straniera, né materiale,
né morale, ma dagli italiani stessi. Questa nuova creazione
deve erompere dalla persuasione intima, spontanea della nazione,
la quale sa di far cosa utile e necessaria a se stessa, che lungi
dall'affievolirla la rafforza, lungi dal dividerla la unisce,
lungi dall'umiliarla l'onora altamente in faccia al mondo. Onora
e afforza altresì la S. Sede, perché assicura la
sua indipendenza e dignità, perché disarma un partito
potente, che la combatte, perché mostra al mondo il suo
amore per la pace, per l'unità d'Italia, perché
l'opera del Clero sarà più libera e fruttuosa e
avrà nel Parlamento e nel Senato voci eloquenti che difenderanno
gli interessi morali e religiosi senza timore di sentirsi dire
in faccia: Voi siete nemico della Patria! Questa sovranità
in miniatura scioglie la Santa Sede dalle cure secolaresche, che
in passato le recarono non piccolo danno, la libera delle noie
e lotte diplomatiche, perché la piccolezza sua sarebbe
una quantità minima negli affari politici d'Europa, e,
sia pace, sia guerra, il Papa non avrebbe di che temere. Su quell'Eden
fortunato e tranquillo sarebbe perpetuo il sorriso del cielo,
sempre pura e limpida la luce del sole. Questa Conciliazione e
questa creazione d'una sovranità vera in sé, ma
nominale quanto all'importanza materiale, potrebbe ricevere la
sanzione delle Potenze e avere unitamente alla legge delle guarentigie,
opportunamente modificata, una saldezza maggiore, quella saldezza
che è possibile nelle cose umane, giacché una saldezza
assoluta non c'era nell'antico Potere temporale, né è
delle cose nostre sulla terra". Intanto il decennio 1880-1890
che fu tumultuoso ed agitato per la Conciliazione, per le polemiche
che ad essa si riattaccavano, per i vani tentativi di Crispi,
cominciava nel 1881 con le scene veramente scandalose che si svolsero
a Roma, quando vi fu il trasporto notturno della Salma di Pio
IX, dal Vaticano a San Lorenzo, e si concludeva nel 1889 con l'inaugurazione
del monumento a Giordano Bruno. La tensione tra le due potestà
in quel periodo di tempo fu acutissima. Veniamo all'ultimo decennio.
Nel 1892 c'è un avvenimento che ha la sua importanza nella
storia politica italiana. A Genova, nella sala Sivori, il Partito
socialista si stacca dal complesso degli anarchici e anarcoidi.
Nel 1895 nuova tensione fra lo Stato e la Santa Sede, quando un
deputato, Vischi, propone, sostenuto dall'on. Pilade Mazza e da
altri, che il 20 settembre fosse proclamato festa nazionale. Ma
intanto negli anni 1893-94, l'Italia, dalla Sicilia alla Lunigiana,
fu scossa da un moto di carattere sociale. Nuove masse stavano
per entrare nella vita della nazione con diversi bisogni e diversi
ideali. C'era qualche cosa che maturava nel sottosuolo. Pochi
anni dopo il Pontefice Pio X sale al fastigio supremo; ma la situazione
non cambia. Questo Papa che debella il modernismo, questo Papa,
che per la prima volta toglie il veto, il non expedit agli emigrati
all'interno, come erano chiamati i cattolici dopo il 1870, questo
Papa che immette tutte le forze cattoliche nella vita della Nazione,
è tuttavia il Papa che mantiene la sua univoca protesta
e la mantiene in un modo clamorosissimo, signori, rompendo le
relazioni diplomatiche con la Francia che aveva mandato Loubet
a visitare il Re d'Italia nella Capitale. Ma intanto, che cosa
era accaduto? Dal 1880 al 1905 tutto il tessuto della vita sociale
italiana si era trasformato. Se negli anni dal 1839 al 1842 apparvero
le prime timide ferrovie tra Napoli e Portici, Milano e Monza,
dal 1875 al 1905, in quei trenta anni, il tessuto sociale, economico
della nazione italiana, si trasforma profondamente, nasce una
borghesia - uso questa parola anacronistica per intenderci meglio
- . . . È vero che il Papa Pio X tende a rafforzare il
carattere universalistico del papato, ma sa che per mantenere
questo carattere universalistico, il Papa deve in qualche parte
del globo terracqueo essere sovrano, e questa sovranità
non gli può essere riconosciuta che nelle forme con le
quali il Fascismo gliel'ha data. Siamo alla Guerra mondiale. C'è
una dichiarazione importantissima, del 20 giugno 1915 e di cui
bisogna tener conto. Notate - sia detto per incidenza - che alcuni
mesi dopo la dichiarazione di guerra, il Re di Spagna era disposto
a cedere al Papa il palazzo dell'Escuriale, e i Vescovi spagnoli,
con pubblica lettera, ne fecero offerta formale a Benedetto XV.
Nel pieno della guerra mondiale, quando già l'Italia era
intervenuta da un mese, il Cardinale Gasparri dichiarava che la
Santa Sede aspettava la sistemazione della sua situazione in Italia,
non dalle armi straniere, ma dal senso di giustizia del popolo
italiano, nel suo verace interesse. Questa ripulsa di qualsiasi
intervento straniero schiariva l'orizzonte e facilitava enormemente
la soluzione della questione. Nel 1919 ci furono degli approcci
tra la Santa Sede e il Presidente del Consiglio di allora, on.
Orlando. È una pagina di storia inedita che io vi leggo
e che è molto interessante. Nel maggio 1919 il prelato
americano Mons. Kelley, ora vescovo di Oklanoma, negli Stati Uniti,
si trovava a Parigi per sostenere presso la Conferenza della Pace
la causa dei vescovi messicani, allora in esilio negli Stati Uniti
per la rivoluzione di Carranza. Dal Cardinale Mercier egli fu
invitato a sondare il terreno presso le persone influenti intorno
alla Conferenza per vedere se fosse possibile trattare della soluzione
della Questione Romana. Il 17 maggio egli incontrò il Signor
Brambilla, consigliere della Delegazione Italiana alla Conferenza
della Pace, che egli già conosceva, e il discorso venne
sulla Questione Romana. Il Brambilla lo invitò per l'indomani
a recarsi presso di lui all'Hôtel Ritz, dove lo avrebbe
fatto incontrare con "un importante personaggio". L'importante
personaggio era l'on. Orlando, che in quel colloquio trattò
a fondo della Questione Romana, esaminando le convenienze e le
possibilità pratiche di una sua soluzione. Quantunque Monsignor
Kelley dichiarasse di non avere nessuna autorità a trattare
e di agire soltanto per propria personale iniziativa, la discussione
volse anche intorno ai punti sostanziali dell'eventuale soluzione.
Si parlò di un territorio che cominciasse da Ponte Sant'Angelo,
includendovi il Castello, di uno sbocco al mare e di una garanzia
delle altre nazioni, da ottenersi attraverso la Lega delle Nazioni.
Monsignor Kelley doveva partire all'indomani per l'America, ma
avendo il piroscafo ritardato di due giorni la partenza, tra il
18 e il 20 maggio, Brambilla ben cinque volte, a nome di Orlando,
insistette presso il Prelato perché invece di tornare in
America, andasse a Roma, a riferire al Cardinale Segretario di
Stato. Monsignor Kelley alla fine acconsentì, e arrivò
a Roma il 22 maggio, lo stesso giorno andò in Vaticano
da Mons. Cerretti, allora Segretario degli Affari ecclesiastici
straordinari, che lo accompagnò subito dal Cardinale Gasparri,
al quale espose tutto colla massima precisione. Il Cardinale e
Monsignor Cerretti andarono subito dal Papa e tornarono, dopo
un'ora, dicendo che lo stesso Mons. Cerretti il giorno 24 sarebbe
partito per Parigi per incontrarsi con Orlando, e che Monsignor
Kelley lo avrebbe accompagnato, senza però più occuparsi
della Questione Romana. Il primo giugno, previi accordi con Brambilla,
Mons. Cerretti si incontrò con l'on. Orlando nella camera
135 dell'Hôtel Ritz. Orlando confermò tutta la conversazione
avuta con Mons. Kelley. Monsignor Cerretti gli sottopose un breve
esposto della Questione e della sua possibile soluzione, scritto
di propria mano dal Cardinale Segretario di Stato. Finita la lettura
del documento, Orlando disse che, in massima, accettava, e si
passò alla discussione dei punti principali. Si trattava
sempre di una notevole estensione territoriale, la quale il promemoria
del Vaticano domandava cominciasse dal fiume, per avere in questo
una visibile linea di confine che comprendesse i Borghi e altro
territorio notevole di là dal Vaticano. Orlando preferiva
invece che il territorio cominciasse con il Vaticano e si estendesse
dietro questo per escludere una parte molto abitata della città.
Si concluse che la questione del territorio si sarebbe potuta
più agevolmente discutere poi, perché, una volta
assodata la base territoriale, la maggiore o minore estensione
del territorio stesso diventava una questione intorno alla quale
sarebbe stato facile trattare. Un altro punto importante della
discussione fu intorno al riconoscimento delle altre Potenze,
perché, secondo il promemoria, il territorio Pontificio
avrebbe dovuto essere garantito anche dalle altre nazioni. Questa
garanzia si sarebbe potuta chiedere e ottenere attraverso la Società
delle Nazioni, che appariva allora all'orizzonte e della quale
in quel momento si aveva un concetto molto maggiore di quella
che fu poi la realtà. L'on. Orlando disse che l'Italia
stessa avrebbe domandato a questo scopo l'entrata della Santa
Sede nella Lega. Il 9 giugno Brambilla, per incarico di Orlando,
andò da Monsignor Cerretti a dirgli che il Presidente aveva
incaricato l'on. Colosimo di informare del progetto tutti i Ministri
ed il Re, ed infatti in quei giorni i giornali annunziarono che
l'on. Colosimo era stato ricevuto dal Sovrano. Ma il 15 giugno,
l'on. Orlando, tornato a Roma, ed affrontato il voto della Camera,
si trovò in minoranza e diede le dimissioni. Di queste
trattative si ha la documentazione nelle note tanto di Mons. Kelly,
quanto di Mons. Cerretti, ora Cardinale. Le note anzi di Mons.
Cerretti, furono mostrate qualche tempo dopo gli avvenimenti allo
stesso on. Orlando, che le trovò pienamente esatte. Le
conversazioni con i successori di Orlando - pre-fascismo - non
ebbero altra base che quella stessa che era stata messa con l'on.
Orlando, e furono anche meno importanti di quelle avvenute con
quest'ultimo. Intanto la Francia ritornava a Roma, chiudendo la
parentesi della rottura prodotta dalla visita di Loubet al Re
d'Italia nel 1904. Millerand, in nome del Governo Francese, così
si esprimeva: "il Governo della Repubblica giudica venuto
il momento di riannodare col Governo Pontificio le nostre relazioni
tradizionali. Il Governo Francese deve essere presente laddove
si dibattono questioni che interessano la Francia. Questa non
potrebbe restare più a lungo assente dal Governo Spirituale,
presso il quale la più parte degli Stati hanno avuto cura
di farsi rappresentare". Tutti gli Stati, signori, meno l'Italia.
Vi consiglio di procurarvi l'Annuario Pontificio del 1929, perché
vi troverete l'elenco di tutti i diplomatici accreditati presso
la Santa Sede, e avrete anche una idea della potentissima organizzazione
cattolica in tutto il mondo. Naturalmente, il ritorno della Francia
a Roma suscitò delle polemiche di cui è rimasta
traccia in una pubblicazione del Ministero degli Esteri, che vi
consiglio di leggere anche per abbreviare il mio discorso. È
intitolata: "Una nuova discussione su i rapporti fra la Chiesa
e lo Stato in Italia". Tutti i giornali dell'epoca avvertivano
essere ora di concludere e che, essendo oramai tutte le Potenze
civili rappresentate presso il Vaticano, era veramente, alla fine,
grottesco che non vi fosse rappresentata la Potenza Italiana.
Si pubblicarono degli opuscoli curiosi, in quel periodo di tempo.
Uno di questi opuscoli, a firma Constantinus, - qualcuno volle
vedervi sotto un eminentissimo personaggio della Corte Vaticana,
ma in realtà si trattava di un importante personaggio sì,
ma laico, - annunziava e proponeva uno schema di Trattato di Pace
tra l'Italia e la Santa Sede. All'art. 2 diceva: "le Alte
Parti contraenti dichiarano a vicenda di riconoscere pacifica
la situazione territoriale determinatasi dopo quell'epoca, salvo
quanto è stabilito nel seguente Trattato". Quindi,
uno stato di fatto che doveva diventare uno stato di diritto.
Di notevole importanza un opuscolo, intitolato: Il partito popolare
- quello defunto - e la Questione Romana, nel qual si affermava
che bisognava riconoscere la sovranità della Santa Sede
sui Palazzi Vaticani. Altro avvenimento di maggiore importanza
fu la deliberazione con cui il Papa non faceva più proteste
per visite di Sovrani cattolici a Roma. Eravamo entrati in un
periodo di distensione dei nervi. Questa distensione si accrebbe
con l'assunzione alle Somme Chiavi di Papa Achille Ratti, quando,
per la prima volta dopo il 1870, il Papa apparve alla loggia esterna
di San Pietro e benedisse la folla immensa. Gli italiani ebbero
l'impressione che, con questo Pontefice, qualche cosa si sarebbe
concluso. E, naturalmente, le speranze precedettero gli eventi
e si credette che la cosa sarebbe stata facile, semplice, rapida.
Si pensava che il nuovo Papa non avrebbe insistito sulla posizione
ormai tradizionale di tutti i Pontefici. Errore. Difatti, nella
prima Enciclica di Pio XI, il punto di vista riaffermato continuamente
dalla Santa Sede veniva ancora una volta illustrato. Si ricordavano
in essa la natura divina della sovranità Pontificia, gli
inviolabili diritti delle coscienze di milioni di fedeli in tutto
il mondo e la necessità che questa stessa sovranità
non apparisse soggetta ad alcuna umana autorità o legge,
sia pure una legge che portasse delle guarentigie per la libertà
del Romano Pontefice, ma fosse del tutto indipendente e tale anche
manifestamente apparisse.
* * *
Intanto il Fascismo faceva una politica religiosa, sanamente religiosa.
I fatti di questa politica vi sono stati prospettati qui da molti
oratori; non avevamo fobie, né scrupoli. Il Fascismo fu
il primo a proteggere le processioni: grandi centenari si svolsero
nella più grande tranquillità; l'anno del Giubileo
fu perfetto. Fascisti della prima ora figuravano nel comitato
per il Congresso Eucaristico a Bologna. Politica sincera, risultato
di posizioni dottrinali nettamente stabilite. Si andò anche
più in là: si cercò di rivedere tutta la
materia della legislazione ecclesiastica.
* * *
Tuttavia, quando pareva si dovesse concludere, il 18 febbraio
1926, riferendosi ai lavori compiuti dalla Commissione mista per
la riforma della legislazione ecclesiastica, il Papa affermava:
"che nessuna conveniente trattativa, nessun legittimo accordo
aveva avuto luogo, né poteva aver luogo, finché
durasse l'iniqua condizione fatta alla Santa Sede e al Romano
Pontefice". Voi vedete da queste citazioni che la intransigenza
dei Papi da questo punto di vista è stata sempre immutabile.
Questa ultima dichiarazione del Papa ha la data del 18 febbraio
1926. Siamo nell'anno in cui cominciano le trattative. Nell'estate
del 1926 io non pensavo, a dirvelo schiettamente, a risolvere
la Questione Romana. C'era un problema che mi angustiava in quell'epoca,
il problema della lira. Sentivo quel problema come uno dei problemi
del Regime, del prestigio, della dignità, della solidità
del Regime. E ancora oggi, su questo campo, sono intrattabile
e inesorabile. Apro una parentesi per mandare un saluto reverente
alla memoria del prof. Barone; uno della Commissione dei 18, giurista
di alta fama, fascista, il quale si era dato a queste trattative
con un'ansia, con un fervore e con una diligenza d'italiano e
di fascista veramente ammirevoli. Si può dire che egli
è morto sulla breccia, tanta era l'ansia, con cui seguiva
queste lunghe faticose trattative. Dal suo diario, che io possiedo,
risulta che, in data 5 agosto 1926, un Monsignore manifestò
al prof. Barone la possibilità di iniziare trattative per
risolvere la Questione Romana. Nell'agosto '26 si ha un colloquio
Barone-Pacelli; il 23 agosto '26 il Consigliere Barone, a seguito
di due precedenti colloqui, espone, in un suo rapporto scritto,
quali siano i capisaldi dei propositi della Santa Sede per la
sistemazione della Questione Romana. Il 4 ottobre 1926, Mussolini
consegna al Consigliere Barone un autografo col quale lo incarica
di chiedere alla Santa Sede a quali condizioni sia disposta ad
addivenire ad una amichevole, generale, definitiva sistemazione
dei suoi rapporti con lo Stato italiano. Il 6 ottobre il Cardinale
Gasparri scrive a Pacelli rispondendo, in massima, in modo affermativo
alle richieste. Il 10 dicembre 1926 S. M. il Re autorizza l'apertura
delle trattative ufficiali.
* * *
Nell'agosto 1926 la Santa Sede poneva le seguenti proposizioni:
l'iniziativa deve muovere dal Governo italiano; il Governo italiano
deve dichiarare che le trattative si svolgeranno prescindendo
dalla legge sulle guarentigie; sulle trattative deve essere mantenuto
il più assoluto segreto. E infatti è evidente che
se abbiamo concluso, lo si deve anche alla magnifica disciplina
che abbiamo imposto al popolo italiano.
* * *
In data 24 ottobre 1926 il Cardinale Segretario di Stato fissava
i seguenti punti: "1. - la condizione che si vuol fare alla
Santa Sede deve essere conforme alla sua dignità e alla
giustizia; 2. - perciò essa deve essere tale che le garantisca
piena libertà e indipendenza, non solamente reale ed effettiva,
ma anche visibile e manifesta, con territorio di sua piena ed
esclusiva proprietà, sia di dominio che di giurisdizione,
come conviene a vera sovranità, e inviolabile a ogni evenienza;
3. - per questi motivi, e anche perché trattasi di cosa
che evidentemente esorbita dai confini dell'Italia, è necessario
che il nuovo assetto politico territoriale sia riconosciuto dalle
Potenze; 4. - spetterà al Governo Italiano assicurare,
in via di massima, tale riconoscimento almeno da parte delle Potenze
europee, con le quali la Santa Sede e l'Italia hanno rapporti
diplomatici, prima di aprire le trattative ufficiali; 5. - alla
convenzione politica conviene abbinare una convenzione concordataria
che regoli la legislazione ecclesiastica in Italia; 6. - è
appena necessario aggiungere che le eventuali convenzioni dovranno
essere sempre approvate dalla autorità politica e costituzionale
in Italia, cioè dal Re e dal Parlamento ". Finalmente,
in data 31 dicembre 1926, io indirizzavo questa lettera a S. E.
il Cardinale Segretario di Stato: - "Eminenza! Con riferimento
allo scambio di idee avvenuto a mezzo dei nostri fiduciari, Consigliere
Barone e prof. Pacelli, in ordine alla possibilità di addivenire
a una definitiva e irrevocabile sistemazione dei rapporti tra
il Regno d'Italia e la Santa Sede, sistemazione la quale, assicurando
alla Santa Sede una posizione di sua soddisfazione, dia luogo
al riconoscimento da parte della medesima degli avvenimenti che
culminarono nella proclamazione di Roma Capitale del Regno d'Italia,
sotto la Dinastia di Casa Savoia, mi è grato di indirizzare
a Lei lo stesso Consigliere di Stato dott. prof. Barone, cui conferisco
incarico ufficiale di trattare per la formale sistemazione di
detti rapporti. "Queste trattative, alle quali sono autorizzato
da S. M. il Re, si svolgeranno da parte del Consigliere Barone,
con la più assoluta segretezza e ad referendum. Nella fiducia
che esse meneranno a risultato favorevole e che in tal modo potrà
essere preparata una nuova era nei rapporti tra l'Italia e la
Chiesa, mi è grato rinnovare a V. E. le espressioni del
mio profondo ossequio". Siamo, dunque, alla fine del 1926.
Avete veduto come erano poste le premesse dei negoziati. Ecco
che, in questo scorcio del 1926, io mi sono trovato di fronte
a una di quelle responsabilità che fanno tremare le vene
e i polsi di un uomo. Responsabilità tremenda che non solo
risolveva una situazione del passato, ma anche impegnava il futuro!
E non potevo chiedere consiglio a chicchessia; solo la mia coscienza
mi doveva segnare la strada attraverso penose, lunghe meditazioni.
Ma io pensavo e penso che una rivoluzione è rivoluzione
solo in quanto affronta e risolve i problemi storici di un popolo.
È una rivoluzione il Risorgimento perché affrontò
il problema capitale dell'unità e dell'indipendenza italiana;
rivoluzione è quella Fascista, che crea il senso dello
Stato e risolve, man mano che si presentano, i problemi che il
passato le ha lasciato. La Rivoluzione doveva affrontare questo
problema, pena la sua impotenza; e le soluzioni erano queste:
o dichiarare abolita la legge delle guarentigie e dire: la Rivoluzione
Fascista considera il Sommo Pontefice alla stregua del supremo
moderatore delle Tavole Valdesi o del Gran Rabbino, soluzione
assurda e di un rischio enorme, oppure conservare lo status quo,
continuare in questa atonia, in questa cronicità esasperante,
indegna di una Rivoluzione. La terza strada era quella di affrontare
il problema in pieno. Perché, quando si diceva: "occorre
una sovranità", non si sapeva quali confini questa
sovranità dovesse avere. Si andava dal Po al Garigliano.
Era la città leonina? Era soltanto il Vaticano? Nessuno
poteva rispondere a queste domande prima di averle poste a chi
di ragione. Ebbene, o signori, non abbiamo risuscitato il potere
temporale dei Papi: lo abbiamo sepolto. Coi Trattato dell'11 febbraio
nessun territorio passa alla Città del Vaticano all'infuori
di quello che essa già possiede e che nessuna forza al
mondo e nessuna rivoluzione le avrebbe tolto. Non si abbassa la
bandiera tricolore, perché là non fu mai issata.
Quando gli inglesi ci lasciarono il Giubaland, all'atto di ammainare
la bandiera, la misero in un barile di terra perché volevano
che la bandiera inglese fosse ammainata sopra una terra che essi
avrebbero portato con loro. Questo vi dice che cosa è la
bandiera, che cosa rappresenta nell'anima e nello spirito di una
Nazione la bandiera. E se non vi è cessione di territorio,
vi è forse passaggio di sudditi? Nessuno, nessun italiano
che non lo voglia per sua propria spontanea volontà, diventerà
suddito di quello Stato che noi, con atto spontaneo della nostra
volontà di fascisti e di cattolici, abbiamo creato. Ora,
stando così le cose, io mi decisi a continuare le trattative.
Bisogna riconoscere che, dall'altra parte, le difficoltà
erano notevoli. C'è tutta una tradizione ininterrotta di
Papi che avevano reclamato per lo meno Roma, e un Pontefice doveva
assumersi la veramente terribile responsabilità di cambiare
indirizzo a questa azione. Anche il Santo Padre doveva consultare
la propria coscienza, perché, probabilmente, se avesse
chiesto consiglio attorno, molti, quelli che ancora sognano i
vecchi tempi, quelli che hanno ancora negli orecchi le memorie
dell'Orénoque, o le nostalgie dell'intervento straniero,
molti di costoro avrebbero agito per dissuaderlo. Abbiamo avuto
la fortuna di avere dinanzi a noi un Pontefice veramente, italiano.
Egli non si dorrà, io credo, se la Camera Fascista gli
ha tributato questo plauso sincero. Egli è il Capo di tutti
i cattolici, la sua posizione è supernazionale. Ma egli
è nato in Italia, in terra lombarda e ha, della gente lombarda,
la soda praticità e il coraggio delle iniziative. È
un uomo che ha molto vissuto all'estero; ciò ha molto acuito,
non attenuato, il suo senso di italianità; egli è
uno studioso, che accoppia a un sentimento fervidissimo una dottrina
formidabile; egli, sopra tutto, sa che il Regime Fascista è
un Regime di forza, ma è leale: dà quello che dà
e non di più, e lo dà con schiettezza, con franchezza,
senza sotterfugi; egli sa che ci sono delle questioni nelle quali
siamo intransigenti al pari di Lui. Se durante tutto il 1927 le
cose stagnarono e tutto si limitò al mantenimento di personali
contatti, ciò si deve al dissidio determinato per l'educazione
delle giovani generazioni, per la questione dei boy-scouts cattolici,
questione la cui soluzione voi conoscete. Un altro Regime che
non sia il nostro, un Regime demoliberale, un Regime di quelli
che noi disprezziamo, può ritenere utile rinunziare all'educazione
delle giovani generazioni. Noi, no. In questo campo siamo intrattabili.
Nostro deve essere l'insegnamento. Questi fanciulli debbono essere
educati nella nostra fede religiosa, ma noi abbiamo bisogno di
integrare questa educazione, abbiamo bisogno di dare a questi
giovani il senso della virilità, della potenza, della conquista;
sopra tutto abbiamo bisogno di ispirare loro la nostra fede, e
accenderli delle nostre speranze. Nel 1928 conclusa la parentesi
"scoutistica", le trattative riprendevano. La Santa
Sede aveva chiesto, non veramente in sovranità, ma in proprietà,
il terreno intermedio che nomasi la "Valle del Gelsomino"
e Villa Doria Pamphilj. Si pensava di mettere nella Villa Doria
Pamphilj tutte le Legazioni e le Ambasciate. Questo feriva la
mia sensibilità. Io proposi, se veramente la Santa Sede
teneva a questa villa, che essa vi riconoscesse in modo indubbio
e non equivocabile la sovranità dello Stato italiano, pagando
il canone annuo di una lira. È il canone abituale quando
si vuole essere gentili. Nello stesso periodo di tempo andai a
Racconigi ed informai di ciò S. M. il Re. È dall'8
novembre 1928 che le trattative volgono, si può dire, a
compimento, perché il Papa mi fa sapere che rinuncia a
Villa Doria Pamphilj e al territorio intermedio. Infatti, mentre
la cessione avrebbe ferito la nostra coscienza di italiani, a
che cosa avrebbe giovato all'altra parte? La Città del
Vaticano è grande per quello che è, per quello che
rappresenta, non per un chilometro quadrato in più o in
meno. Bisogna riconoscere che, da questo punto di vista, il Santo
Padre è venuto egregiamente incontro al desiderio del Governo
italiano. Voglio dire di più, che all'ultimo minuto, il
10 febbraio, alla vigilia della firma degli accordi, quando si
trattava di cedere 500 metri quadrati perché sorgesse una
cancellata di fronte al Santo Uffizio, quando il Santo Padre seppe
che questo turbava la mia coscienza di geloso custode dell'integrità
territoriale dello Stato, che non può pensare se non ad
accrescere questo territorio, giammai a diminuirlo, il Santo Padre
andava ancora oltre i miei desideri, e poiché sarebbe stato
un po' grottesco che la facciata di un edificio fosse stata posta
a confine di uno Stato, rinunciava all'intero edificio e annessi
e lo passava nel novero degli altri che godono soltanto dell'immunità
diplomatica. Dopo la morte del compianto Barone io sentii quasi
come un avvertimento del destino. La voce dei negoziati era ormai
di dominio pubblico in tutto il mondo. Bisognava affrettare i
tempi.
* * *
Talune residuali cellule massoniche, che io ho identificato in
tutte le città dove hanno affiorato attraverso certe pubblicazioni
di giornali, e simili manifestazioni più o meno vociferatorie,
hanno cominciato col sorprendersi che i testi di questi protocolli
recassero, a guisa di preambolo, l'invocazione alla SS. Trinità.
Permettetemi che io vi erudisca; non c'è nulla di straordinario
per cui si possa pensare che lo Stato, in qualche guisa, sia venuto
meno a se stesso e alla sua dignità. Non vogliamo proprio
risalire a Giustiniano perché dovremmo riportarci al 533,
ma sta di fatto che anche nei pubblici trattati tra potenze laiche,
quasi sempre fu premessa questa formula. Gli esempi sovrabbondano.
* * *
Le trattative sono durate trenta mesi. Vi ha avuto grandissima
parte l'avv. Pacelli, il quale ha rivelato un animo di forte italiano
e di fervente cattolico. L'avv. Pacelli, come lui stesso ha dichiarato,
è stato ricevuto non meno di 150 volte dal Sommo Pontefice;
il Trattato è stato redatto venti volte, prima di essere
licenziato nella sua veste definitiva. Voi conoscete l'insieme
degli atti. Si tratta di un accordo politico, di una convenzione
finanziaria e di un Concordato. Mi occuperò di ognuno di
questi protocolli. Il più importante evidentemente è
il Trattato. Con esso si sana la Questione Romana, anzi, come
è detto testualmente, si risolve e si elimina irrevocabilmente;
essa è finita, sepolta, non se ne parlerà più,
e si crea la Città del Vaticano. Contropartita di questa
creazione è da parte del Sommo Pontefice il riconoscimento
esplicito e solenne del Regno d'Italia, sotto la Monarchia di
Casa Savoia, con Roma Capitale dello Stato italiano. Avvertite,
dunque: c'è la Città del Vaticano, e poi c'è
Roma. Dai tempi di Augusto bisogna arrivare al 1870 per trovare
ancora una volta Roma capitale dell'Italia ; ma dal 1870 al 1929
c'era ancora una riserva, ancora un'ipoteca di natura morale.
Questa ipoteca e questa riserva da parte della più alta
autorità religiosa del mondo, scompaiono oggi. Roma è
soltanto del Regno d'Italia e degli italiani. Io spero che voi
avvertirete l'enorme importanza di questo fatto. D'altra parte,
a prescindere dalla constatazione che sul Vaticano non fu mai
compiuto atto di sovranità italiana, nessuno, neanche il
più fanatico dell'integrità territoriale, potrà
sentirsi diminuito per i 44 ettari che formano la Città
del Vaticano; quando, poi, togliete la Piazza San Pietro e la
Chiesa vastissima che rimangono di uso promiscuo, la superficie
di questa divina Città, di questo Stato, si riduce ancora:
è, in ordine di grandezza, veramente irrilevante.
* * *
Naturalmente questa Città del Vaticano è ancora
uno Stato sui generis, per il fatto che è circondata da
tutti i lati da un altro Stato, per il fatto che ha zone nel suo
stesso territorio, di uso promiscuo collo Stato confinante e per
altre peculiarità che formeranno la delizia dei commentatori
tra qualche tempo. Io prevedo un'altra abbondantissima letteratura
sull'avvenuta soluzione della Questione Romana; ma l'importante
è questo: primo, che malgrado certe riserve che avrete
notato nelle lettere che ho letto, riserve iniziali, la soluzione
è italiana, e nessun'altra potenza vi ha messo verbo. Di
più, la Città del Vaticano si dichiara, e noi la
dichiariamo perché il testo reca anche la firma del Governo
italiano, territorio neutrale ed inviolabile. È evidente
che noi saremo i necessari garanti di questa neutralità
e di questa inviolabilità, in quanto che, nella remota
ipotesi che qualcuno volesse ferirla, dovrebbe prima violare il
nostro territorio. Del resto, noi avremo tutto l'interesse che
il Pontefice possa esercitare quella che nel Trattato è
giustamente definita "la sua pastorale missione" in
perfetta indipendenza di sostanza e di forma, tra la simpatia
di tutto il popolo italiano. Finalmente, vi è un'altra
condizione nel Trattato, sulla quale richiamo la vostra attenzione,
ed è questa: che la Città del Vaticano si dichiara
fin da questo momento, e noi vi abbiamo apposto la nostra firma,
estranea a tutte le competizioni di ordine temporale che potessero
sorgere tra gli Stati, e a tutti i congressi indetti per tale
scopo, quindi non solo per i congressi straordinari, ma anche
per i congressi ordinari quale è la Società delle
Nazioni. Anche le superstiti cellule, di cui parlavo poco fa,
riconoscono che il Trattato è buono e salvaguarda in pieno
l'integrità dello Stato. Non ha in sé pericoli.
Pensate a quel che era lo Stato Pontificio - quando comprendeva
la Romagna, l'Umbria, le Marche e il Lazio - e quando doveva fare
una politica di pace e di guerra con i diversi Stati per sostenersi.
Oggi, giustamente, il Santo Padre può affermare che la
migliore difesa della sua sovranità sta nella limitazione
del territorio della Città del Vaticano. Era così
poco ansioso di avere dei sudditi, forse pensando che il più
tranquillo sovrano è quello che non ha sudditi, che ha
pregato di andarsene tutti coloro che, durante secoli, si erano
infiltrati nelle anfrattuesità del Vaticano. La cittadinanza
del nuovo Stato è una cittadinanza un po' paradossale.
Non si nasce cittadini, si diventa per un atto della propria volontà
e si resta cittadini, finché si ha il domicilio stabile
là dentro. Una volta che il domicilio stabile cessi, si
appartiene ad un'altra nazionalità. D'altra parte, la limitazione
numerica di questi cittadini è data dalla consistenza territoriale
di questo Stato. Si può calcolare quanti uomini possono
abitare su 44 ettari di terra! Tutte le preoccupazioni, dunque,
sono completamente infondate. Vengo alla convenzione finanziaria
e al Concordato. Quando si è saputo che esisteva una convenzione
finanziaria, anzitutto, per arrotondare le cifre, si è
detto che si trattava dì due miliardi. Molto meno! Si tratta,
infatti, di 750 milioni in contanti e di un miliardo di Consolidato,
il quale però, non è piacevole il constatarlo, si
può comperare oggi con 800 milioni. Sono dunque 1550 milioni,
ma di lire carta. Bisogna dividere per tre e sessantasei: sono
400 milioni di lire oro. Poco, quando voi pensate, e scommetto
che non ve ne spaventate affatto, che noi abbiamo duecento miliardi
di debiti. La cifra è una di quelle che fanno rabbrividire,
ma noi rimandiamo i brividi a migliore stagione. Cosa sono 400
milioni di lire oro? Tuttavia la curiosità del pubblico
si è manifestata: "Come farete a pagare? Soprattutto,
come farete a trovare un miliardo di Consolidato?". Rispondo
a questi interrogativi, che io riconosco legittimi. I provvedimenti
che si stanno predisponendo presso il Ministero delle Finanze
sono tali che si potrà far fronte agli impegni assunti
senza aumentare il debito pubblico e senza ricorrere al mercato.
È a proposito del Concordato che la critica vociferatoria
all'interno e all'estero ha puntato e aguzzato i suoi strali.
Ha torto però, perché io dimostrerò che il
Concordato concluso con la Santa Sede è il migliore dal
punto di vista dello Stato. Ve lo dimostrerò, o signori,
e soprattutto vorrei dimostrarlo a quelli che hanno palesato,
nella fattispecie, una singolare ignoranza della situazione. Io
paragonerò il nostro Concordato con i quattro Concordati
stipulati dalla Santa Sede dopo la guerra, con la Lettonia, la
quale è una repubblica baltica che ha soltanto il 23 per
cento di cattolici; con la Lituania, altra repubblica che ha l'85
per cento di cattolici; con la Polonia che, su 30 milioni di abitanti,
ha soltanto il 63 per cento di cattolici di rito latino e l'11
per cento di rito greco, e con la Baviera che è cattolica,
ma che appartiene alla repubblica del Reich.
* * *
Ma nel nostro vi è un'aggiunta, e su questa si sono sbizzarrite
le fantasie: "In considerazione del carattere sacro della
Città eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro
del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano
avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa
essere in contrasto col detto carattere". Invece che "avrà
cura" si voleva si dicesse: "assume impegno". Ho
preferito la formula generica, perché, quando si prendono
impegni, si firma una cambiale, e le cambiali bisogna pagarle.
Ma io trovo che è stupefacente lo stupore di coloro che
si sono appuntati su questa seconda parte dell'articolo. Ma chi
è quel barbaro che può negare il carattere sacro
di Roma? Se voi togliete dalla storia del mondo la storia dell'Impero
romano, non resta che poco. Se i Romani non avessero in ogni terra
lasciato i loro monumenti dal Marocco ad Angora, la nuova capitale
della giovane ed amica Turchia, che conserva ancora una lapide
col testamento di Augusto, tutta la storia di Roma apparirebbe
come una fantastica leggenda. Ma Roma è sacra, perché
fu capitale dell'Impero e ci ha lasciato le norme del suo Diritto
e le sue reliquie venerabili e memorabili che ancora ci commuovono
quando balzano ad ogni momento dalla terra appena frugata. Ma
poi è sacra ancora perché è stata la culla
del cattolicismo. Tutti i poeti di tutti i tempi ed uomini di
tutti i popoli hanno riconosciuto il carattere sacro di Roma!
Qualche volta è motivo di riflessione e di orgoglio pensare
che in questo piccolo territorio, tra sette colli e un fiume,
si è svolta tanta parte della storia del mondo! Roma ha
un carattere sacro, anche perché qui fu portato il Fante
Ignoto, simbolo di tutti i sacrifizi di quattro anni della nostra
guerra vittoriosa, e ancora bisognerà ricordare che sul
Campidoglio, sul colle sacro dell'umanità, c'è un'Ara
che ricorda i caduti della nostra Rivoluzione! Questo carattere
sacro di Roma noi lo rispettiamo. Ma è ridicolo pensare,
come fu detto, che si dovessero chiudere le Sinagoghe!
* * *
Né bisogna pensare che Roma diventerà una città
tetra, dove non ci si potrà più onestamente divertire.
Intanto vi dichiaro che non mi dispiace che Roma abbia un suo
carattere di gravità. Era quello che si rimproverava a
Cromwell quando il puritanesimo lottava contro il realismo. Si
rimproveravano i puritani di avere un atteggiamento grave. Lo
avevano perché difendevano la vita dell'Inghilterra, perché
ne difendevano il carattere, ne preparavano l'avvenire, sia pure
attraverso terribili guerre civili, nelle quali perivano Re e
Ministri. Città seria, ma che saprà divertirsi.
Del resto, durante il dominio dei Papi ci si divertiva benissimo
a Roma.
* * *
Si è detto: in questo Concordato voi fate, dal punto di
vista degli obblighi militari, delle concessioni di privilegio
agli ecclesiastici. Ebbene, queste concessioni figurano anche
in tutti i Concordati precedenti, dai quali io, rappresentante
di una Nazione prevalentemente, anzi totalmente cattolica, non
potevo prescindere. L'articolo 5 del Concordato polacco è
quasi letteralmente simile all'articolo 3 del Concordato italiano.
Ma l'articolo 5 del Concordato lituano va molto più in
là.
* * *
Veniamo all'articolo 5. Vi si parla degli apostati o irretiti
da censura. Su questo articolo c'è stata una discussione
assai lunga. Intanto non avrà valore retrospettivo. Ce
n'è un migliaio di questi individui che si trovano in tale
situazione peculiare. Costoro rimarranno dove sono.
* * *
Per quello che concerne l'articolo 8 si è parlato di Foro
ecclesiastico. No, non esiste Foro ecclesiastico, esiste soltanto
nello Stato italiano il Foro civile. L'articolo 8 del Concordato
italiano è molto men grave dei corrispondenti articoli
degli altri Concordati coi quali sto paragonando il nostro.
* * *
Che cosa facciamo noi ? Comunichiamo l'avvenimento all'Ordinario
diocesano, perché prenda le sue decisioni in ordine alla
gerarchia ecclesiastica. Ma poi i casi sono due: o trattasi di
un delitto comune, e allora l'ecclesiastico viene ridotto allo
stato laicale e segue la sorte di tutti i condannati comuni; o
è un delitto politico, e allora il prevenuto o il condannato
avrà tutte le agevolazioni che abbiamo consentito a tutti
coloro che sono rei dei delitti del genere. Un giornalista straniero
ha detto che con questo articolo l'Italia è alla merce
del Vaticano e che nessuno, all'infuori degli ecclesiastici, potrà
godere di simile privilegio. Sarà dunque necessario di
dire che il Gran Maestro della massoneria Domizio Torrigiani,
da quando fu colpito da incipiente cecità, fu tratto dal
confino e messo in una clinica dell'Italia centrale ? Che meraviglia,
allora, se domani un Cardinale, ipotesi che ritengo assolutamente
assurda, o un Vescovo o un sacerdote condannato per delitto politico
siano trattati con i riguardi che tutti i Regimi hanno per questo
genere di reati ? Si è parlato di diritto d'asilo. Se un
delinquente fugge in una Chiesa, i Carabinieri gli correranno
dietro e lo acciufferanno. D'altra parte è noto che i delinquenti
hanno un sacro terrore di fuggire in Chiesa. Temono forse i fulmini
della Divinità, oltre che le manette dei Carabinieri! È
evidente che, salvo questi casi d'urgenza, la forza pubblica non
ha nessun particolare interesse di entrare in Chiesa, se non vi
sia chiamata.
* * *
Tutto quello che concerne l'assistenza ai militari è già
in atto. Le stesse clausole figurano nei Concordati polacco e
lituano. Per quello che riguarda la scelta degli Arcivescovi e
dei Vescovi, non abbiamo fatto che prendere le clausole dei Concordati
precedenti. Per il giuramento abbiamo preso, come suol dirsi,
la clausola della nazione più favorita, cioè la
formula del giuramento polacco. Per tutto quello che concerne
la nuova sistemazione degli enti e dei beni ecclesiastici, vi
parlerà con la sua particolare competenza il collega Guardasigilli.
Adesso veniamo all'articolo 34, l'articolo del matrimonio. Voi
sapete a che cosa era ridotto il matrimonio civile in questi ultimi
tempi. Siamo noi Fascisti che gli abbiamo dato un po' di stile.
Per i piccoli paesi era una cosa qualche volta assolutamente farsesca,
con scarsissima dignità, con testimoni racimolati all'ultimo
minuto. Pareva che tutto lo Stato fosse oramai in questi articoli
del Codice civile. Voi conoscete, del resto, quante discussioni
sono state fatte in Italia su questo argomento. Orbene, onorevoli
camerati, in quasi tutti i Paesi civili il matrimonio religioso
ha gli effetti civili, in Austria il matrimonio religioso fra
i cattolici è valido agli effetti civili senza bisogno
di alcuna formalità, il matrimonio civile è riservato
soltanto ai "Konfessionslos " o a sposi di culto diverso.
Non siamo dunque soli in questa determinazione di dare, sotto
opportune cautele, la validità civile al matrimonio religioso.
Molti hanno visto questo problema dal punto di vista metafisico;
io lo vedo anche dal punto di vista della comodità. I Comuni
in Italia sono 8000, le parrocchie 15.000; che cosa abbiamo fatto?
Abbiamo dato al cattolico la possibilità , se lo vuole,
di fare la stessa cosa nello stesso tempo e con lo stesso personaggio.
Se ciò incoraggerà, insieme con la diminuita età,
i matrimoni, e se da questi matrimoni nascerà un'abbondante
prole, io ne sarò particolarmente felice. Veniamo all'insegnamento
religioso, contemplato nell'art. 36 del nostro Concordato.
* * *
Notate che ho respinto nella maniera più categorica la
richiesta d'introdurre l'insegnamento religioso anche nelle Università.
La Santa Sede si è convinta che sarebbe, allo stato degli
atti, un grave errore.
* * *
L'articolo 37 italiano, corrisponde (in senso più estensivo)
all'articolo 7 paragrafo 2 del Concordato bavarese: "Agli
scolari degli istituti elementari, medii e superiori, deve essere
dato, d'accordo colle superiori autorità ecclesiastiche,
modo opportuno e conveniente di adempiere i loro doveri religiosi".
Come vedete, anche per queste clausole nulla si può dire
che possa essere interpretato come diminuzione della giurisdizione
e sovranità dello Stato. Escluso dall'Università
l'insegnamento religioso, resta da determinare come questo insegnamento,
che è d'altra parte facoltativo, dovrà svolgersi
nelle scuole medie. È evidente che non potrà svolgersi
sotto la semplice specie catechistica. Bisognerà che si
svolga sotto la specie morale e storica, perché deve essere
attraente ed interessante, altrimenti potrebbe dare l'effetto
contrario. Sono arrivato a un altro punto importante del Concordato
quello che concerne l'Azione Cattolica. Intanto l'articolo 43
del nostro Concordato figura nel Concordato lèttone all'articolo
13 che dice: "La Repubblica di Lettonia non porrà
ostacoli all'attività - controllata dall'Arcivescovo di
Riga - delle Associazioni Cattoliche di Lettonia, le quali avranno
gli stessi diritti che le altre Associazioni riconosciute dallo
Stato". L'articolo 25 del concordato lituano è invece
più esplicito ancora e dice: "Lo Stato accorderà
piena libertà d'organizzazione e di funzionamento alle
Associazioni aventi scopi principalmente religiosi, facenti parte
dell'Azione Cattolica e come tali dipendenti dall'Autorità
dell'Ordinario". Ciò precisato, non v'è dubbio
che, dopo il Concordato del Laterano, non tutte le voci che si
sono levate nel campo cattolico erano intonate. Taluni hanno cominciato
a fare il processo al Risorgimento; altri ha trovato che la statua
di Giordano Bruno a Roma è quasi offensiva. Bisogna che
io dichiari che la statua di Giordano Bruno, malinconica come
il destino di questo frate, resterà dove è. È
vero che quando fu collocata in Campo di Fiori, ci furono delle
proteste violentissime; perfino Ruggero Bonghi era contrario,
e fu fischiato dagli studenti di Roma; ma ormai ho l'impressione
che parrebbe di incrudelire contro questo filosofo, che se errò
e persisté nell'errore, pagò. Naturalmente non è
nemmeno da pensare che il monumento a Garibaldi sul Gianicolo
possa avere un'ubicazione diversa. Nemmeno dal punto di vista
del collo del cavallo. Credo che Garibaldi può guardare
tranquillamente da quella parte, perché oggi il suo grande
spirito è placato! Non solo resterà, ma nella stessa
zona sorgerà, a cura del Regime Fascista, il monumento
ad Anita Garibaldi. Si è notato che taluni elementi cattolici,
specialmente fra quelli che non hanno tagliato tutti i ponti con
le ideologie del partito popolare, stavano intentando dei processi
al Risorgimento. Si leggevano appelli di questo genere: moltiplichiamo
le file, stringiamo i ranghi, serriamo le schiere, ecc., ecc.
; naturalmente, di fronte a questo frasario, si è tratti
a domandarsi: ma che cosa succede ? È curioso che in tre
mesi io ho sequestrato più giornali cattolici che nei sette
anni precedenti! Era questo forse l'unico modo per ricondurli
nell'intonazione giusta! Non mi piacciono gli individui che hanno
l'aria di sfondare energicamente delle porte che sono già
state energicamente sfondate! Così taluni elementi avevano
l'aria preoccupata, tragica, come per difendersi da pericoli che
non esistono. Ragione per cui è opportuno, anche in questa
sede, di far sapere che il Regime è vigilante, e che nulla
gli sfugge. Nessuno creda che l'ultimo fogliuncolo che esca dall'ultima
parrocchia non sia ad un certo momento conosciuto da Mussolini.
Non permetteremo resurrezioni di partiti o di organizzazioni che
abbiamo per sempre distrutti. Ognuno si ricordi che il Regime
Fascista, quando impegna una battaglia, la conduce a fondo e lascia
dietro di sé il deserto. Né si pensi di negare il
carattere morale dello Stato Fascista, perché io mi vergognerei
di parlare da questa tribuna se non sentissi di rappresentare
la forza morale e spirituale dello Stato. Che cosa sarebbe lo
Stato se non avesse un suo spirito, una sua morale, che è
quella che dà la forza alle sue leggi, e per la quale esso
riesce a farsi ubbidire dai cittadini? Che cosa sarebbe lo Stato?
Una cosa miserevole, davanti alla quale i cittadini avrebbero
il diritto della rivolta o del disprezzo. Lo Stato Fascista rivendica
in pieno il suo carattere di eticità: è Cattolico,
ma è Fascista, anzi soprattutto, esclusivamente, essenzialmente
Fascista. Il Cattolicismo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente,
ma nessuno pensi, sotto la specie filosofica o metafisica, di
cambiarci le carte in tavola. Ognuno pensi che non ha di fronte
a sé lo Stato agnostico demoliberale, una specie di materasso
sul quale tutti passavano a vicenda; ma ha dinanzi a sé
uno Stato che è conscio della sua missione e che rappresenta
un popolo che cammina, uno Stato che trasforma questo popolo continuamente,
anche nel suo aspetto fisico. A questo popolo lo Stato deve dire
delle grandi parole, agitare delle grandi idee e dei grandi problemi,
non fare soltanto dell'ordinaria amministrazione. Per questa anche
dei piccoli Ministri dei piccoli tempi erano sufficienti.
Onorevoli camerati!
Voi avete inteso, e soprattutto deve avere inteso il popolo italiano,
devono avere inteso i nostri Fascisti, i migliori dei nostri camerati,
che costituiscono sempre la spina dorsale del Regime. Ho parlato
netto e chiaro per il popolo italiano: credo che il popolo italiano
mi intenderà. Con gli atti dell' 11 febbraio il Fascismo
raccomanda il suo nome a' secoli che verranno. Quando, nel punto
culminante delle trattative, Camillo Cavour, ansioso, raccomandava
a Padre Passaglia: "portatemi il ramoscello d'olivo prima
della Pasqua", egli sentiva che questa era la suprema esigenza
della coscienza e del divenire della Rivoluzione nazionale. Oggi,
onorevoli camerati, noi possiamo portare questo ramoscello d'olivo
sulla tomba del grande costruttore dell'unità italiana,
perché soltanto oggi la sua speranza è realizzata,
il suo voto è compiuto!
|