Discorso
pronunciato a Parma, 13 dicembre 1914 nella palestra delle scuole
Mazza
Cittadini!
È nel vostro interesse ascoltarmi con tolleranza e con
tranquillità. Sarò breve, preciso e sincero sino
alla violenza. L'ultima grande guerra continentale è
del 1870-1871. La Prussia guidata da Bismarck e da Moltke vinceva
la Francia e la mutilava di due provincie popolose e fiorenti.
II trattato di Francoforte segnava il trionfo della politica
di Bismarck, il quale vagheggiava l'egemonia incontrastata della
Prussia nel centro d'Europa e la progressiva slavizzazione balcanica
dell'Austria-Ungheria. Questi dati della politica bismarckiana
vengono alla memoria quando si vogliano comprendere le crisi
internazionali europee dal '70 ad oggi, sino alla odierna che
ci sbalordisce e ci angoscia. Dal '70 in poi non ci furono che
guerre periferiche, fra i popoli dell'Oriente europeo - turco-russa;
serbo-bulgara; greco-turca.... - o guerre coloniali. Si era
perciò diffusa la convinzione che una guerra europea
e perciò una guerra mondiale, non fosse più possibile.
Si avanzano, per sostenere tale asserto, le più disparate
ragioni. Si opinava, ad esempio, che la perfezione degli strumenti
di guerra dovesse uccidere la guerra. Ridicolo! La guerra è
sempre stata micidiale. La perfezione delle armi è in
relazione coi progressi tecnici, meccanici e militari raggiunti
dalle collettività umane. Sotto questo rapporto le macchine
guerresche degli antichi romani equivalgono ai mortai da "42".
Sono create allo scopo di uccidere e uccidono. La perfezione
degli strumenti bellici non è niente affatto una remora
agli istinti bellicosi. Potrebbe darsi il contrario! Si era
anche fatto assegnamento sulla "bontà" umana,
sui sentimenti di "umanità", di fratellanza,
di amore che dovrebbero stringere tutti i membri della specie
"uomo" al disopra dei monti, al di là degli
oceani. Altra illusione! Verissimo che questi sentimenti di
"simpatia" e di "simpatetismo" esistono.
Il nostro secolo ha visto - invero - moltiplicarsi le opere
filantropiche per alleviare le miserie degli uomini e anche
quelle degli "animali", ma insieme con questi sentimenti,
ne esistono altri più profondi, più alti, più
vitali: noi non ci spiegheremmo il fenomeno universale della
guerra attribuendolo soltanto al capriccio dei monarchi, all'antagonismo
delle stirpi o al conflitto delle economie; si deve tener conto
di altri sentimenti che ognun di noi reca nell'animo suo e che
inducevano Proudhon a proclamare - con verità perenne
sotto la maschera del paradosso - essere la guerra "di
origine divina". Si riteneva altresì che l'intensificarsi
delle relazioni internazionali, economiche, culturali, artistiche,
politiche, sportive, ecc., provocando una maggiore e miglior
conoscenza dei popoli fra di loro, avrebbe impedito lo scoppiare
di una guerra fra le nazioni civili. Norman Angell aveva imbastito
il suo libro sull'impossibilità della guerra, dimostrando
che tutte le nazioni - e vinte e vittoriose - avrebbero avuto
l'economia sconvolta e sacrificata dalla guerra. Altra illusione
miseramente sfrondata. Difetto di osservazione! L'uomo economico
"puro" non esiste. La storia del mondo non è
una partita di computisteria e l'interesse materiale non è
- per fortuna! - l'unica molla delle azioni umane. Vero che
le relazioni internazionali si sono moltiplicate; vero che gli
scambi economici, politici, ecc., ecc., tra popolo e popolo
sono o erano infinitamente più frequenti di quel che
non fossero un secolo fa, ma accanto a questo fenomeno un altro
si delinea: i popoli tendono - colla diffusione della cultura
e col costituirsi delle economie a tipo nazionale a rinchiudersi
nella loro unità psicologica, morale .... Accanto al
movimento pacifista borghese, che non vale la pena di prendere
in esame, fioriva un altro movimento di carattere internazionale:
quello operaio. Allo scoppiar della guerra anche questo ha dimostrato
tutta la sua insufficienza. I tedeschi che dovevano dare l'esempio,
si sono schierati sotto le bandiere del Kaiser, come un sol
uomo. Il tradimento dei tedeschi ha costretto i socialisti degli
altri paesi a rientrare sul terreno della nazione e della difesa
nazionale. L'unanimità nazionale tedesca ha determinato
automaticamente l'unanimità nazionale negli altri paesi.
Si è detto, e giustamente, che l'internazionale è
come l'amore: bisogna farlo in due o altrimenti è onanismo
infecondo. L'internazionale è finita: quella di ieri
è morta ed è oggi impossibile prevedere quale
e come sarà l'internazionale di domani. La realtà
non si cancella, non si ignora e la realtà è che
milioni e milioni di uomini - nella stragrande maggioranza operai,
- stanno oggi gli uni di fronte agli altri sui campi insanguinati
di tutta Europa. I neutrali che si sgolano a gridare "abbasso
la guerra" non si accorgono di tutto il grottesco vile
che si contiene, oggi, in tal grido. È una atroce ironia
gridare "abbasso la guerra" mentre si combatte e si
muore sulle trincee. Fra i due gruppi di Potenze: la Triplice
Intesa e il blocco austrotedesco, l'Italia è.... rimasta
neutrale. Nella Triplice Intesa v'è la Serbia eroica
che ha spezzato il giogo austriaco, v'è il Belgio martire,
che non ha voluto vendersi, v'è la Francia repubblicana,
aggredita, v'è l'Inghilterra democratica, v'è
la Russia autocratica, ma col sottosuolo minato dalla Rivoluzione.
Dall'altra parte l'Austria clericale e feudale; la Germania
militarista e aggressiva. Allo scoppiar della crisi, l'Italia
si proclamò "neutrale". Era contemplata l'"eccezione"
nei trattati? Pare di sì, specie dopo le rivelazioni
recentissime del Giolitti. Se la neutralità del Governo
significava indifferenza, la neutralità dei socialisti
e delle organizzazioni economiche aveva tutt'altro carattere
e significato. La neutralità socialista aveva due facce.
Una benigna, volta ad occidente, verso la Francia, una arcigna,
volta ad oriente, verso l'Austria. Sciopero generale insurrezionale
nel caso di una guerra "coll'Austria"; niente sciopero
generale, niente opposizione di fatto nel caso di una guerra
"contro" l'Austria. Si distingueva dunque fra guerra
e guerra. V'è di più. Fu consentito il richiamo
delle classi. Se il Governo avesse mobilitato, i socialisti
tutti avrebbero trovato la cosa naturale e logica. Ammettevano
dunque, che una nazione ha il diritto e il dovere di difendersi,
armata mano, da eventuali attacchi dall'esterno. La neutralità
in tal modo concepita doveva necessariamente condurre - col
maturare degli eventi, specie nel Belgio - ad abbracciare la
tesi dell'intervento. E controverso che l'Italia abbia una borghesia
nel senso classico della parola. Più che borghesie proletari,
ci sono dei ricchi e dei poveri. Ad ogni modo è falso
che la borghesia italiana sia in questo momento guerrafondaia.
Tutt'altro! È neutralista e disperatamente pacifista.
Il mondo della Banca è "neutrale"; la borghesia
industriale ha riorganizzato i suoi "affari"; la borghesia
agraria piccola e grande è pacifista per tradizione e
temperamento; la borghesia politicante e accademica è
neutrale. Vedete il Senato! Vi sono nella borghesia forze giovani
che non vogliono stagnare nella morta gora della neutralità,
ma la borghesia presa nel suo complesso è neutralista
e ostile alla guerra. Prova massima: confrontate il tono odierno
della stampa borghese col tono dell'impresa libica e noterete
la differenza. Allora si dava fiato nelle trombe belliche: oggi
si suona in sordina. Il linguaggio dei giornali borghesi è
oscillante, incerto, sibillino, neutrale in una parola e triplicista
fra le righe. Dove sono le fanfare che ci ossessionarono nel
settembre del 1911? Il gioco è scoperto e dovrebbe far
riflettere i socialisti che non sono imbecilliti: da una parte
stanno tutti i conservatori, tutte le forze morte della nazione;
dall'altra i rivoluzionari e con questi tutte le forze vive
del Paese. Bisogna scegliere! Preti e forcaioli sono per la
neutralità assoluta. I preti non vogliono la guerra contro
l'Austria, perché è la nazione cattolica per eccellenza,
ove l'imperatore segue a capo scoperto il baldacchino nelle
processioni del Corpus Domini ed ove in un congresso, presente
l'arciduca ucciso a Serajevo, si facevano voti ufficiosi per
il ristabilimento del potere temporale. Se noi restiamo neutrali
il papa Benedetto XV, che accoppia alla trinità dei suoi
difetti fisici qualità intellettuali e morali inquietanti,
troverà modo, direttamente o per interposta persona,
di porre nel prossimo congresso per la pace, la questione romana.
Torneremo indietro: a discutere un fatto compiuto, irrevocabile
e lo dovremo in parte all'atteggiamento conservatore, assolutamente
antirivoluzionario e antisocialista dei socialisti italiani.
Noi invece vogliamo la guerra e subito. Non è vero che
manchi la preparazione militare. Cos'è questo attendere
la primavera? Si vuole forse un ministero Giolitti con Bissolati,
Barzilai e magari una puntarella fra il socialismo ufficiale?
Il socialismo non deve e non può essere contrario a tutte
le guerre, perché allora si rifiuterebbe di conoscere
50 secoli di storia. Volete giudicare e condannare alla stessa
stregua la guerra di Tripoli con quella sorta dalla rivoluzione
francese nel 1793? E Garibaldi? Anche lui un guerrafondaio?
Bisogna distinguere fra guerra e guerra, come si distingue fra
delitto e delitto, fra sangue e sangue. Bovio diceva: "Non
basterebbe tutta l'acqua del mare per lavare la macchia di sangue
di lady Macbeth, mentre basta un catino per lavare il sangue
dalle mani di Garibaldi". Vediamo, vediamo: Pisacane (Victor
Hugo lo disse più grande di Garibaldi) quando andò
a sovvertire quel governo borbonico così giustamente
qualificato da Gladstone la negazione di Dio, fu dunque un guerrafondaio?
Se vi fossero stati i socialisti avrebbero votato un ordine
del giorno contro la guerra? E l'altra piccola guerra del '70
che ci spinse, sia pure a pedate, a Roma? Non si condannano
tutte le guerre. Tal concetto herveista della prima maniera
e quasi tolstoiano della passività assoluta è
antisocialista. Guesde, in un congresso dei socialisti francesi
tenutosi appunto poche settimane prima della guerra, affermava
che in caso di guerra la nazione più socialista sarebbe
vittima della nazione meno socialista.... E del resto, osservate
il contegno dei socialisti italiani. Vedeteli in Parlamento.
È mancato il forte discorso. Treves si è attardato
in sottili distinzioni avvocatesche. A un certo punto ha gridato:
"Noi non rinneghiamo la patria!". Infatti, la patria
non si può rinnegare. Non si rinnega la madre, anche
quando non ci offre tutti i suoi doni, anche quando ci costringe
a cercare la fortuna per le strade tentatrici del mondo! Treves
diceva di più: "Non ci opponiamo alla guerra di
difesa". Se si ammette questo si ammette la necessità
di armarci. Non aprirete già le porte d'Italia all'esercito
degli austriaci perché vengano a saccheggiarvi le case
e a violarvi le donne. Ah lo so bene: ci sono degli ignobili
vermi che rimproverano al Belgio di essersi difeso. Poteva,
dicono, intascare l'oro dei tedeschi e lasciar libero il passaggio,
mentre resistendo fu sottoposto alla sistematica e scientifica
distruzione delle sue città. Ma il Belgio vive e vivrà
perché si è rifiutato all'ignobile mercato. Se
lo avesse accettato, il Belgio sarebbe morto per tutti i secoli!
(Grande ovazione; tutti gridano: "evviva il Belgio"
sventolando i cappelli.). Quando vorrete difendervi? Quando
avrete il ginocchio del nemico sul petto? O non è meglio
anticipare la difesa? Non è meglio intervenire oggi perché
ci può costar poco mentre domani potrebbe essere un disastro?
Si vuol forse mantenere uno splendido isolamento? Ma allora
bisogna armare, armare, e creare un militarismo mastodontico.
I socialisti - e io sono ancor tale, benché sia un socialista
esasperato - non posero mai sul tappeto la questione dell'irredentismo
che lasciarono ai repubblicani: ma ora no: i rivoluzionari affermano
che non vi sarà internazionale se non quando i popoli
saranno ai loro confini. Ecco perché siamo favorevoli
ad una guerra d'indole nazionale. Ma vi sono anche altre ragioni
più socialiste che ci spingono all'intervento. Tre ipotesi:
l'Europa di domani non differirà in nulla da quella di
ieri. È l'ipotesi più assurda e più spaventevole.
Se la accettate, la vostra neutralità ha un senso anche
assoluto. Non val la pena di sacrificarsi per lasciar le cose
allo stato di prima. Ma la mente e il cuore si rifiutano di
credere che tutto questo sangue versato sulle terre di tre continenti,
non darà frutto alcuno. Tutto fa credere invece che l'Europa
di domani sarà profondamente trasformata. Più
libertà o più reazione? Più militarismo
o meno militarismo? Quale dei due gruppi di Potenze ci assicura,
colla sua vittoria, condizioni migliori per la liberazione della
classe operaia? Il blocco austro-tedesco o la Triplice Intesa?
La risposta non è dubbia. E come volete cooperare al
trionfo della Triplice Intesa? Forse con gli articoli di giornale
e cogli ordini del giorno dei comizi? Bastano queste manifestazioni
sentimentali a far risorgere il Belgio? A sollevare la Francia?
Questa Francia che si è svenata per l'Europa nelle rivoluzioni
e nelle guerre dall'89 al '71 e dal '71 al '14? Alla Francia
dei Diritti dell'Uomo offrirete dunque e soltanto delle frasi?
Dite - ed è questa la ragione suprema dell'intervento
- dite: è umano, è civile, è socialista
stare tranquillamente alla finestra, mentre il sangue corre
a torrenti e dire: "io non mi muovo e non m'importa di
nulla?" . La formula del "sacro egoismo" escogitata
dall'on. Salandra può essere accettata dalla classe operaia?
No, mille volte no. La legge della solidarietà non si
ferma alle competizioni d'indole economica, ma va oltre; ieri
era bello e necessario versare l'obolo per i compagni in lotta;
oggi i popoli che lottano vi chiedono la solidarietà
del sangue. Essi la implorano. L'intervento abbrevierà
l'immane carneficina. Sarà un vantaggio per tutti, anche
per i tedeschi contro i quali lotteremo. Rifiuterete questa
prova di solidarietà? Ma con che faccia e con che cuore,
o proletari italiani, vi recherete domani all'estero? Non temete
che i vostri compagni di Germania vi respingano perché
traditori della Triplice; mentre quelli di Francia e del Belgio,
indicandovi la terra ancora tormentata dalle trincee e dalle
tombe, additandovi orgogliosi le macerie delle città
distrutte, vi diranno: dov'eri tu e che cosa facevi o proletario
italiano, quando io mi battevo disperatamente contro al militarismo
austro-tedesco per liberare l'Europa dall'incubo dell'egemonia
del Kaiser? Quel giorno voi non saprete rispondere; quel giorno
vi vergognerete di essere italiani; quel giorno voi imprecherete
ai preti e ai socialisti, complici miserabili del militarismo
tedesco! Ma sarà troppo tardi! Riprendiamo la tradizione
italiana. Il popolo che vuole la guerra, la vuole senza indugio.
Fra due mesi potrebbe essere un atto di brigantaggio: oggi è
una guerra che si può e si deve combattere con coraggio
e con dignità. Guerra e socialismo sono incompatibili,
presi i termini nel loro significato universale; ma ogni epoca,
ogni popolo ha le sue guerre. La vita è il relativo;
l'assoluto non esiste che nell'astrazione fredda e infeconda.
Chi tiene troppo alla sua pelle non andrà a combattere
nelle trincee, ma non lo vedrete di certo nemmeno il giorno
della battaglia nelle strade. Chi si rifiuta oggi alla guerra
è un complice del Kaiser, è un puntello del trono
traballante di Francesco Giusevermiglia primavera europea....
Bisogna agire, muoversi, combattere e, se occorre, morire. I
neutrali non hanno mai dominato gli avvenimenti. Li hanno sempre
subiti. È il sangue che dà il movimento alla ruota
sonante della storia!