Il
socialismo italiano, già sconfitto nel corso dell'occupazione
delle fabbriche, conobbe un altro gravissimo momento, quando l'ala
più massimalista, si staccò dal partito, per dare vita
ad un nuovo partito, quello comunista.
Il 15 gennaio del 1921 si iniziò a Livorno presso il Teatro
Goldoni, il congresso socialista. Esso, nel corso dei sei giorni in
cui si articolò, presentò il partito diviso in tre correnti:
una moderata, capeggiata da Turati e Prampolini; la seconda, dei cosiddetti
unitari, che ritenevano possibile la convivenza tra moderati e massimalisti
di estrema sinistra; ed infine una terza corrente di massimalisti
intransigenti, della quale facevano parte uomini quali Bordiga, Bombacci,
Gramsci, che chiedeva l'espulsione dal partito dei moderati, detti
revisionisti, l'adozione del nome comunista per il partito, l'adesione
totale al programma rivoluzionario bolscevico di stampo prettamente
russo.
Il 20 gennaio si chiuse il congresso socialista, senza che fosse stata
trovata una soluzione accettabile da parte delle tre correnti del
partito. Il giorno 21 gennaio venne fondato il Partito Comunista Italiano,
del quale fecero subito parte uomini di grande ingegno, quali Gramsci,
Bordiga, Terracini, Togliatti e Bombacci; quest'ultimo poi passerà
al fascismo.
Il Partito Socialista venne quindi senz'altro indebolito dalla scissione;
nè riuscì, essendosi liberato dell'ala più estrema,
a trovare nel suo interno quella concordia d'intenti che avrebbe potuto
allora salvare l'Italia.
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I delegati del
XVII Congresso
Nazionale Socialista
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