RIFORMA BANCARIA

Dopo avere con ogni cura provveduto all'as-sestamento delle finanze dello Stato, assicurando l'equilibrio del bilancio (alla chiusura dell'esercizio 1918-19 il deficit del bilancio raggiunse i 22 miliardi di lire, mentre al 1924-25 si realizzò una eccedenza attiva di 417 milioni), il Governo si è preoccupato di risolvere la grave questione dei debiti di guerra, assicurando i mezzi di pagamento delle relative annualità mediante i proventi delle riparazioni di guerra (accordi del Aja) in base ai principio costantemente affermato dall'Italia della indissolubile connessione esistente fra debiti e riparazioni di guerra. Ma anche la sistemazione del debito inferno formò oggetto di particolari cure. Il debito pub-blico interno ammontava nel 1922 a 95 miliardi di lire: al 1925 era ridotto a circa 91 miliardi, dei quali circa 30 miliardi rappresentati da buoni del Tesoro a breve scadenza. Questo debito fluttuante venne consolidato nei novembre 1926 mediante la conversione in un prestito perpetuo al 5%. Mentre si assicuravano così le basi della finanza pubblica con l'assetto dei bilancio dello Stato e del debito pubblico estero ed interno, si provvide anche a regolare la circolazione migliorandola qualitativamente e quantitativamente e centralizzando la emissione in un'unica banca: la Banca d'Italia. A rafforzare l'azione di questi provvedimenti di ordine tecnico intervenne nell'agosto del 1926 il discorso pronunciato dal Duce, il quale proclamò la ferma volontà di difendere la lira. Tale discorso produsse effetti decisivi perché arrestò la sfiducia e troncò l'azione della speculazione. Dal settembre del 1926 comincia il progressivo rivalutamento della lira (il corso del dollaro dalla media annuale di 25,93 del 1926 scese nel 1927 a 19,60). Assicurate queste sostanziali misure necessarie per arrivare alla stabilizzazione, il Governo, prima di procedere al riconoscimento legale del nuovo valore, attese che per un certo periodo si mantenesse una stabilizzazione di fatto, e ciò allo scopo di conseguire il nuovo equilibrio dei prezzi e per constatare entro quali limiti l'economia del Paese poteva sopportare lo sforzo della rivalutazione. Tale periodo si svolse nella seconda metà del 1927, durante il quale periodo la lira si mantenne rispetto al dollaro fra 18,50 e 18,60 (contro 30,50 del luglio 1926). Nei periodi sopra indicato si svolse una intensa azione, quale solo i mezzi di cui dispone l'ordinamento corporativo può consentire, allo scopo di ridurre i prezzi. La Banca di emissione provvide a rinforzate le proprie riserve; venne per prudenza assicurata una importante apertura di credito all'estero (di 125 milioni di dollari) che però non venne utilizzata. In queste condizioni venne dal Duce, nel dicembre del 1927, decretata la stabilizzazione della lira, dichiarandone la convertibilità in oro o in divise di Paesi aventi la convertibilità in oro, stabilendo la parità oro della lira in ragione di un peso di oro fino di 7 grammi 919 per ogni cento lire. Tale parità corrisponde a lire 3,66 per franco oro. La riforma monetaria italiana risponde pienamente ai dettami della più rigorosa tecnica finanziaria. La battaglia della lira, vinta per la tenace volontà del Duce, segnò la fine del periglioso periodo dell'inflazione, e consolidò in modo definitivo il credito dell'Italia di fronte all'estero. La stabilizzazione si è ispirata al concetto economicamente e moralmente sano di proteggere il risparmiatore. La Marcia su Roma e la Rivoluzione fascista hanno salvato l'Italia dal dissolvimento, le hanno ridata tranquillità, disciplina, prestigio. La battaglia della lira ha salvato il Paese dalla catastrofe finanziaria. Ma l'opera del Governo fascista nel campo del risparmio si è affermata con provvedimenti concreti di speciale importanza. Gli enti che raccolgono i depositi sono di diversa natura. Vi sono enti chiamati di diritto pubblico quali le Casse postali, la Cassa di depositi e prestiti, ed alcuni altri Istituti che sono in misura più o meno larga assimilati ai primi (quali il Banco di Napoli, Banco di Sicilia, Banca Nazionale del Lavoro, Istituto di San Paolo di Torino, ecc.). Àltra categoria importante è quella delle Casse di Risparmio. Infine vi sono gli Istituti ordinari di credito, cioè le banche private. L'azione del Governo fascista si è egualmente svolta in tutti i campi e nulla ha trascurato per arrivare a dare a ciascuna categoria di enti il miglior assetto in relazione agli scopi che ognuna di esse deve principalmente proporsi, cosi come in relazione alle nuove esigenze ed ai bisogni che il rinnovamento economico e sociale del Paese imponevano. L'ordinamento degli Istituti di diritto, pubblico basato su un diretto controllo da parte dell'Amministrazione e più particolarmente da parte del Ministero delle Finanze. Per questi Istituti, con speciali disposizioni legislative, completate da disposizioni statutarie approvate dal Governo, sono disposte norme dettagliate e rigorose per quanto riguarda sia la raccolta dei depositi sia la forma del loro impiego. La gestione è affidata ad organi nominati con l'approvazione governativa, ai quali partecipano, in forme diverse, anche dei rappresetanti di detta Amministrazione; la quale ha pure facoltà in determinate circostanze di sciogliere l'amministrazione e provvedere mediante dei Commissari straordinari alla gestione. Per quanto riguarda le Casse di Risparmio, la delicata e complessa materia venne regolata dalla legge 29 dicembre 1927, completata poi dal Testo Unico del 25 aprile 1929, nonché dal relativo Regolamento del febbraio del 1931. La legge 1927 impose la fusione delle Casse di Risparmio e dei Monti di Pietà di prima categoria con depositi inferiori ai 5 milioni; diede facoltà al Governo di ordinare la fusione degli stessi Istituti aventi depositi da 5 a 10 milioni; infine stabili che gli Istituti rimasti dovessero costituire delle Federazioni le quali possono essere, a giudizio del Governo, provinciali o interprovinciali (regionali). Il campo degli Istituti privati di credito si presentava molto più vario e difficile da ordinare appunto per questa sua varietà ed anche per la diversità dei fini ai quali tali istituti debbono sopperire. L'azione del Governo fascista si è sviluppata in un doppio ordine di direttive. Da un lato esso ha inteso inquadrare convenientemente anche questi organismi nel complesso delle forze costituenti l'ordinamento corporativo del Regime. Dall'altro lato ha inteso con nuove disposizioni definire con maggiore precisione quali dovessero essere il campo di azione, le modalità dì esercizio e le necessità di controllo per il normale svolgimento della vita di questi enti. Tali direttive sono state volte alla tutela del risparmio. A questo scopo vennero appunto emanate diverse disposizioni, fra le quali sono fondamentali le leggi del 2 settembre e del 6 novembre 1926 per la tutela del risparmio, nonché la legge 6 giugno 1932 sul riordinamento delle Casse rurali ed agrarie. Le leggi del '26 hanno profondamente modificato il regime delle banche. Mentre prima di queste leggi l'attività bancariai non era regolata che dalle "disposizioni del Codice" di commercio comuni ad ogni altra società, con le nuove disposizioni invece la materia veniva radicalmente trasformata. L'apertura di nuove banche, ed anche semplicemente l'apertura di nuove dipendenze, è soggetta ad una speciale autorizzazione; la costituzione non può permettersi se non concorrono determinate condizioni in rapporto al capitale ed ai promotori. Le operazioni sono soggette a norme particolari così per quanto riguarda la raccolta dei depositi, come per la determinazione dei fidi, la formazione delle riserve, le fusioni e le trasformazioni. Una vigilanza periodica è affidata all'Istituto di emissione e al Ministero delle Finanze, i quali hanno opportune facoltà per assicurare il regolare adempimento delle disposizioni della legge. Le disposizioni poi dal 1932 hanno disciplinato con particolare attenzione la materia delle Casse rurali ed agrarie, sottoponendo anche esse alla vigilanza dell'Istituto di emissione e del Ministero dell'Agricoltura. Si tratta di organismi minuscoli ma che pure possono assolvere una funzione importante, costituendo dei vasi capillari che raccolgono il risparmio e distribuiscono il credito all'agricoltura ed all'artigianato anche nelle località più lontane dai centri bancari e finanziari. Ma quest'opera grandiosa ha avuto la collaborazione preziosa e silenziosa del risparmiatore, al quale pur si deve il meraviglioso risultato della grande operazione di conversione del debito pubblico, compiuta nel febbraio del 1934 Regio decreto-legge 3 febbraio 1934. La somma da convertire era di 64 miliardi e 392 milioni di prestito perpetuo al 5% dei quali vennero convertiti in un prestito redimibile con premi al 3,50 % ben 61.269 milioni. La proporzione dei rimborsi è stata del 2 per mille: proporzione di una esiguità senza precedenti nella storia delle grandi conversioni. Con ragione si è parlato di un plebiscito, il quale attesta la grande fiducia del popolo italiano nel Regime. Anche questa operazione venne ideata e con-dotta seguendo i principi di una sana finanza. Si tratta cioè di una conversione volontaria, che rispetta scrupolosamente gli impegni assunti verso i creditori versandosi ai medesimi in via anticipata la differenza di interesse corrispondente al triennio 1934-36 che corre a completare il periodo di non convertibilità del prestito del Littorio, e sostituisce un debito redimibile ad uno perpetuo, riconoscendosi che lo Stato non può indefinitamente contrarre debiti senza pensare all'ammortamento.

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